Lettera ai soci

05 Gen 2017

Redazione

Carissimi soci di Libertà e Giustizia,

non si spegne in noi la gioia per l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre.

Durante questa lunghissima, faticosa – ma anche, a tratti, assai bella – campagna referendaria, abbiamo citato spesso il titolo di un discorso pronunciato da Piero Calamandrei nel settembre del 1944: «L’Italia ha ancora qualcosa da dire».

Ebbene, il 4 dicembre l’Italia l’ha detto: il popolo sovrano ha preso la parola e, dicendo No, ha rinnovato a gran voce il suo sì alla nostra amata Costituzione.

Il risultato straordinario del voto si spiega sia con la sollecitudine per le nostre libertà democratiche, sia con la sofferenza per il nostro inesorabile allontanamento da un grado seppur minimo di giustizia sociale. A dire no alla riduzione della democrazia sono stati soprattutto coloro che patiscono sulla propria pelle l’aumento inesorabile della diseguaglianza. E, allora, quel No del 4 dicembre è anche un potentissimo Sì all’attuazione – finalmente – dei principi fondamentali della Costituzione.

Ora è il momento della ponderazione. Come ha scritto Paul Ginsborg in una acuta riflessione che pure vi trasmettiamo, è il momento di decidere come «sviluppare la capacità di ascoltare, non solo parlare, e di non presentarsi come un gruppo chiuso, fossilizzato nelle sue pratiche. Il nostro amore per la politica dovrebbe passare attraverso l’autogoverno e l’individuazione di certe passioni positive e ricorrenti, come la mitezza, la speranza e l’indignazione. Allo stesso tempo bisogna riconoscere esplicitamente la forza delle passioni negative quali l’invidia e il narcisismo, la prevalenza dei quali ha costituito troppe volte il bacio della morte delle associazioni della società civile. Vale la pena ricordare che ogni educazione politica è anche un’educazione sentimentale».

È in questo spirito che il Consiglio di Presidenza e il Consiglio di Direzione di Libertà e Giustizia si sono riuniti congiuntamente per interrogarsi su quale sia la strada più giusta perché questo vento favorevole non vada sprecato. Abbiamo distinto, dunque, tre piani: quello della situazione immediata e contingente; quello dell’azione propria dell’associazione; quella della linea da tenere nelle prossime congiunture politiche ed elettorali.

1. Il futuro del fronte del No.

Libertà e Giustizia pensa che sarebbe un errore sciogliere immediatamente i Comitati del No.

La ragione è semplice: essi hanno costruito un luogo di dibattito politico che prima non esisteva. Ha scritto Nadia Urbinati che «nella vittoria del No è stata espressa un’esigenza: quella di avere luoghi e forme di partecipazione. La cittadinanza referendaria ha messo in luce, quindi, anche il vuoto della politica partitica, l’agonia dei partiti-organizzazione del consenso e della partecipazione. È questo l’aspetto forse più dirompente: la debolezza dei partiti e insieme il bisogno di forme di aggregazione, con l’esito che, dopo la vittoria del 4 dicembre resta un senso di vuoto in molti di coloro che hanno dato tutto il tempo libero e la passione nei lunghi mesi di campagna referendaria».

Il popolo della Costituzione non ha voglia di tornare a casa e mettersi davanti alla televisione: vuole ancora impegnarsi, in prima persona, in un contatto diretto e vitale con la comunità. La grave crisi dei partiti ha decimato i luoghi in cui ciò può avvenire: e la battaglia referendaria ne ha invece aperti molti.

È giusto e saggio che questa possibilità continui ad esistere: anche perché è evidente (e se ne parlerà al punto 3) che la scrittura della legge elettorale fa parte integrante della battaglia del No, e sarà necessario vegliare perché l’eredità morale del 4 dicembre non venga tradita.

D’altra parte, Libertà e Giustizia mette subito in guardia dalla tentazione di trasformare quei Comitati in partiti, o anche solo in liste elettorali. Naturalmente niente vieta (e anzi è naturale, e perfino auspicabile) che moltissimi cittadini che si sono impegnati nella campagna decidano di candidarsi alle prossime elezioni politiche, sia nei partiti e movimenti esistenti, sia immaginandone di nuovi.

Ciò che invece non può avvenire è trasformare direttamente i Comitati per il No alla riforma Renzi-Boschi in partiti: questo non solo sarebbe comunque assai difficile (per la varietà estrema di orientamenti politici), ma getterebbe retrospettivamente una luce infelice su una battaglia che invece è stata limpidissima, e senza secondi fini.

2. L’azione di Libertà e Giustizia.

Crediamo che lo spirito del 4 dicembre ci debba spingere ad intensificare, approfondire, moltiplicare ciò che già facciamo. È proprio la nostra vocazione più profonda – quella della formazione alla cittadinanza – a risultare più attuale e necessaria che mai.

Dobbiamo allargare i temi su cui concentrare il nostro studio, il nostro dibattito, la nostra formazione. Ne elenchiamo solo alcuni: l’attuazione della Costituzione; il ruolo dei partiti rispetto alla partecipazione e alle istituzioni; le politiche economiche, il neoliberismo, il lavoro e le sue trasformazioni; la mutazione delle democrazie rappresentative; il rapporto tra giustizia e politica; l’informazione e il ruolo di Internet nella formazione del consenso politico; la questioni dei confini e delle migrazioni; l’integrazione politica europea e la costruzione dell’Unione; il ruolo politico della cultura e della conoscenza; la perdurante inadeguatezza nel governo di scuola, università e ricerca, sia dal punto di vista delle risorse materiali che da quello, ancora più grave, dell’etica pubblica; il governo democratico del territorio e del patrimonio artistico.

Crediamo di dover coltivare questi temi cruciali attraverso un rapporto più stretto con alcuni dei compagni di strada di questa campagna referendaria. Pensiamo, ad esempio, a moltiplicare iniziative comuni con l’Anpi, con Libera e con la Cgil (oltre, ovviamente, che con tutte le altre associazioni democratiche di cui condividiamo i fini). Pensiamo a proporre ad alcuni organi di informazione (per esempio il Fatto Quotidiano, il Manifesto o l’Huffington Post) una collaborazione più stretta: sia in termini di incontri o Scuole, organizzati insieme, e aperti al contributo attivo dei giovani ricercatori in tutte le discipline, sia nei termini di una diffusione davvero ampia di testi (libri, quaderni, ebook…) prodotti da Libertà e Giustizia.

Insomma: lo scorso 4 dicembre abbiamo capito che i nostri concittadini hanno una grande fame di libertà e di giustizia. Noi dobbiamo, da oggi, impegnarci di più (anche rafforzando e intensificando, specie presso i più giovani, la proposta di tesseramento) a corrispondere, se non a saziare, tale fame, su un piano culturale, morale: politico, nel senso più ampio e alto. Le Scuole di Libertà e Giustizia, nelle forme attuali e in altre ancora, appaiono l’anima di questa nostra azione.

3. Libertà e Giustizia e la politica dei partiti (e dei movimenti).

Intravediamo già, all’orizzonte, la prossima occasione di impegno diretto: i referendum sul lavoro promossi dalla CGIL. Nei prossimi giorni sapremo se e quanti di essi saranno approvati dalla Corte Costituzionale, e in caso positivo si aprirà una campagna: molto ravvicinata in caso di sopravvivenza del governo Gentiloni, o invece procrastinata di un anno in caso di elezioni anticipate.

In ogni caso, Libertà e Giustizia ha deciso di schierarsi senza alcuna riserva per il Sì, e si impegnerà incondizionatamente perché la consultazione raggiunga il quorum. Siamo, infatti, convinti che la piena attuazione di una parte così centrale della nostra Costituzione (si pensi solo agli articolo 1 e 4, per rimanere ai Principi fondamentali) passi innanzitutto attraverso la rimozione del cosiddetto Jobs Act: perché non è accettabile il baratto tra lavoro e diritti della persona.

Ma, accanto alle occasioni straordinarie di democrazia diretta (preziose quanto rischiose), sentiamo di dover giocare un ruolo attivo, e più centrale possibile, anche nei processi della democrazia rappresentativa.

«Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo» farlo trasformandoci in un partito, né formulando espliciti endorsements per questa o quella forza, o per questo o quel candidato. Né possiamo partecipare direttamente al travagliato cantiere di una nuova Sinistra. Potranno farlo, a titolo personale, molti di noi – anzi, speriamo che sia così – ma non è questa la vocazione, non è questa la missione di Libertà e Giustizia.

Pensiamo invece che Libertà e Giustizia debba avere un altro ruolo.

Quello di chi mette all’ordine del giorno del discorso pubblico e mediatico temi altrimenti trascurati, o assenti. Quello di chi incalza le forze politiche circa la fedeltà dei loro programmi al progetto della Costituzione. Quello di chi costruisce partecipazione democratica affinando gli strumenti della critica.

In concreto, pensiamo che ora Libertà e Giustizia debba prendere le parola per chiedere una legge elettorale conforme ai principi della Costituzione. Una legge che dia corpo reale alla rappresentanza e rispetti l’eguaglianza di tutti i voti: sostanzialmente una legge dagli effetti più il più possibile proporzionali, che superi la logica dei premi di maggioranza, prevedendo – semmai – una ragionevole soglia di sbarramento. In ogni caso, non si tratta di dare ricette precise (non sta a noi), ma di vegliare perché non venga tradito lo spirito della Costituzione.

In un secondo momento, quello della campagna elettorale per le politiche, crediamo che Libertà e Giustizia debba chiedere alle varie forze in campo di impegnarsi a cambiare l’articolo 138 in un senso che metta al riparo la Costituzione da nuovi tentativi di modifica a maggioranza, o di estesi stravolgimenti. Una buona base di partenza è la legge (2115) ispirata nel 1995 da Leopoldo Elia, e firmata allora, tra gli altri, da Sandra Bonsanti. Insomma: chiederemo che il prossimo Parlamento impedisca che il Paese venga trascinato ancora una volta in un dramma costituzionale come quelli del 2006 e del 2016. Impariamo, una buona volta, dagli errori!

Accanto a questo impegno, ne vorremmo chiedere altri, legati all’attuazione della Costituzione. Sia chiaro: non si tratta di fare della Carta un programma politico (perché è proprio sulle diverse vie per attuarla che deve svolgersi il libero gioco politico), ma vorremmo poter indicare ai nostri concittadini chi ha invece in mente di stravolgerla, o di negarne anche una sia pur minima attuazione. Pensiamo, per esempio, alla necessità di far sì che il sistema tributario torni a informarsi a «criteri di progressività» (art. 53), o alla questione del rapporto tra la nostra Costituzione e gli accordi tra governi europei (gli esecutivi e le cancellerie) che non di rado da essa divergono anche molto significativamente come anche, del resto, dagli stessi Trattati dell’Unione, come Lisbona. In questa cornice abbiamo criticato e proponiamo la soppressione dell’art. 81 della Costituzione nella parte che riguarda il pareggio di bilancio.

È di questi temi che dovremo discutere nelle prossime settimane, per arrivare presto ad un documento: una sorta di impegno per la difesa e l’attuazione della Costituzione che vorremmo presentare ai cittadini e sottoporre alle forze politiche, permettendo almeno di distinguere tra quelle che lo accetteranno, e quelle che non vorranno farlo.

Paul Ginsborg richiama la nostra attenzione sui rapporti tra «società politica, società civile; democrazia rappresentativa, democrazia partecipata: un quadrilatero teorico formidabile, da esaminare lato per lato, angolo per angolo. Come s’intrecciano questi elementi e come dovrebbero intrecciarsi nel futuro?».

È a questa domanda che Libertà e Giustizia vuole provare a rispondere, nei prossimi mesi.

Buon lavoro a tutti noi, W il 4 dicembre, W la Costituzione della Repubblica!

Il Consiglio di Presidenza e il Consiglio di Direzione di Libertà e Giustizia

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