Non più leggi, ma leggi migliori

03 Dic 2016

Francesco Pallante

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Il principale problema del nostro ordinamento costituzionale – continuano a ripetere i sostenitori del Sì – è il bicameralismo perfetto, un sistema che non ha eguali al mondo e che impedisce al Parlamento di produrre una legislazione al passo con i tempi. La questione, ai loro occhi, è semplice: poiché ogni legge deve essere approvata nel medesimo testo da entrambi i rami del Parlamento, basta una minima modifica apportata dalla Camera che svolge l’esame in seconda battuta per innescare un rimpallo, potenzialmente infinito, da una Camera all’altra. Risultato: l’impossibilità di rimanere in sintonia con un mondo in sempre più rapida e vorticosa evoluzione.

Ma, davvero le cose stanno così?

I dati degli uffici studi parlamentari raccontano un’altra storia. L’80% parte delle leggi viene approvata attraverso due soli passaggi (niente rimpallo, dunque); il 16% attraverso tre passaggi; il 3% attraverso quattro passaggi. Solo l’1% (anzi, meno: si tratta di 3 leggi sulle 391 approvate nel corso dell’ultima legislatura) richiede più di quattro passaggi. Ancora più incisivi i numeri relativi alla legislatura in corso: 80% delle leggi approvate in due passaggi e 17,4% in tre, solitamente a causa di interventi correttivi di errori non riscontrati in prima lettura. È il caso delle risorse destinate alla cura dei bimbi tarantini avvelenati dall’Ilva: i 50 milioni, prima promessi e poi scomparsi, verranno (forse) reintrodotti al Senato, ha dichiarato il sottosegretario De Vincenzi. Davvero paradossale, dato che l’esecutivo di cui fa parte continua a spiegarci la necessità di abolire il procedimento legislativo bicamerale…

Il punto è che non abbiamo bisogno di più leggi. Già oggi ne approviamo molte più del Regno Unito, più della Germania, un numero analogo a Francia e Spagna. Tant’è che se chiedessimo a qualsiasi cittadino italiano se nel nostro ordinamento ci sono tante o poche leggi, la risposta unanime sarebbe: «troppe». Quel di cui abbiamo bisogno è di leggi migliori. Meno leggi, fatte meglio. Leggi capaci di durare più a lungo nel tempo, e non soggette a continui interventi di modifica che incidono negativamente sulla certezza dell’ordinamento. E leggi dotate di una reciproca coerenza, e non ispirate a principi contraddittori tali da inficiare la omogeneità del sistema giuridico.

Due, recenti e clamorosi, esempi di cattiva legislazione sono il d.lgs. n. 50 del 2016 e la legge costituzionale n. 1 del 2016.

Il d.lgs. n. 50 del 2016, nuovo Codice degli appalti, è quello che – come ricordava Gian Antonio Stella – doveva servire a «far ripartire l’Italia». La vicenda è incredibile: il testo prodotto dal governo era talmente segnato da confusioni normative, rimandi interni sbagliati, errori di grammatica, svarioni di punteggiatura, che, dopo appena tre mesi, è stato necessario pubblicare un “avviso di rettifica” (di un atto avente forza di legge!) sulla Gazzetta Ufficiale. Una cosa mai vista, che è solo la punta di un iceberg fatto di ripetuti interventi di modifica sui testi legislativi appena approvati, di modo che non si ha mai la certezza che il testo legislativo consultato sia effettivamente l’ultimo entrato in vigore.

Quanto alla legge costituzionale n. 1 del 2016, si tratta di un intervento di modifica dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato dal Parlamento in parallelo al testo di riforma costituzionale ed entrato in vigore a fine agosto. Ebbene: non solo a nessuno è venuto in mente di cogliere l’occasione per rimuovere l’incompatibilità tra consigliere regionale e membro del Parlamento, che renderebbe impossibile alla regione di partecipare alla composizione del nuovo Senato, ma addirittura è stato realizzato un intervento sulle leggi di iniziativa popolare che contrasta apertamente con quello previsto nella stessa materia dalla riforma. E infatti, mentre per tutti i cittadini italiani la legge Renzi-Boschi aumenta da 50mila a 150mila il numero delle firme da raccogliere, il nuovo art. 27 dello Statuto friulano lo riduce da 15mila a 5mila! Qual è il senso di questa modifica? Perché lo stesso Parlamento, nello stesso arco temporale, intervenendo sullo stesso oggetto, agisce ispirandosi a principi opposti? Quale ragione giustifica l’aumento a livello statale e la diminuzione a livello regionale? Cose ne può dedurre il cittadino: che il nostro ordinamento vuole ostacolare o agevolare l’iniziativa legislativa popolare? O (forse) che ha la fortuna di vivere in una regione governata da un vice-segretario del Pd ha più diritti degli altri?

Ecco quel che di cui avremmo davvero bisogno: di un legislatore che, anziché di fare in fretta, si preoccupasse di fare bene. Che anziché preoccuparsi della quantità, si preoccupasse della qualità della legislazione.

Huffingtonpost.it, 01 Dicembre 2016

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