Le forme e i limiti, ovvero: ma è “politica” proprio tutto?

04 Dic 2016

Roberta De Monticelli Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Le modifiche alla Seconda Parte della Costituzione riguardano – e pesantemente – “le forme e i limiti” dell’esercizio della nostra sovranità.

Sono parole classiche, parole filosofiche, “le forme e i limiti”. Designano  le norme che regolano i nostri comportamenti in modo che non violino alcuni valori definitori di ciò che chiamiamo la nostra umanità e la nostra ragione: ne sono esempi le norme logiche e quelle etiche. Le norme costitutive di una Repubblica democratica stanno alla nostra vita civile e politica come le norme logiche ed etiche stanno alla nostra vita intellettuale morale. Questo vuol dire che le norme logiche e quelle etiche devono essere rispettate anche dalle norme costituzionali: è per così dire il minimo che  si richiede a ciò che chiamiamo “le forme e i limiti” della nostra sovranità.

E’ questo minimo che la riforma sottoposta al nostro giudizio viola. Mi limito a un solo esempio, che riguarda la logica. Recita il nuovo Art. 55: “Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica”. Bene: “rappresenta” o “raccorda”? Come è noto, il nuovo Senato ci è stato presentato come qualcosa di simile al Bundesrat tedesco, che rappresenta gli Stati della federazione tedesca, i Länder. Supponiamo che al posto dei Länder ci siano le Regioni. Bene – delle due l’una.

O i senatori “rappresentano” le regioni. Allora sono nominati dagli esecutivi (Presidenti di Regione) e non su base di raggruppamento politico; perciò hanno vincolo di mandato e non partecipano al processo legislativo su base partitica. E’ appunto quello che succede in Germania.

Oppure, i senatori  partecipano al processo legislativo nazionale (“raccordano” Stato e Regioni), perciò rappresentano la Nazione e  operano su base politica senza  vincolo di mandato.  Ma allora dovrebbero essere eletti dal popolo (o come in Francia da un ampio collegio di rappresentanti di regioni, 150.000).

Chiamiamo p la prima e q la seconda possibilità. E’ chiaro che p implica NON q e q implica NON p. Invece il nuovo Articolo intende proprio p E q.

Secondo la legge logica detta dello Pseudo-Scoto, ammettere una contraddizione in un testo comporta la possibilità di dedurre, in quel testo, tutto e il contrario di tutto. Non stupisce dunque che il famigerato Art. 70 – quello con la prosa da decreto milleproroghe – sperimenti tutte le difficoltà implicite nel compito di articolare con chiarezza le funzioni di un organo legislativo in assenza di un’idea coerente del medesimo. Con le conseguenze discusse dai migliori costituzionalisti sui numerosi e confusi procedimenti legislativi diversi cui esso darà luogo, sui conflitti di attribuzione etc.

Per questa e altre analoghe ragioni si sentono molte persone affermare “La riforma è pessima, ma occorre votare sì lo stesso”. Perché? Perché cambiare bisogna, meglio cambiare un po’ che niente del tutto. Perché il meglio è nemico del bene. Perché meglio qualcosa che il nulla.

Perché dire no al cambiamento è da difensori dell’esistente. La meno mistica di queste risposte è un’opzione politica: perché la vittoria del no metterebbe il governo in mano ai populisti, oppure: perché comunque non c’è alternativa migliore all’attuale governo. Questa sola fra le risposte pone una grave questione: “tutto” dunque è “politica”? Non ci sono vincoli, o regole, che non siano esse stesse puramente strumentali al gioco politico, inteso come semplice relazione amico-nemico? Non c’è differenza fra le regole del gioco e il gioco? Fra la legge fondamentale dello Stato e la contingenza di un governo? Fra il quadro normativo ideale e il conflitto politico contingente che è in atto? Carlo Fusaro, sostenitore del Sì, risponde tranquillamente che sì, tutto è politica. “ Chi è senza peccato scagli la prima pietra….E’ una critica semplicemente insensata: la riforma costituzionale, qualsiasi riforma…è scelta supremamente politica. E’ inevitabile che si associ alle fondamentali opzioni anche di partito e di governo” (Crainz, Fusaro 2016, Aggiornare la costituzione, p. 101). Dunque non c’è niente al di sopra dello strepito da pollaio che oggi chiamiamo “politica”. Qualcosa che rappresenti la Repubblica e dia un senso all’amor di patria, che in molti di noi è l’accorata compassione per una creatura svilita (come fosse la propria madre tuttavia, e questo fa male). Questo qualcosa però esiste solo nelle nostre coscienze, oltre che nelle carte dove abbiamo trascritto le Idee. Le Idee non sono invenzioni umane ma sono i vincoli dati, che “tengono insieme” l’identità delle cose. Una Repubblica democratica, un buon ragionamento, un’azione giusta. La riforma offre questo: lo svilimento della Norma. Le conseguenze verranno da sé,  una volta vanificato qualunque resto di rispetto per il nostro Noi, di fiducia nelle istituzioni e di amor di patria.

Le “forme” e i “limiti” sono le parole che la tradizione filosofica riserva a tutto ciò che è vincolo dato al nostro arbitrio, alla nostra ferinità strisciante sempre pronta a sopraffare la nostra umanità, alle derive imprevedibili della forza immane che la nostra socialità scatena, ben oltre le intenzioni dei singoli. Ma soprattutto alle forze distruttive della confusione, e anche dell’incompetenza e dell’idiozia, che necessariamente in noi tutti allignano. Per mettervi mano seriamente ci vogliono scienza, coscienza, attenzione, rispetto e amore. Invece vi è stata messa mano con ignoranza, incoscienza, sbadataggine, disdisprezzo e cinismo. Non ci resta che dire NO.

L’Huffington Post, 4 dicembre 2016

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.

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