Vivendi attacca Mediaset e qualcosa non torna

22 Dic 2016

Vincenzo Vita

 

“Scene di caccia in bassa milanese”, per parafrasare un gran film del 1969 (lì era la bassa Baviera), sono quelle in corso attorno al gruppo di Cologno monzese. La Mediaset berlusconiana è oggetto di un vero e proprio attacco di Vivendi, di cui Vincent Bolloré è il proprietario e il nobile Arnaud de Puyfontaine il presidente del management board.

Quest’ultimo aveva lo scorso 16 dicembre, nel colloquio con Pier Silvio, attenuato le polemiche (poliziotto buono e poliziotto cattivo?), facendo supporre che il negoziato si riaprisse. Confalonieri per il Biscione chiuse subito la partita diplomatica e nelle ultime ore Vivendi ha persino rilanciato avvicinandosi al limite del 30% (26-27%), il tetto sopra il quale scatta l’offerta pubblica di acquisto (Opa) obbligatoria.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni –con imprevedibile tempestività-  e la Consob hanno già acceso i riflettori. Il Governo vigila ed esprime con il volto imbronciato del ministro Calenda preoccupazione per l’italianità, concetto ripreso con foga dallo stesso ex Cavaliere, ma assai poco adatto a descrivere le reti televisive più responsabili della de-italianizzazione dell’immaginario collettivo. Basti riannodare i fili della memoria e andare ai dorati anni ottanta, quelli di “Dallas” e delle serie made in Usa a go go, delle telenovelas, dei B-movie e dei format sudamericani.

Intendiamoci, c’era pure del buono e la Rai si è portata in fondo in modo simile. Però, da quel pulpito l’urlo identitario sembra una parodia. Per non dire del coro “unico” che si è levato in difesa, dopo che gli stessi indignati si guardarono dall’altra parte quando il medesimo “invasore” francese banchettava in Telecom. Ma, si sa, i sentimenti sono negoziati.

La reazione decisa dal consiglio di amministrazione di Mediaset è stata quella di un esposto all’Agcom. Francamente un po’ pochino, visto che l’Autorità si era .-appunto- espressa. Del resto, la Fininvest non può salire fino alla prossima primavera di quota. Quindi, si intravvede lo scacco matto.

Eppure, come in un romanzo del brivido colto di Graham Greene, qualcosa non torna. Perché Bolloré, uomo navigato e certamente astuto, si imbarca in un’avventura che cozzerebbe –se portata a termine- contro la normativa in vigore (comma 11 dell’articolo 43 del Testo unico del 2005, n.177) in materia di incroci tra telecomunicazioni e televisione? Basta la rassicurazione di Angelino Alfano? Chissà. E se Vivendi “lavorasse” per un “terzo uomo”? Il Risiko dei media nell’età digitale si sta scrivendo in questi mesi e l’affare in corso sembra un tassello di un mosaico di ben maggiore complessità.

E se, poi, Berlusconi facesse la voce grossa, ma stesse invece trovando una via per uscire di scena con un bel gruzzolo, se è vero che “grazie” alla scalata del finanziere bretone le aziende hanno incrementato il valore di un tondo miliardo di euro? Magari anche no, visto che i canali commerciali sono il “corpo” di Berlusconi.

 Neppure la discussione sulla futura legge elettorale sarà immune da tale incontro di pugilato. Anzi. Forse in simile intreccio sta una delle chiavi di lettura delle grida che si susseguono. Comunque, il vecchio leone di Arcore è un buon giocatore. In fondo, una “governata” sconfitta potrebbe intrigarlo: vittima, lusingato e –soprattutto- arricchito. Congetture?

A proposito di Agcom e Governo. Come si è ricordato, avete dimenticato Telecom: che sia territorio straniero non sembra suscitare alcuna emozione. O un pensiero.

Il Manifesto, 21 dicembre 2016

 

 

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