Mancano due argomentazioni: la prima è la risposta a Cacciari, Zampini, Carofiglio, una lunga schiera, ecc. che dicono che la riforma è una schifezza, ma che votano SI. Gli stessi non sono nemmeno capaci di esprimere il concetto di scegliere il dirigismo perché non hanno alcuna fiducia nel cittadino comune. Il loro atteggiamento è deleterio perché ingrossano le fila della maggioranza silenziosa, che preferisce affidarsi ciecamente a qualcuno che sembra poter ragionare in propria vece.
L’altra argomentazione necessaria è nei confronti di altri due trascinatori di menti impigrite: Benigni e Recalcati.
Benigni non mi sembra porti un’argomentazione diversa dalla fede in persona che è riuscita ad instaurare un rapporto di amicizia con lui: non so se c’è altro.
Recalcati è stato conquistato da un discorso di Renzi in cui veniva utilizzato il suo Telemaco per sfoggiare cultura ed estasiare gli ascoltatori, proporsi come arciere giustiziere dei proci, i rottamati.
Recalcati ha accettato questa sceneggiata: Napolitano è Ulisse che ritorna e Renzi è Telemaco. Ma possono i due individui vestire i panni di quei due personaggi? Quale mondo ha esplorato Napolitano? Non è il capo dei Proci? E Renzi è Telemaco o Narciso?
Io vedo due personificazioni diverse. Ulisse è meglio la costituzione esistente e Telemaco è la comunità dei cittadini italiana tesa alla ricerca di una società rinnovata.
Fra il dire e il fare ci sono le folle. Queste sono casse di risonanza che danno la possibilità a chi suona gli strumenti adatti di convogliare energie enormi estremamente difficili da governare. La difficoltà di gestire queste enormi energie è dovuta alle differenze di qualità e potenziale energetico dei componenti il meccanismo. È interessante capire come avviene l’esplosione del processo di risonanza: la folla è costituita da individui dotati ciascuno di una propria capacità ad essere sensibilizzato e a sensibilizzare il prossimo. Fra gli individui di una folla ne possono esistere alcuni in condizione, per situazioni particolari, di auto sensibilizzarsi e questi diventano centri attivi di propagazione. Ma questi centri attivi possono entrare in risonanza solo se vibrano all’unisono con chi gli sta vicino. Abbiamo la dimostrazione che chi la spara più grossa vince le elezioni e può governare fino alle elezioni successiva. Se questo criterio non produce buona società dobbiamo correggere questo sistema. Come si fa? È meglio pensarci bene. È questo il problema che rimane irrisolto chiunque vinca il referendum. Intanto meglio il NO.
Ho paura che non possano essere i grafici e le tabelle a far vincere un confronto in televisione, intendendo che vince chi raccoglie più consenso. Secondo me il fronte del No non si deve lasciar coinvolgere in questioni particolari in cui chi è schierato per il Si riesce facilmente a far passare gli avversari per persone che non hanno interesse a migliorare la Società. Il fronte del No vincerà facilmente se esprimerà pensieri positivi.
Il legislatore ha l’incarico importante di modificare le leggi per renderle, sempre più, strumenti efficaci per rendere la società meglio vivibile.
Premesso che il legislatore non deve mai dimenticare che una comunità di umani si trasforma in società quando gli stessi stringono un patto di solidarietà ed è in concomitanza con tale evento, che gli uomini e le donne si caratterizzano in cittadini e cittadine. Fare bene questo lavoro significa essere capaci di:
1) Riuscire a rilevare le inadempienze della legge nei riguardi della società.
2) Escogitare opportune modifiche per eliminare gli inconvenienti che derivano dalle inadempienze.
Tutti i politici che fino ad oggi hanno pensato di cambiare la Costituzione Italiana non mi sembra si siano attenuti ad un procedimento come quello espresso in precedenza e secondo me è proprio da questo che consegue l’incapacità a fare riforme costruttive di buona società.
Le inadempienze del sistema vigente sono sotto gli occhi di tutti e si possono riassumere in gran parte nel non aver dato seguito reale ai diritti proclamati dalla stessa Costituzione. Un modo efficace dei politici per lavarsene bellamente le mani è di dichiarare che questo dipende dai cittadini che non avrebbero la cultura del bene comune. Ma, individuata la carenza di cultura del bene comune come causa del male è proprio la crescita di questa l’obiettivo principale…
Ma, individuata la carenza di cultura del bene comune come causa del male è proprio la crescita di questa l’obiettivo principale che si dovrebbero porre i politici. Questi invece, soggiogati dai facili criteri valutativi espressi in termini esclusivamente monetari, hanno sviluppato la gerarchia conseguente dei propri cittadini. Teniamo presente che la società vive naturalmente una propria inerzia culturale che resiste ai tentativi di trasformazione. Fare leggi che inducano la crescita culturale, insita nell’obiettivo principale prima espresso, non è cosa semplice.
Varrà un esempio: il legislatore, sospinto da necessità reali, esprime una legge per sostenere economicamente le famiglie in stato di necessità. È probabile che sul piano culturale il provvedimento si traduca soltanto nella rincorsa dei cittadini a rientrare nei benefici economici. Il legislatore più attento dovrebbe tener in massima considerazione il fatto che la famiglia è un’agenzia primaria di scambio culturale fra i suoi componenti e la società che è formata dai componenti di altre famiglie. Ogni famiglia dovrebbe essere sospinta a non vedere le altre come propria concorrente ma, piuttosto come alleata nella cooperazione a stare insieme meglio. Fino ad oggi ho visto sempre trascurato da tutti questo aspetto. Per come la società si è sviluppata nel tempo, la questione economica è fondamentale ma si deve cercare di elargire il denaro non come facile carità al singolo ma sempre più rivolgendolo alla soluzione di problemi comuni e investendo di responsabilità accomunante proprio tutti quelli che nel problema sono coinvolti. Potrei entrare nel merito e proporre una soluzione, ma non voglio allontanarmi troppo dal problema generale. Spero che l’esempio sia esauriente per comprendere un nuova modalità di approccio suggerita al legislatore.
Passando alle riforme costituzionali ho l’impressione che mai si siano proposte di perseguire l’obiettivo generale prima considerato. I fautori del SI hanno buon gioco a dire: “Stiamo facendo quanto Voi volevate fare ma non siete stati capaci di fare.” Secondo me i fautori del NO più convincenti sono proprio le persone poco coinvolte politicamente che meglio esprimono il disagio dei diritti proclamati e mai mantenuti e possono tranquillamente accusare tutti i politici per essere causa del tradimento perpetrato del patto non mantenuto di una società solidale.
Al cittadino si può chiedere: “Appartieni ad un potere dello Stato che può influire sulle decisioni dello Stato?” Chi può rispondere affermativamente? Certamente non possono rispondere SI i cittadini che sono chiamati a votare a distanza di tempo e successivamente vivono estraniati nel proprio tran tran quotidiano fino alle successive elezioni; potrebbero invece rispondere SI i cittadini coinvolti nella politica con qualche potere, quelli in posizione chiave, come i giornalisti per influire sull’opinione pubblica, e più di tutti i detentori di potere finanziario che dettano ai…
Al cittadino si può chiedere: “Appartieni ad un potere dello Stato che può influire sulle decisioni dello Stato?” Chi può rispondere affermativamente? Certamente non possono rispondere SI i cittadini che sono chiamati a votare a distanza di tempo e successivamente vivono estraniati nel proprio tran tran quotidiano fino alle successive elezioni; potrebbero invece rispondere SI i cittadini coinvolti nella politica con qualche potere, quelli in posizione chiave, come i giornalisti per influire sull’opinione pubblica, e più di tutti i detentori di potere finanziario che dettano ai governanti le regole di comportamento che più li soddisfano. A chi risponde NO alla domanda precedente si può fare l’ulteriore domanda: “Ti sembra che la riforma costituzionale se venisse applicata ti darebbe maggior potere di influire sulle decisioni dei governanti?”. Al NO che chiaramente si otterrebbe, dovrebbe seguire una proposta costruttiva proprio per cercare di adempiere al dettato “IL POTERE AL POPOLO”. L’attuale riforma si propone un obiettivo diverso : Fare crescere il PIL.
Mieli è intellettualmente onesto? A che serve studiare la Storia? Forse perché in questo modo si può parlare tranquillamente senza essere contraddetto. Non è assolutamente colpevole chi tiene un atteggiamento ambiguo mentre governa in un territorio nel quale la camorra ha un potere incontrastato è soltanto folclore. Sono importanti i fatti. Infatti Liborio Romano che per commissione di Cavour si mise d’accordo con la camorra per tenere a freno la popolazione di Napoli all’arrivo dei garibaldini divenne un eroe del risorgimento e ha dato l’impronta alla questione meridionale che stiamo ancora vivendo.
Fra il dire e il fare ci sono le folle. Queste sono casse di risonanza che danno la possibilità a chi suona gli strumenti adatti di convogliare energie enormi estremamente difficili da governare. La difficoltà di gestire queste enormi energie è dovuta alle differenze di qualità e potenziale energetico dei componenti il meccanismo. È interessante capire come avviene l’esplosione del processo di risonanza: la folla è costituita da individui dotati ciascuno di una propria capacità ad essere sensibilizzato e a sensibilizzare il prossimo. Fra gli individui di una folla ne possono esistere alcuni in condizione, per situazioni particolari, di auto sensibilizzarsi e questi diventano centri attivi di propagazione. Ma questi centri attivi possono entrare in risonanza solo se vibrano all’unisono con chi gli sta vicino. Abbiamo la dimostrazione che chi la spara più grossa vince le elezioni e può governare fino alle elezioni successiva. Se questo criterio non produce buona società dobbiamo correggere questo sistema. Come si fa? È meglio pensarci bene. È questo il problema che rimane irrisolto chiunque vinca il referendum. La signora Gruber è una fine manipolatrice di opinione pubblica. Per anni è stata capace ti tenere la parte di persona pervasa da volontà di prestare il servizio di verità. Qualcuno evidentemente le ha detto oggi che è giunto il momento di far fruttare questa condizione privilegiata raggiunta con tanti sacrifici. Abbiamo visto con quali modalità ha diretto il dibattito al quale hanno partecipato la ministra Boschi e il costituzionalista Onida. A quest’ultimo tutta la mia solidarietà. Mi sembra necessario fare qualcosa di più: una raccolta di firme ed un esposto all’ordine dei giornalisti e al presidente della Repubblica se può contare qualcosa. chi ne sa più di me intraprenda un concreta strategia.
Ho tentato di mandare un messaggio a Fabrizio Barca ma non so se per colpa mia o sua non ricevo risposta. Purtroppo non avevo fatto un file di salvataggio e devo ricostruirlo a memoria.
Barca sostiene che voterà SI perché, anche se la riforma non cambia in niente la situazione della società Italiana si farà portavoce nei riguardi di Renzi perché questi formuli in questi dieci giorni che ci separano dalla data fatidica un progetto di riforme veramente di sinistra che galvanizzi il suo popolo sposti verso il SI una buona massa di cittadini e rimanga come agenda per la fase successiva del governo. L’assurdo è che si affida a coloro che, come si deduce dalla sua stessa analisi, non ha fatto questa riforma per altro che questi due motivi:
1- Dimostrare di essere l’ uomo del fare e così allargare il proprio consenso sia fra chi ha problemi di sopravvivenza sia fra chi ha invece più potere economico.
2- Tenere a freno i disagiati, che possono vivere nel frattempo nell’illusione del dopo.
Ho letto un bel numero di adesioni a questa tesi come di persona di buon senso; altri invece lo accusano di essersi lasciato corrompere e di aver tradito nella speranza di conservare una poltroncina. Io non credo. Mi sembra piuttosto un atteggiamento di persona che crede nel proprio partito al punto da rimanerne abbagliato e la fiducia è tanta da fargli perdere la visione fondamentale di aver fiducia nei cittadini. Persino il bel piano di sinistra (come i suoi tentativi inefficaci di correggere l’organizzazione del partito) risentono di questo errore fondamentale: a noi non importa la società importa solo che il partito sia grande e che ci si stia bene.
UNO SLOGAN
Vota contro il cattivo dirigismo: Vota NO. VOTA PER FARE LA BUONA POLITICA DEMOCRATICA VOTA NO
Riporto dal “complesso di Telemaco” di Massimo Recalcati, proponendo, tra parentesi punto per punto, quanto mi sembra di aver capito:
“La vita come tale, come evento di natura, come vita animale, si aggrappa alla vita; la vita vuole vivere (più drammaticamente: non vuole morire). La vita è volontà di vita, volontà di ripetizione di se stessa. Non c’è alcuna differenza, da questo punto di vista, quando si osservano un bambino e un gattino succhiare il seno e la mammella della propria madre. La vita è fame di vita, spinta di sopravvivenza, spinta auto affermativa di se stessi. La vita vuole la vita. Cosa deve accadere perché la vita si umanizzi? Per Lacan il luogo primario della umanizzazione della vita è quello del grido. Siamo stati tutti dei gridi perduti nella notte. Ma cos’è un grido? Nell’umano esprime l’esigenza della vita di entrare nell’ordine del senso, esprime la vita come appello rivolto all’altro. Il grido cerca nella solitudine della notte una risposta nell’altro. In questo senso, ancora prima di imparare a pregare e ancora di più nel tempo in cui pregare non è più come respirare, noi siamo una preghiera rivolta all’altro (la preghiera non è sicuramente un’imposizione da un punto di forza, ma la richiesta all’Altro di riempire il vuoto in cui la nostra caratteristica naturalmente diversa di privatezza dagli istinti ci ha lasciato quando alla nascita abbiamo perduto la protezione e il nutrimento del ventre materno). Il grido cerca nella solitudine della notte (Proprio nella condizione di massima solitudine di chi grida) una risposta nell’Altro (nella relazione e non solo nel soddisfacimento succube delle proprie necessità). ……. La vita può entrare nell’ordine del senso (umano) solo se il grido viene raccolto dall’Altro, dalla sua presenza e dal suo ascolto. Solo se l’Altro risponde alla nostra preghiera. Se viene tradotto da questa presenza in appello (L’Altro pensa: “mi ha chiamato”; l’Altro non è come per gli altri esseri viventi il sostitutivo del ventre materno ma ha la piena dignità di agente in relazione; chi è stato genitore ha fatto l’esperienza del neonato che già dai primi vagiti anche se sazio, ben coperto dal freddo, pulito, piange lo stesso perché vuole semplicemente la presenza di qualcuno, la presenza dell’Altro). Ecco l’evento primario in cui la vita si umanizza: quando il grido è tradotto in una forma radicale di domanda; quando il grido diventa domanda d’amore, non domanda di qualcosa, non di oggetto, ma segno di desiderio dell’altro, domanda della presenza dell’Altro (che l’Altro sia presente, non che faccia qualcosa di preciso per noi ma che ci nutra della sua presenza). In questo modo è il soccorso dell’Altro (agente non condizionato che si rende presente rispondendo al grido: alla richiesta indefinita d’aiuto) che estrae la vita dal suo “abbandono assoluto”, dal suo abbandono che accompagna la sua venuta al mondo.”
Gli psicologi (così come Massimo Recalcati nel brano precedente) hanno approfondito il significato di umanità ipotizzando le modalità attraverso cui si compie il salto di qualità fra gli uomini e gli altri esseri viventi sulla terra. L’uomo alla nascita è il più ignorante degli esseri viventi, nel senso che gli vengono dati meno modi di vivere precostituiti, pochissimi istinti che lo aiutino a vivere. In sostituzione degli istinti, proprio perché ignorante, vive imparando e inizialmente, molto di più degli altri esseri viventi, deve essere accudito dai genitori e reso indipendente attraverso l’insegnamento. Lo stato di imperfezione dell’uomo comporta da una parte la necessità di una relazione di reciprocità fra i genitori che elargiscono al figlio il proprio amore (la propria insostituibile presenza, la piena dedizione nell’averne cura) e il figlio stesso che manifesta la propria egoistica richiesta di attenzione esclusiva che sopperisca alla propria inettitudine; ma proprio la stessa ignoranza dovuta all’imperfezione iniziale (la mancanza degli istinti) può esplicarsi in comportamenti, che appaiono a prima vista incoerenti, come quando sembra che i genitori trascurano i figli allontanandosi dagli stessi ma è proprio questo a rendere possibile di organizzare la gestione della famiglia in modo umano, cioè di integrarla nella società. L’alternanza di assenza e presenza dei genitori allarga l’orizzonte dei figli; l’Altro non è più solo un genitore ma chiunque entra intensamente in relazione. Mentre i figli crescono il loro desiderio dell’Altro deve diventare convincimento che quella lontananza non è assenza per disamore; solo in questo modo l’alternanza di periodi di presenza amorevole e di lontananza motivata rende possibile la crescita umana che è affidamento alla società umana fatta coincidere con la presenza dell’Altro e poi inserimento nella stessa per assolvere a compiti assegnati per contribuire alla stessa e contemporaneamente trarne giovamento di convivenza. La presenza dell’Altro propone un modello generale di comportamento mentre la lontananza senza disamore rafforza il comportamento che persegue il bene. Sembra quindi che l’uomo aspiri, sia destinato al bene perché proprio vivere bene lo farebbe stare meglio, e però avviene invece che l’insipienza (il disamore egoistico) spesso lo faccia agire in modo contrario. L’evoluzione impressionante della tecnologia messa a confronto con l’evoluzione umana nel senso delle sue relazioni sociali fa apparire quest’ultima lentissima o addirittura in arretramento. Capire perché questo avvenga è fondamentale per poter introdurre modifiche culturali nella società che favoriscano le giuste aspirazioni dell’uomo verso il bene
Io faccio l’ipotesi che mi sembra verosimile che le condizioni dell’uomo nel periodo successivo alla nascita siano spesso tali che l’individuo rimanga ancorato al proprio stato di egoismo infantile. La richiesta d’amore del grido nella notte non riceve purtroppo risposta con la presenza dei genitori, ma si tende a rispondere per comodità o necessità della vita moderna con palliativi come il cibo, e via, via altre distrazioni che, se vengono dati senza far sentire la propria presenza, senza amore, trasformano il desiderio dell’Altro in bisogno di un feticcio sostitutivo; il grido nella notte che chiedeva la presenza dell’Altro per un affidamento fiducioso senza condizioni, si trasforma nell’urlo assillante per chiedere quanto procura piacere.
L’infantilismo egoistico iniziale non evolve, non matura ma si rafforza e trasforma in carattere definitivo che si sviluppa in modalità di crescita basate sull’acquisizione del possesso personale del bene sia questo materiale o capacità culturale (professionalità), e così affievolendo il desiderio della presenza dell’Altro che (se non fosse ridotto a oggetto da utilizzare) avrebbe sviluppato in ciascuno desideri positivi quali di voglia di crescere, di conoscenza, di condivisione, di partecipazione, di creatività, di pieno rispetto del prossimo. L’infantilismo egoistico unito alla enorme capacità intellettiva tutta mirata alla tecnologia propone così una umanità incapace di riconoscere non soltanto i propri limiti ma anche che la natura e la vita possono continuare il proprio percorso soltanto mantenendosi in un equilibrio che l’uomo non deve sconvolgere.
Nell’uomo la presenza del consimile si esplica oltre le necessità della sopravvivenza dell’individuo e della specie e cioè, a somiglianza di cibo e di sesso, assolutamente necessari alla vita, oltre questi bisogni esiste per vivere come uomo, il desiderio delle relazioni con il consimile. Succede però purtroppo, che l’organo della socializzazione umana (il desiderio dell’Altro) che dovrebbe sviluppare il modo di crescita culturale sociale viene utilizzato poco e male e perciò la sua importanza si riduce, decade, assomiglia sempre più ad una propaggine del passato, relitto, di un organo oramai inutile. La società, che si è pur costituita, si impernia invece proprio su quegli strumenti palliativi che hanno soppiantato il desiderio della presenza dell’Altro.
Il regalo più grande dovrebbe essere il piacere reciproco di stare insieme, di esplorare insieme il mondo che ci circonda; il resto necessario alla sopravvivenza non può essere dimenticato, secondo me funzionerà tanto meglio quanto più viene considerato come parte del mondo da esplorare insieme agli altri.
Il dovere più grande è di non arrendersi. Infatti non si può metter in dubbio che i risultati attuali della società umana oggi corrispondano allo stato presente di tutta l’evoluzione del genere umano; é perciò che come il presente appartiene agli uomini del passato nel senso che ce l’hanno lasciato in eredità, così il futuro appartiene agli stessi e a noi che lo lasceremo in eredità a coloro che abiteranno la terra dopo di noi. La condizione attuale non è certamente soddisfacente, però esiste un motivo di grande speranza, ci sono state trasmesse grandi capacità di esplorare profondamente sia le manifestazioni della Natura che quelle della Società Umana.
Credo che per quanto già detto sia importante imparare e insegnare a nutrire il desiderio dell’Altro; per esempio abbiamo perduto quasi completamente il significato di donazione, perché l’oggetto donato invece di avere il significato di essere dato dal donatore è sempre più il soddisfacimento di desiderio specifico per il quale il donatore ha fatto solo da tramite. Non si dona più ciò che si è capaci di fare ma ciò che ci viene chiesto e, naturalmente se siamo capaci di comprarlo. Invece, solo il dono di quanto si sa fare rafforzerebbe veramente e profondamente il legame relazionale fra chi riceve e chi dà.
Una logica simile interviene anche per la vendita e l’acquisto: il venditore è quasi sempre intermediario fra chi produce e chi acquista: l’intermediazione avviene quasi completamente attraverso il prezzo, cioè il denaro e questo falsa il significato dell’attività commerciale. Infatti quest’ultima invece di assolvere al compito primario di distribuire i beni prodotti alla popolazione ha assunto il significato principale di trasformare i prodotti in denaro. Avviene, come fatto normale che il prodotto viene dato solo a chi può pagarlo non a chi ne ha bisogno; ma oltre questo risvolto negativo sul piano economico della sussistenza delle persone, la trattativa commerciale, completamente monetizzata, disumanizza i rapporti fra le persone. Il problema è che la moneta offrendo grandi vantaggi sul piano pratico, come la libertà di scelta, il differimento o l’anticipazione dell’approvvigionamento, ha fatto perdere di vista altre cose essenziali ancora più importanti come l’insieme di qualità di buon vivere che il venditore offre che dovrebbero essere incentrate sulla bontà ma anche sul buon uso del prodotto venduto.
Il prodotto decade a oggetto “usa e getta”; non si generano le relazioni fra chi lo ha prodotto e chi lo usa che piuttosto che chiederne la manutenzione acquista un nuovo oggetto equivalente.
Io credo che le difficoltà in cui si trova attualmente la società umana, siano dovute in massima parte ad un convincimento che sta alla base dell’attuale economia; si ritiene essere lavoro un’attività che produce un bene vendibile e perciò trasformabile in denaro. Secondo me invece deve essere considerata lavoro una qualsiasi attività che produca benessere. Oggi le attività che non producono un bene vendibile si considerano parassitarie a priori e spesso lo sono veramente, infatti non avendo definito il lavoro come produttore di benessere non hanno altra finalità se non quella di pagare lo stipendio agli addetti. D’altra parte chi produce un bene vendibile si sente giustificato pienamente dal proprio guadagno e può perdere tranquillamente di vista la produzione del benessere generale.
L’uomo che acquisisce la consapevolezza della necessità di avere insieme ad altri uomini la finalità di perseguire il bene comune si trasforma allarga i propri orizzonti diventando cittadino. Deve però superare le difficoltà di avere una visione ristretta dovuta alla limitatezza delle proprie relazioni condizionate dai propri interessi particolari, come la famiglia e il proprio impegno nell’espletamento del compito (lavorativo o comunque sociale) assegnatogli.
La ricerca continua per ottenere un maggior rendimento dalle attività (reso facilmente confrontabile, attraverso il guadagno monetario) ha indotto nella società la frantumazione dei compiti e la specializzazione degli addetti. La società si è trasformata in una organizzazione molto complessa in cui ciascuno ha la necessità di vivere in relazione con molti altri, ma ha difficoltà notevoli ad avere la visione generale che sola può permettere il miglior rendimento complessivo.
Insorge così in modo direi naturale la necessità di un governo che detti le regole per rendere possibile la convivenza di tanti interessi contrapposti.
La classe dei politici deve perciò assumersi il compito delicato e complesso di raccogliere le istanze (il grido) dei cittadini e di renderlo coerente ad una necessità più generale della società e di questo naturalmente si deve sentire responsabile; la elaborazione delle regole di convivenza deve scaturire dal confronto delle idee nel modo più aperto possibile alla partecipazione dei cittadini allo scopo di creare vera condivisione e così il clima di più facile attuazione.
Questi sono solo i principi da tenere presente, bisogna naturalmente continuare a pensare per migliorare sempre di più l’organizzazione del tutto in modo che il governo come i genitori, come qualsiasi rappresentanza di potere non sia un organizzazione di pronto soccorso, ma sempre di più una entità sicura di riferimento il più adatta possibile a fare crescere i cittadini nella propria dimensione umana.
Egr. dott. Carofiglio, qualche giorno fa, mi è capitata sotto gli occhi la presentazione di un suo libro, al margine della quale dichiarava il SI per il referendum senza nessuna motivazione trattando il fatto con la stessa superficialità che può attenere alla scelta del menù al ristorante. Proprio perché ho letto con piacere qualche suo libro, consapevole dell’influenza che può avere su quei suoi lettori che appartenendo ai tanto numerosi male informati, sperano di fare bene evitando la fatica del rendersi consapevoli e lasciandosi guidare da chi gli appare più affidabile, cercai di inviarLe (senza riuscirci) un mio scritto chiedendole di esporre le sue ragioni. In vero mi era rimasto il dubbio che se si fosse dichiarato per il NO il mio atteggiamento sarebbe stato diverso. Oggi la situazione è cambiata perché ho ascoltato le sue motivazioni nella trasmissione Otto e mezzo e spero di poterLa contattare.
Ho potuto constatare, senza provare alcun piacere, che Lei come altri del PD (ad esempio Fabrizio Barca) pone l’interesse verso il partito al disopra di tutto anche della società e del suo bene comune. Questo modo di pensare è un lascito di quando tutti i partiti riuscivano ad imporre mediante l’ideologia ai propri aderenti un rapporto di fedeltà del tutto simile a quello imposto con i dogmi ai fedeli di un credo religioso.
Le ideologie si sono svuotate di significato per l’evoluzione della società sospinta dalle nuove tecnologie e trascinano con se i partiti. Anche se lo scontro ideologico non portava alla soluzione il confronto definendo chi avesse ragione, creava la sana amalgama negli schieramenti di modo che gli eletti alle rappresentanza non potevano sfuggire alle regole implicite di doversi attenere alla buona condotta. Indipendentemente dal loro contenuto e dalla prospettiva di società sognata, le ideologie quando non tradivano in modo inconciliabile il principio del bene della comunità umana avevano la funzione essenziale di creare ambiente adatto a relazioni sociali solidali e accomunanti. É come se il il principio del bene della comunità umana basato sulla solidarietà proponesse delle finalità intermedie più facilmente riconoscibili da insiemi di cittadini e perciò li vincolasse a legami relazionali (il principio di appartenenza). Sia il cittadino comune elettore che il suo rappresentante eletto appartenevano a quella rete di vincoli e la società ne ricavava il beneficio di solidità. Lo Stato italiano è imperniato sulla distribuzione del potere ottenuta mediante la delega della rappresentanza.
Fra gli effetti delle tecnologie si è sempre verificato che queste facilitando l’esecuzione di qualche compito facesse diminuire la necessità di impegnarsi insieme ad altri collaborando e naturalmente indebolendo le relazioni più efficaci nel farlo. In tutte queste evenienze il principio del bene comune ha dovuto sempre correre ai ripari escogitando funzioni culturali di correzione per ritessere la rete delle relazioni. Questo è il…
Questo è il progetto ancora non realizzato della costituzione.
Dibattito: Conviene il decisionismo istituzionalizzato o la democrazia realizzata?
La discussione di ieri a otto e mezzo si è sviluppata proprio intorno a questo quesito.
I fautori del decisionismo fanno passare queste riforme alla costituzione come innovazione mentre in realtà approfittano delle inadempienze della politica, incapace di trasformare quello che è un progetto politico (la Costituzione) nel modo d’essere della società, nella sua cultura.
I decisionisti, fautori del SI vogliono perpetuare un concetto: Chi siete voi per giudicarmi? Sono eletto dalla maggioranza del popolo italiano. Nessuno mi può giudicare. Il governante senza alcun vincolo può, come abbiamo visto recentemente fare a De Luca, dividere il territorio in mandamenti e dire a chi lo rappresenta: vai fra le persone che contano, quelle che più possono influire sugli altri e fagli promesse in cambio dell’appoggio dello Stato che gli darà la possibilità di fare. Ora è il momento di consolidare il potere clientelare che ci servirà a vincere ancora.
Una democrazia veramente realizzata concepisce il governante come uno strumento per espletare un servizio: gestire la cosa pubblica (la Repubblica) attraverso le istituzioni dello Stato. Perciò le istituzioni dello Stato devono essere equipaggiate a mettersi in relazione con i cittadini, cioè dare da una parte a questi il massimo della possibilità di esprimersi confrontandosi e dall’altra a se stesse la capacità di ascoltare e entrare nel merito delle discussioni per poter cogliere gli spunti della evoluzione positiva e farne sintesi, espressione di progetto da restituire alla discussione con i cittadini e con i governanti. Io voto NO per non perpetuare il decisionismo che già da troppo tempo impedisce le buone relazioni della solidarietà democratica.
Guardandoci indietro, Prodi è stato un decisionista o un democratico consultivo?
Prodi dice, per quella che è stata la mia storia personale voto SI.
Questo è emblematico di un modo dì pensare e di essere. “In considerazione del fatto che ressi a lungo le sorti delle umane cose per reggere più facilmente il peso di questa enorme responsabilità è d’uopo che costruisca per me e per gli altri una visione del possibile che mi scagioni di qualsiasi attività venne compiuta quando detenevo il potere”. Il messaggio di Prodi si rivolge ad una platea eterogenea di cittadini che hanno percorso con lui il periodo della sua influenza decisionale.
Il cittadino al contrario del governante, proprio perchè si tratta della propria esistenza, osserva quanto ha fatto in passato con spirito critico, nella speranza di evitare in futuro gli errori fatti. Non può fare altro che guardare la società come un ambiente implacabilmente definito sul quale non può in alcun modo influire, nel quale deve scegliere come muoversi e il responso della scelta gli viene dato solo dal risultato. La quasi totalità della moltitudine non può fare altro che accettare i risultati come una fatalità. È così che la costruzione della visione virtuale è diventato strumento per il mantenimento del potere decisionale esente da qualsiasi critica.
La gestione governativa di Prodi, visti i pessimi risultati (Iva di Taranto, Enorme carrozzone della giustizia: dedito alla produzione e gestione del contenzioso, smantellamento di gran parte della produzione alimentare nazionale, sostituita dalle importazioni dall’estero ecc) ha fallito completamente il compito di migliorare la società. La visione virtuale riuscì a proporre uno scenario politico con due grandi blocchi. La contrapposizione degli schieramenti ha avuto come scopo fondamentale la vittoria nella rincorsa al potere. La necessità di fronteggiare meglio l’avversario ha imposto l’eliminazione delle voci critiche interne. Il decisionismo si è imposto nel concreto di tutte le azioni politiche. L’impatto culturale è sotto gli occhi di tutti ma, tutti scaricano le colpe tranquillamente su pazzi, corrotti, impreparati ecc. Gli esperti possono dire anche il contrario ma la gente comune afferma perentoriamente che la crescita culturale della società può accadere solo per destino imperscrutabile. Ai fatti incresciosi, come il medico e l’amante infermiera di Saronno, ai morti sul lavoro per pulire una cisterna (ultimi della lunga fila), all’aereo che viaggia con poco carburante per risparmiare e precipita non c’è rimedio: così va il mondo.
Ma la società umana invece cambia in continuazione alla ricerca del miglioramento. Non lasciamoci confondere da falsi obbiettivi, come la forsennata ricerca dell’aumento del PIL che nessuno può proclamare sarebbe stato il toccasana per salvare quei morti; chi può invece ritenere inutile istituzionalizzare la democrazia che impone a chi prende decisioni di soggiacere molto di più al controllo di un…
Ma la società umana invece cambia in continuazione alla ricerca del miglioramento. Non lasciamoci confondere da falsi obbiettivi, come la forsennata ricerca dell’aumento del PIL che nessuno può proclamare sarebbe stato il toccasana per salvare quei morti; chi può invece ritenere inutile istituzionalizzare la democrazia che impone a chi prende decisioni di soggiacere molto di più al controllo di un cittadino consapevole del proprio interesse e responsabile?
Mi sembra opportuno entrare nel merito di tutta la vicenda referendaria proprio perchè in tanti se ne sono interessati. Faccio una serie di osservazioni:
Non so cosa intendono gli italiani essere la Costituzione. Io spero che la intendano essere un insieme di principi, dedotti dai saggi padri costituenti facendo tesoro delle proprie esperienze vissute e proprio per evitare le manchevolezze dei limiti di ciascuno assoggettandosi al vaglio delle esperienze degli altri per accrescere le proprie. I principi scritti nella costituzione proprio perchè espressione di personalità differenti ma che si erano opposti in blocco all’idea fondata sul premio al più forte della dittatura fascista, si avvicinano moltissimo ad esprimere il nucleo fondamentale della coscienza umana comune.
Le due campagne referendarie sono state paradossalmente entrambe fondate sulla paura:
L’argomentazione espressa con maggior vigore dai fautori del “SI”, secondo me non ha riguardato la riforma ma la necessità di adattarsi il meglio possibile al sistema di potere globale esistente. L’ammonimento della propaganda più agguerrita del “SI” è stato: guardate che cosa ci chiedono i gestori del mondo, quelli che contano. La situazione internazionale in crisi profonda esprime la necessità di cambiamenti all’impostazione globale ma mentre è fortissimo prevalente nella popolazione il sentimento di auspicare una società più giusta e solidale per far fede all’esortazione espressa dai principi dei diritti dell’uomo, resistono come una muraglia invalicabile le abitudini e i comportamenti adattati alle modalità oramai razionalmente superate della necessità di premiare il vincitore per ottenere dallo stesso la spinta ad espandere le scelte di maggior profitto. Il sistema globale oggi vigente continua a premiare il profitto invece le popolazioni chiedono altro: moltitudini si fanno sentire nell’unico modo che gli è concesso, mettendo a repentaglio la vita per ottenere il cambiamento.
L’insieme caotico della propaganda per il “NO” trova al di là degli accorgimenti tattici, la spinta unitaria nella paura che il governante sia sospinto all’azione proprio dagli attuali governanti del mondo e voglia eliminare dalla costituzione quei vincoli, certamente utilizzati male con pessimi risultati, ma che invece contengono proprio lo spirito della costituente. Le riforme alla costituzione non si possono fare tradendone lo spirito fondante.
La popolazione che ha votato “NO” chiede che si dia attuazione al principio mai veramente osservato: Il Popolo è Sovrano e si costruisca l’organizzazione più adatta a permettergli di trasmettere ai governanti le proprie aspirazioni di solidarietà e giustizia.
Fare qualcosa per le banche: forse istituire commissioni popolari sorteggiate periodicamente fra i clienti delle filiali delle banche (tutte) di una circoscrizione territoriale che possano avere la visione sintetica dei flussi di denaro sul territorio del circondario per acquisire una conoscenza delle potenzialità, e degli sviluppi possibili.
L’abitudine di farsi contare per non contare niente.
La mia storiella di ieri e di oggi mi sembra molto esplicativa della differenza che esiste fra chi conta e chi si fa contare.
Premesso che vivo in Lombardia che tanto si loda e si imbroda.
Ieri dopo le molte insistenze di mia moglie mi recai dalla dottoressa per informarla che spesso durante la notte se non mi sveglio da solo mi sveglia lei spaventata perché rimango a lungo in apnea. Per capirci qualcosa di più la dottoressa mi ha detto di sottopormi a “Monitoraggio incruento della saturazione arteriosa” e che avrei potuto usufruire di un ospedale di gestione pubblica molto vicino, dove mi avrebbero dato un apparecchietto da tenere la notte per la rilevazione. Tornato a casa ho cercato di prenotarmi mediante l’apposito centralino della regione, ma l’impiegata mi ha detto che a Lei quell’ospedale non risultava abilitato per la prestazione prescritta ma che se la dottoressa diceva il contrario era opportuno accertarsene direttamente presso la struttura però non aveva un numero di telefono per contattarla. Perciò mi sono recato all’ospedale. Alla accettazione c’era una lunga coda; perciò preso il numero per accedere in sequenza ordinata allo sportello, siccome avrei dovuto attendere un bel po’ di tempo ho pensato di fare un giro nei corridoi e ho chiesto informazioni al personale che ho incontrato. Finalmente mi è stato detto che senza passare dallo sportello, dovevo recarmi direttamente alla ricezione del poliambulatorio. Le impiegate. però mi hanno detto che l’ospedale aveva smesso di farsi carico di quella prestazione e che nelle vicinanze un ospedale privato avrebbe sopperito alle necessità. Tornato a casa ho telefonato all’ospedale segnalatomi e così sono venuto a conoscenza che la prima possibilità di avere la prestazione era in data giugno 2018. Non mi rimaneva altro che chiedere un nuovo appuntamento alla dottoressa per cercare una soluzione.
Ma la notte porta consiglio e stamattina appena sveglio, ho cercato su internet il prezzo dello strumento per il “Monitoraggio incruento della saturazione arteriosa”. Credevo di avere come risposta qualche centinaio di euro invece mi manderebbero a casa il più economico per 20,50 euro e in 7 negozi si vende a 17,75 euro iva compresa. Non mai eseguito un acquisto in internet, perciò incaricherò uno dei miei figli. Quasi sicuramente potrò inserire questa spesa con le medicine nel 730. Dopo aver utilizzato lo strumento lo metterò a disposizione di chi recandosi dalla dottoressa avesse la stessa mia necessità. Posso dire che ieri mi son fatto contare più volte ed oggi sono in condizione di contare.
Ho creduto opportuno raccontare la mia storiella di ieri e avantieri perché la ritengo emblematica di quanto mi è successo di sapere da due libri di Jermy Rifkin e precisamente: “Entropia, la fondamentate legge della natura da cui dipende la qualità della vita” “La società a costo marginale zero”. Ho tentato più di una volta di divulgare quello che ho capito del suo insegnamento; evidentemente converrebbe che in molti leggano questi libri; però in realtà l’evoluzione avviene comunque, come è già avvenuto in passato. La storia dell’uomo, non quella degli episodi eclatanti e delle personalità di grande rinomanza, ma quella dell’evoluzione della società ci racconta come nella stessa si contrappongono oggi come si sono contrapposti in passato due paradigmi il primo, vigente, consolidato che utilizza le forme di energia il cui uso l’uomo è stato capace di rendere pienamente utilizzabili divulgandone la conoscenze e adattando completamente la propria società attraverso le tecnologia delle apparecchiature costruite a tale scopo; il secondo non ancora consolidato perché la sua conoscenza non è ancora pienamente diffusa e la maggioranza dei singoli uomini non l’hanno acquisita. I paradigmi hanno influenzato e continueranno a influenzare la società molto di più di quanto possa apparire dalla storia degli episodi eclatanti e dei personaggi rinomati. Le grandi rivoluzioni che modificano le istituzioni degli Stati sono state sempre conseguenza delle nuove energie resesi disponibili, delle modalità con cui se ne è diffusa la conoscenza e possiamo tranquillamente dire che le tecnologie determinano il modo di organizzarsi per ottenere dall’energia disponibile il miglior rendimento. Leggete e divulgate la conoscenza innovativa per quanto ne siete capaci!! Forse il nuovo paradigma propone globalizzazione a minimo costo della conoscenza e attività produttive localizzate per utilizzare l’energia diffusa al miglior rendimento che non significa assolutamente crescita del PIL ma del benessere. La modalità del Pil fa parte del vecchio paradigma ne dobbiamo tener conto solo finché non siamo riusciti a sostituirlo.
Credo necessario avere il coraggio guardare la costituzione con spirito critico costruttivo perché se la stessa non è riuscita a creare una società che non dico si attenga a suoi sani principi ma nemmeno aspiri a fare degli stessi la guida delle sue regole di comportamento, il risultato deludente non può che significare che le istituzioni dello Sato hanno la capacità di trasformare quei principi che la grande maggioranza dei cittadini accetta, in regole di comportamento legalizzate assolutamente in contraddizione con gli stessi. Per esprimere la mia opinione, suffragata dalla astensione in crescita continua, avviene che il solo strumento del voto è oramai considerato dalla maggioranza dei cittadini un espediente dei politici per acquisire il diritto di appartenenza alla casta dei governanti con tutti i privilegi che nel tempo sono riusciti ad assegnarsi. L’impegno dei difensori dei principi costituzionali deve perciò essere di fare rientrare fra le Istituzioni dello Stato il cittadino come fattore vero di contrappeso rispetto agli altri organi dello Stato. Le parole della costituzione devono veramente godere del supporto del cittadino. Oltre al Presidente della repubblica, ai Parlamenti, alla Corte Costituzionale, al Potere Giudiziario e al Potere Esecutivo manca una istituzione dello Stato che controbilanci tutti questi poteri che è il Potere del Cittadino. Quando escludiamo questo potere, non fornendogli buona capacità, indipendenza e strumenti appropriati è sotto gli occhi di tutti come gli altri poteri si riuniscano in alleanza di élite che ha una visione difettosa della realtà sociale.
Per fare diventare il cittadino una istituzione reale forse può essere una idea organizzare strutture relative a piccole comunità a misura d’uomo:
1) circoscrizioni territoriali raggruppanti famiglie
2) comunità lavorative
3) oppure anche occasionali come per il fenomeno del pendolarismo
4) ecc.
Piccole comunità mirate cioè alle situazioni reali di vita, nelle quali sia più facile per il singolo contare e che possano fornendo supporto dal basso dare veramente a ciascuno maggiore possibilità di contare, cioè di esprimere con qualche risultato le proprie idee.
Giustissima l’analisi della situazione e anche l’aspirazione a far diventare il popolo sovrano. Io credo che la Costituzione sia molto avanti nella formulazione dei diritti ma che sia invece, malgrado tutti gli accorgimenti pensati per bilanciare i poteri assegnandoli a istituzioni dello Stato diversificate nelle responsabilità e nei compiti, insufficiente nella costruzione della struttura dello Stato. La dimostrazione della manchevolezza sta proprio nella incapacità dello Stato di fare assomigliare la società che governa ad una comunità in cui si abbia almeno l’aspirazione a vivere secondo i diritti sanciti dalla costituzione. La struttura dello Stato formalizzata dalla costituzione si concretizza nell’affidarsi ad una élite che ha assunto le caratteristiche di casta pressoché impenetrabile, costituita dall’insieme di persone a cui è demandato il compito e la responsabilità di gestire la vita nella società. L’impenetrabilità non consiste tanto nel rendere impossibile l’inserimento di nuovi individui quanto nella forse inconsapevole difesa della casta di impedire l’introduzione di pratiche pragmatiche che si propongano contemporaneamente due obbiettivi la crescita economica e la crescita della capacità dei cittadini di vivere secondo i principi costituzionali. L’élite al potere ha una visione della vita nella società falsata proprio dall’appartenenza alla casta che la fa vivere con modalità completamente diverse dall’altra popolazione. Si sono costituite nel tempo, quasi come evoluzione naturale due società che vivono separatamente, comportandosi perciò in modo diverso anche se formalmente devono rispettare le stesse leggi. Entrambe devono però sottostare ad una legge conseguente all’introduzione del denaro che è la legge del mercato competitivo.
Uno slogan per il cambiamento: Produrre benessere non oggetti
Non mi piace che si risponda non alle argomentazioni di Canfora con cose che non centrano con le stesse, perché mi sembra il modo di fare cadere tale discorso nel nulla.
Canfora mi sembra consapevole delle difficoltà di fare previsioni sul futuro. Mi sembra che le difficoltà non devono frenarci dal fare analisi per cercare di evitare le catastrofi e non conformarsi all’atteggiamento improduttivo di chi compie tranquillamente peccato tanto potrà pentirsene e guadagnarsi il paradiso. A proposito di massimi sistemi una lettura interessante che ci dà qualche speranza: “La società a costo marginale zero.” di Jeremy Rifkin.
Il tragico ed estremo gesto risale a lunedì scorso: a darne notizia è l’associazione Babele, che ha avviato una raccolta fondi per il rimpatrio della salma. Amadou – racconta una attivista – a 22 anni ha scelto di uccidersi. Aveva avuto un diniego …
Quando andiamo in un supermercato e compriamo il pesce surgelato scegliamo tranquillamente quello che ci sembra più buono e più a buon mercato, nessuno di noi pensa a prestare attenzione per sapere da dove viene e chi ce lo sta vendendo.
Gambia è un piccolo stato dell’Africa occidentale circondato dal Senegal ad eccezione del punto in cui il fiume Gambia sfocia nell’oceano Atlantico. Io ho saputo guardando la trasmissione “Presa diretta” di Riccardo Iacona. Gli abitanti vivevano tranquillamente di pesca, infatti non dovevano usare soldi per comprare il pesce al supermercato ma andare con le loro barche a gettare reti nel loro mare pescosissimo. Ora invece i nostri grandi pescherecci hanno trasformato il pesce in denaro e gli abitanti del Gambia che si ritrovano senza pesce e senza denaro sono costretti ad andar via dal proprio paese che da paradiso abbiamo trasformato in grande industria che trasforma la materia prima pesce in denaro facendo aumentare il PIL degli Stati che mandano i propri pescherecci.
Al sig. Paolo Barbieri Lei ha veramente ragione, coloro che dovrebbero indirizzarci su una strada che lasci intravedere la luce del miglioramento sociale sono solo capaci di analisi storiche che oramai risuonano nelle nostre orecchie come ritornelli che proprio perché ripetuti troppe volte da voci stonate hanno acquistato l’andamento di cantilene petulanti.
A me sembra che esista un grande schieramento trasversale che è appostato per colpire ferocemente specialmente chi non si attiene alle regole.
Quanto riportato in precedenza sono considerazioni su quanto ho continuato a leggere nei commenti da lei firmati. Ora che Lei mi chiama in causa direttamente mi rimprovero e mi scuso se distratto da fatti sopravvenuti non avevo dato corso ad un contradittorio sicuramente interessante.
Prendo in considerazione punto per punto le sue ultime considerazioni non per fare polemica ma al contrario proprio nel tentativo di scovare i punti deboli di quanto mi sono affannato a proporre:
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30 anni di denunce dei “denunciatori professionali” alla Travaglio, Gabanelli. Iacona, Stella, Rizzo & c., non hanno prodotto alcuna reazione volta al cambiamento, ma solo accompagnato degrado e declino del Paese.
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Mi domando se non ci fossero stati i denunciatori professionali saremmo stati meglio? Quando hanno denunciato misfatti, che altro avrebbero dovuto fare? Forse andare oltre la denuncia e so-spingere l’opinione pubblica a comprendere che la punizione del misfatto o dell’errore è molto meno efficace della educazione al buon comportamento. Purtroppo, i cittadini premono natural-mente per avere la giustizia che gli interessa per i fatti contingenti nei quali sono coinvolti diret-tamente. Non so se mi sbaglio ma non è forse la ingiustizia sociale, la incapacità di essere gover-nati secondo criteri di giustizia a creare un clima fecondo per la vita insoddisfacente? I palazzi di Giustizia sono diventati enormi apparati dediti al contenzioso e non, come dovrebbe essere, a ge-stire, una società il più giusta possibile. Fanno talmente parte del sistema della nostra società che se all’improvviso i cittadini non litigassero più, chi ci governa avrebbe il problema di impiegare tante persone che si impegnano a dirimere i problemi di discordia. Tutto è concepito con un pre-giudizio iniziale che gli uomini sono propensi al male. La sfiducia verso l’altro regna sovrana e que-sto è l’atteggiamento che produce l’opposto della cooperazione e perciò contese per le quali mai nessuno ha completamente ragione o completamente torto. Comunque, non sempre i giornalisti si fermano alla semplice denuncia. Hanno molto da fare perché devono scegliere gli argomenti che interessano l’opinione pubblica ma se li trattano solo con la finalità del semplice racconto del-la verità creano nei propri lettori l’abitudine ad essere passivi. Ci siamo abituati a subire e solo do-po a protestare, incapaci di vera partecipazione, di vero spirito critico che sviluppi ipotesi di mi-glioramento sociale. Le élite approfittano di questo atteggiamento diffuso e mantengono facil-mente il proprio potere. Chi è fuori della cerchia viene tenuto fuori facilmente, intimorito dalle pernacchie che gli vengono propinate quando per caso riesce a farsi ascoltare, non gli rimane che vivere la parte del Don Chisciotte. Il fenomeno è diffuso nella società a tutti i livelli e comporta no-tevole perdita di potenzialità, propensione a rinchiudersi su sé stessi o peggio alla ribellione violen-ta. Ma tornando alla giustizia esprimo su questo problema un concetto logico che sembra contra-stare proprio con i fatti reali dell’esistenza: la possibilità di fare diversamente da come già vien fat-to. È molto facile dire che nella nostra società gli episodi di violenza sono estremamente diffusi perciò non ci rimane altra possibilità che rispondere alla violenza rafforzando sempre di più gli strumenti di controllo e di punizione che facciano passare ai malfattori la voglia di non osservare le regole. Di questo criterio la società umana si è valsa da quando venne costituita. I tentativi di fare diversamente ci sono sicuramente stati. Ma, la pervicacia della mala pianta si oppone con continuità disarmante ai tentativi di trasformare la società. L’uomo è contemporaneamente un animale sociale e asociale. Non è sicuramente come le api che sono l’esempio di una società dove ogni singolo individuo è predestinato ad eseguire il suo specifico compito. Ha, secondo me, ragio-ne Vito Mancuso che spiega come siano state proprio le contraddizioni delle quali è impastato l’uomo a procurargli una evoluzione così impetuosa. Forse sto andando fuori tema ma la situazio-ne a guardare soltanto il presente e il vicino senza esplorare il passato, il futuro e il lontano fa ve-ramente spavento. Già qualcuno mi ha detto che si vorrebbe dimettere da essere italiano; forse allora si dovrebbe dimettere da essere uomo. Se avete visto a Carta Bianca la lite furiosa fra Sgarbi e Giordano vi dico che io ne ho tratto questo insegnamento: la società umana è fatta per l’evoluzione continua, per non rimanere oggi come ieri e domani come è oggi, e però se ci accor-giamo che le regole alle quali affidiamo i nostri comportamenti ci sospingono a tradire l’universale principio di umanità dobbiamo denunciarne le manchevolezze e lavorare a modificarle. Dovrebbe essere molto semplice accorgersi delle regole in contradizione col principio di umanità, basterebbe essere capaci di mettersi nei panni degli altri. Questa cosa è tanto semplice che ci siamo abituati al contrario. La maggioranza avrebbe sicuramente bisogno di vivere in comunità socializzate invece le modalità con le quali avvengono le relazioni fra gli individui sono pervase dalla competizione fra gli io, sventola la bandiera dei diritti dell’io. Pochi si accorgono di darsi la zappa sui piedi e pur-troppo se fanno diversamente da come vanno le cose del mondo sembra che la zappa sui piedi se la diano veramente.
Però, qualche nazione che sta meglio di noi fa esperimenti che mi sembrano positivi.
In Finlandia si pagano gli studenti rendendoli così pienamente responsabili che stanno lavorando a costruire il futuro della propria società.
In Norvegia gli individui ritenuti pericolosi convivono in isole con gli addetti al loro controllo; la segregazione mira a salvaguardare la società dalla loro pericolosità. I controllori sono altamente qualificati per il proprio compito che è difficilissimo far vivere a individui, colpevoli di delitti tre-mendi, abitudini di esistenza completamente diverse da quelle vissute in precedenza. Tutto il resto delle attività che seguono le sentenze mira al recupero dell’individuo che non deve perdere la pro-pria dignità.
Allora cerchiamo di vivere di speranza, aggrappandoci all’unica possibilità che nessuno può toglierci il principio di umanità.
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E neppure gli esempi positivi proposti, slegati da un progetto operativo spendibile in tempi conte-nuti, hanno prodotto effetti importanti al fine di un cambiamento qualitativo dell’offerta politica.
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Io credo positivi gli esempi di quelle attività che, mi sembra, abbiano raggiunto risultati positivi re-lativamente ai problemi che dovevano risolvere. È sicuramente vero che i problemi si riferiscono a situazioni particolari ma secondo me le attività nella società umana corrispondono sempre alle re-lazioni fra le persone che partecipano e il buono o cattivo risultato non prescinde mai da quanto buone siano le relazioni fra le persone stesse. Chi vuole un progetto operativo spendibile (credo voglia dire esteso alla intera società) che evidentemente è inesistente nella Costituzione, non può fare in altro modo che farselo suggerire da coloro che in realtà lo hanno già applicato come si de-duce dai risultati ottenuti. Invece di dedicarci solo allo studio del male creando armi per reprimer-lo, ma rifornendo proprio gli operatori del male di quelle stesse armi, dedichiamoci, anche e di più, a studiare le realizzazioni positive, quelle che non tradiscono il principio di umanità, per trarne gli insegnamenti all’evoluzione positiva.
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Ed il Paese prosegue il suo cammino verso il suicidio politico, economico, finanziario e sociale, mentre alcuni tra i migliori pensatori teorizzano una Rivoluzione Costituzionale…che rimane incre-dibilmente sulla carta, senza neppure un tentativo di approfondimento collettivo tra gli stessi teorici.
Altri ritengono indispensabile per il cambiamento, un’evoluzione culturale della Cittadinan-za…senza rendersi conto che essa è una prospettiva irrealizzabile contro un potere costituito che vuole tutt’altro.
E viene a mancare anche la speranza nelle briglie dell’Europa…anch’esse tutt’altro che salde… Per chi non Crede, è fosco l’ere, il cielo è muto… mentre il “SalviMaio” prosegue e perletua la stagione nefasta della casta, solo un po’ più ridicola.
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Per vivere secondo i principi di umanità dobbiamo credere nell’uomo anche se ci sembra che vincano uomini disumanizzati. Leopardi con la sua vita dolorosissima e la sua opera incommensurabile ne è un esempio vivente.
Mi sembra che se si vuole costruire in breve tempo una forza politica che dal niente acquisisca grande consenso, sia molto importante studiare come questi fenomeni sono avvenuti quando sono avvenuti e perché alcuni acquisiscono grandi dimensioni e durevolezza mentre altri rimangono inefficaci, incapaci di creare opinione di massa veramente influente per modificare la società attraverso un salto della qualità culturale della cittadinanza.
Alla base della propaganda politica di coloro che aspirano a diventare una forza politica esiste senza dubbio lo strumento della promessa. I risvolti relazionali che derivano da una promessa sono molto complessi. Un approccio considerato di primaria importanza consiste nell’esprimere un progetto che dia la risposta creduta opportuna dalla maggioranza dei cittadini che quasi sempre corrisponde ai loro interessi. Ma la promessa dichiarata si presenta come quel multiforme aspetto che presiede al modo di porsi umano dell’individuo nelle relazioni. Il promittente espone il suo programma in modo diverso a seconda dell’interlocutore, può fornire informazioni molto simili ma modificare per esempio la promessa nei riguardi dei tempi d’inizio dell’esecuzione oppure dei tempi finali della realizzazione in modo da ricevere il consenso di parti che vogliono cose completamente diverse. Una divergenza di opinione che oggi appare fondamentale sta nel fatto di promettere a chi ha acquisito diritti reali (o privilegi) che li conserverà e a chi aspira ad averli che gli verranno concessi. Si sono rivelati vincenti in passato programmi politici nei quali rimane individuata una problematica aggregante che si rivolge contemporaneamente ai due bacini d’interesse prima considerati, cioè sia a quelli che vogliono conservare il proprio status che a chi aspira a migliorarlo. La parola d’ordine molto efficace rivolta alle popolazioni dei territori in condizioni generali migliori è: pensiamo a noi stessi e staremo meglio tutti. Si convincono facilmente anche coloro che là vivono peggio, dandone la colpa a chi vive altrove e preme per usufruire della ricchezza del loro territorio. Un’altra modalità recentemente molto vincente si riassume nello slogan: uno vale uno. È rimasta una promessa senza un vero programma di attuazione, ma la sua presa sull’opinione pubblica non perde vigore e molto probabilmente ciò consegue dal fatto che sono gli unici a dirlo e possono coprire con lo stesso tutte le proprie manchevolezze: “chi non è d’accordo su un particolare forse crede di valere più di noi che continuiamo a credere alla idea di una grande promessa?”.
Nella società attuale c’è una minoranza di cittadini che contano con continuità nel tempo ed altri ai quali si fa ritenere di contare eleggendo i propri rappresentanti nel momento delle votazioni e su questo formalismo ambiguo si gioca la competizione politica. I cittadini che contano con continuità nel tempo sono tutti quelli che godono di un potere che gli permette di potersi confrontare in modo privilegiato con gli altri, il loro potere fa da supporto alle loro relazioni e gli permette di modificare a proprio vantaggio i comportamenti degli altri: siano singoli cittadini o gruppi concorrenti o istituzioni dello stato o società contrapposte. Come si può dare agli altri cittadini un potere simile? I partiti nuovi si affermano come vincenti se non seguono l’andazzo dei precedenti misurandosi sulla marea degli interessi particolari per i quali chi detiene già un potere si trova in una situazione di chiaro vantaggio, ma propongono qualcosa quasi sempre di più generale che investe la grande parte dei cittadini ai quali si rivolge. La promessa riguarda sempre il concetto fondamentale di metterli in condizione di avere un potere di contare con continuità nel tempo. A tale riguardo riscontro che le difficoltà in cui si trovano gli stati democratici fondati sulla rappresentanza degli eletti conseguono dal fatto che al popolo viene attribuito il titolo solo formale di essere sovrano ma questo titolo che si esplica solo nel momento delle votazioni non può adempiere a nessuna funzione reale perché la vita reale della società viene gestita attraverso i soggetti costituiti per quanto potere si sono conquistato. La logica dei contrappesi (e menomale che fu pensata) si rivela insufficiente perché ciascun contrappeso finisce per rappresentare interessi di parte. Il vero contrappeso che dovrebbe essere dato dall’insieme di tutti i cittadini è escluso completamente dal gioco e non esplicando la propria funzione rimane completamente diseducato a partecipare con l’obiettivo della buona società, può reagire o affidandosi ciecamente ad una parte politica o disinteressandosi completamente se ritiene che siano tutti inaffidabili oppure adoperando la violenza per acquisire il potere che gli viene negato.
Credo che in questo discorso ci sia almeno un minimo di verità e allora non basta, bisogna trovare il modo di sciogliere il nodo.
Vi racconto un momento della mia vita. Alla terza elementare subimmo la coercizione a studiare il catechismo fascista che scopiazzato dal catechismo cattolico iniziava con la domanda: Chi è il Duce? E la risposta che per fortuna non ricordo bene che esprimeva il concetto di supremazia di questo personaggio che era considerato Nuovo Dio in Terra. Deducetene voi le conseguenze. Del contenuto mi ricordo parole allora per me incomprensibili che dovevamo imparare a memoria, forse il diritto del popolo italiano a creare il proprio impero perché erede di Roma Antica.
Per i risultati ottenuti mi accorgo che purtroppo i nostri governanti del dopoguerra, forse per paura di essere accusati di voler seguire l’esempio dei fascisti hanno finito col fare altrettanto seguendo solo formalmente un comportamento che sembra essere l’opposto.
Il loro criterio infatti prese inconsapevolmente dal fascismo il criterio che si fonda su questa modalità:
L’élite, prima i gerarchi fascisti e dopo i costituenti del nuovo Stato, si fecero carico di pensare a modellare lo Stato e i suoi cittadini. Entrambi i governanti, naturalmente con la differenza enorme del contenuto, hanno trattato il popolo come entità passiva che avrebbe dovuto sottostare alle loro regole. Naturalmente dico questo col senno di poi, ma secondo me, il senno di poi è fondamentale alla evoluzione positiva.
Che cosa si sarebbe dovuto fare dopo aver promulgato la Costituzione? Darle i crismi di autorevolezza, ma, non come si fece di essere solo uno strumento di definizione dei limiti di comportamento per i cittadini, ma piuttosto una guida allo studio della società alla quale i cittadini avrebbero dovuto attivamente partecipare per sentirla veramente come propria.
Solo a distanza di più di dieci anni dalla promulgazione, Aldo Moro introdusse con molta timidezza la materia scolastica di Educazione Civica nel cui ambito si sarebbe dovuta studiare la Costituzione e non so se fu mai studiata da qualcuno con lo spirito critico sempre necessario a sviluppare evoluzione positiva. I maturati fortunati, usciti dalla scuola a 18 anni sono diventati cittadini col diritto al voto, ma senza conoscere la Costituzione. Hanno conosciuto l’esistenza delle regole solo coloro che appartenendo alla classe dei deboli, le trasgredite.
Secondo me ne stiamo pagando le conseguenze negative. La critica nel bene e nel male l’hanno fatta solo gli addetti ai lavori e siccome la Costituzione poneva limiti di comportamento a tutti, l’élite unica detentrice di potere si è data molto da fare a trovare cavilli che le permettessero di sfuggire a quei limiti.
Che fare oggi? Proprio non so. Conosco solo il risultato che non sono sufficienti le buone regole, vale sicuramente di più il pragmatismo del ben fare.
Sono andato immediatamente a vedere Diem25. mi sembra il vero e unico modo di difendere la costituzione perché si basa sul pragmatismo. Siamo in una situazione stravolta non solo dall’inosservanza dei principi scritti ma anche dei principi umani dai quali gli stessi principi costituzionali faticosamente traggono forza. Ne è conseguita la nostra cultura di società che vorremmo cambiare in meglio proprio affidandoci ai principi umani. Il cambiamento può essere reso possibile solo tenendo presente lo stato attuale. Perciò quantunque sia indubbio che il sistema economico mondiale è criticabile e dovrebbe essere modificato radicalmente, mentre pensiamo ad impostare nel modo migliore possibile il cambiamento radicale, non possiamo fare altrimenti che introdurre accorgimenti per produrre meno danni possibile con le attali regole economiche che comunque dovranno essere cambiate il più presto possibile. Abbiamo perciò bisogno drammatico di persone molto preparate nel terrificante sistema economico attuale proprio per cominciare a frenarlo nelle sue nefandezze.
C’è di nuovo una cosa vecchissima lo scontro fra il presente e il futuro. Chi vuol vincere facilmente gioca tranquillamente sulle necessità del presente che può significare fare sopravvivere al presente ma assolutamente non progettare la sopravvivenza futura; si disperdono così in modo ineluttabile, sacrificandole al presente le energie disponibili. La disputa avrà fine quando non potremo rendere disponibili altra energia.
Pensato e scritto prima del Referendum
Un’attività di qualità dei partiti in una società basata su una democrazia con rappresentanza parlamentare eletta dal popolo.
Dopo aver letto la relazione della prof. Arianna Di Vittorio (università di Foggia) intitolata “LA QUALITÀ NEI SERVIZI PUBBLICI E NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE” che esprime in modo molto chiaro quale deve essere l’organizzazione dinamica per ottenere il miglioramento continuo del servizio nell’era del terzo millennio mi sono convinto che i partiti dovrebbero organizzarsi come sarebbe auspicabile che lo fossero le aziende di servizio. Solo così le istituzioni dello Stato invece di risultare la sintesi di poteri che impongono la propria visione del futuro senza vera partecipazione democratica, potrebbero diventare il risultato di una democrazia che aspira all’eccellenza proprio perché i cittadini parteciperebbero a creare le nuove proprie abitudini culturali che aspirino all’eccellenza.
Si sentono frequentemente molti esponenti politici affermare di essere servitori dello Stato e quindi servitori dei cittadini. Poiché i partiti sono le organizzazioni attraverso le quali dovrebbe essere espletato il loro servizio, risulta necessario, per fissare i termini, definire questo servizio e come le attività di queste organizzazioni possano risultare efficaci e rivolte al proprio miglioramento ed a quello degli elettori (utenti). Il bene che il partito si propone di fornire ai cittadini dovrebbe essere completamente privo da qualsiasi materialità ma, nello stesso tempo, tale da esprimere, come risultati, effetti sia immateriali (crescita culturale) che materiali (crescita economica). Il partito dopo aver individuato l’obiettivo da raggiungere che consiste in un proprio ben definito modello della società dei cittadini ne fa il motivo della propria esistenza e si propone di fornire ai cittadini idee per la sua costruzione.
Per avere la visione dei fenomeni connessi che si sviluppano nella realtà, dobbiamo tener presenti tutti i soggetti interessati, vale a dire:
• La struttura logica progettuale del partito, costituita dalle sue idee fondamentali, che vorrebbe esprimere come risultato il proprio modello di società. Questa struttura logica progettuale subisce l’evoluzione naturale sia per l’avvicendarsi delle persone preposte alla sua formulazione, sia perché alle stesse viene imposto dalla realtà di tener conto dell’evoluzione della società stessa.
• L’insieme dei cittadini a cui si rivolge l’offerta del servizio.
(Sarebbe per me importante definire con regole precise quale deve essere l’insieme dei cittadini ai quali può rivolgersi l’offerta politica per impedire che i partiti cerchino di allevare i minori alle proprie idee istituendo proprie scuole o introducendo propaganda nelle scuole; la formazione politica degli studenti dovrebbe avvenire obbligatoriamente in modo indiretto e naturalmente il più possibile in modo oggettivo, con l’obiettivo di lasciare crescere spirito critico e vera libertà di pensiero. Naturalmente i partiti possono anzi debbono fare scuole interne per perfezionare la professionalità dei propri addetti)
• L’insieme degli addetti, i politici, che mantengono relazioni con i cittadini.
• La struttura dello Stato che compendia l’insieme di regole imposte nel momento presente alla società, regole che devono essere rispettate ma possono essere modificate solo quando un nuovo convincimento culturale s’impone nella società stessa. Anche le stesse modalità della trasformazione devono però fare parte delle idee fornite dal servizio (partiti) e diventare operanti solo in conseguenza del convincimento dei cittadini per potersi sviluppare nelle decisioni di attuazione. Chi governa (l’esecutivo) è il gestore della società secondo le regole vigenti di modo che il partito che ha vinto le elezioni, si può dedicare a modificare le regole seguendo il proprio programma, ma non deve trarre alcun vantaggio diretto dal fatto che esprime gli uomini del governo. La struttura dello Stato si dovrebbe intendere come completamente separata dai partiti. Gli eletti (deputati del parlamento e senatori) sottoporranno le idee di ciascun partito (già utilizzate nel processo di elaborazione della dialettica di partito) alle discussioni delle camere fino ad ottenere la formulazione delle leggi, che risultano pertanto essere sempre una rielaborazione finale di pareri diversi. L’esecutivo (ripeto: indipendente dai partiti) è il gestore delle leggi formulate, solo eccezionalmente propone leggi (attraverso decreti) che diventano definitive solo dopo l’approvazione delle due camere.
A ciascuno dei punti precedenti possiamo far corrispondere qualcosa di analogo nelle società di servizi.
La struttura logica, progetto del partito, corrisponde alla ragione sociale della società di servizio che comprende tutti gli apparati che elaborano i piani di penetrazione nel mercato insieme all’idea del prodotto più efficace.
L’insieme dei cittadini elettori corrisponde alla clientela acquisita, da conservare, o potenziale, ancora estranea, che si vuole convincere a utilizzare il servizio proposto della società. Anche la clientela delle società di servizio dovrebbe essere salvaguardata da interventi di persuasione che travalichino la concorrenza corretta, come la pubblicità non veritiera, la prepotenza economica, il lavoro nero, prodotti di basso costo ma controproducenti per la società, ecc.
Gli addetti alle relazioni esistono anche nelle società e sono i pubblicitari e i venditori.
La struttura dello Stato con tutte le sue regole che dovrebbe essere tenuta presente con il dovuto rispetto da entrambe le organizzazioni.
La differenza basilare fra il partito e il servizio sta nelle modalità di ciascuna delle due organizzazioni per il reperimento delle risorse economiche. La società di servizio ricava il sostentamento dalla vendita del servizio alla propria clientela e pertanto dipende da questa e deve attrezzarsi per soddisfarne i bisogni. I partiti politici invece acquisiscono potere economico dai cittadini che li eleggono solo nel momento delle votazioni (la sovvenzione è denominata in modo improprio, rimborso delle spese sostenute durante la campagna elettorale) e di questi solo una parte esigua continua a finanziarli in modo diretto; (è naturale che i politici soddisfino in modo più concreto chi gli dà il sostegno materiale diretto). Il meccanismo di finanziamento dei partiti falsa evidentemente la democrazia dando maggior peso politico a chi in qualche modo mantiene relazioni economiche con i politici e come vediamo dalle cronache questa modalità si presta ad intrallazzi e corruzioni. Secondo me, se si riuscisse a far diventare abitudine di tutti i componenti la società, una riforma che prevedesse una sovvenzione dello Stato ai partiti elargita in proporzione alle tessere (controllabili con codice fiscale trasmesso agli uffici del fisco nel momento del tesseramento e come avviene per un qualsiasi servizio, soggetto a diritto di recesso in qualsiasi momento con opportuno avviso agli stessi uffici) ed il divieto penale degli uomini politici e dei partiti di ricevere regali dei loro sostenitori e naturalmente di farli, gioverebbe molto a rendere pulita la politica.
La mia ipotesi è che il partito dovrebbe ricevere la sovvenzione dello Stato periodicamente e sempre in modo proporzionale alle tessere in proprio possesso nel momento della elargizione e che tutti i politici che ne fanno parte dovrebbero ricevere il proprio stipendio dal proprio partito secondo regole interne al partito stesso. Rimarrebbero a carico diretto dello Stato gli stipendi di coloro che rivestono cariche pubbliche riguardanti compiti chiaramente esecutivi e cioè gli addetti alle funzioni di governo, sia della Nazione che delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Lo scopo di questa impostazione è di creare una struttura basata sul proposito della ricerca continua dell’eccellenza, che parte dalla capacità dei partiti di farsi conoscere dai propri sostenitori non solo per il proprio progetto ma anche per il modo con cui sono capaci di attuarlo nel tempo.
È, inoltre significativa la differenza che esiste fra il cittadino, semplice elettore, che usufruisce dell’offerta dei partiti e il cliente dei servizi offerti da una società di servizi. Il cliente usufruisce di quanto gli viene offerto immediatamente appena usa il servizio e può esprimere immediatamente il proprio giudizio, il cittadino usufruisce di due effetti diversi, quello culturale che è immediato è tanto più realizzato, quanto più non si ferma a semplice informazione propagandistica unidirezionale ma è comunicazione bidirezionale con crescita culturale dei due soggetti e l’effetto finale che può sembrare anche completamente eluso ma che gli addetti alla comunicazione del partito dovrebbero avere la capacità di ridiscutere, sempre in modo costruttivo e reciproco, sia con i cittadini che con la gerarchia del partito alla ricerca di ulteriori miglioramenti delle nuove idee proposte.
Dobbiamo anche prestare attenzione alle situazioni particolari in cui si trovano i partiti politici che esprimono, avendo vinto le elezioni, gli uomini di governo. Gli stessi avranno vantaggio, quando oggettivamente la società vive un periodo di sviluppo mentre inversamente un periodo di regressione, comporterà difficoltà di consenso.
La tessera del partito renderebbe il ruolo del cittadino molto più importante, ma credo che sia comunque necessario, farlo crescere nelle competenze politiche e nella conoscenza dei fatti amministrativi e, perciò, come vien fatto in una regione della Francia, si potrebbero istituire camere basse in cui i cittadini tirati in sorte partecipano direttamente al controllo delle decisioni politiche per un periodo adeguato a creare esperienza e ad avere risultati efficaci. Il sistema dovrebbe funzionare facendo scalare i componenti l’assemblea in modo da sostituire man mano con nuovi sorteggiati gli uscenti e bilanciare così sempre persone che hanno già acquisito esperienza con nuovi componenti probabilmente inesperti ma anche privi di condizionamenti.
Anche se è evidente che i partiti si propongono un servizio molto più complesso, la somiglianza con quanto avviene nelle organizzazioni dei servizi mi spinge a suggerire la lettura per approfondimento di quanto si sta già facendo per sviluppare società di servizio che aspirano all’eccellenza della propria attività.
Nota Mi sembra di non aver considerato l’esistenza di servizi pagati dai cittadini in via indiretta. Mi riferisco ad adempimenti della pubblica amministrazione che riguardano una comunità nel suo insieme. Chiaramente quanto più l’operatore del servizio ha l’esclusività del compito, tanto più la responsabilità non può essere che politica, cioè di chi gli ha assegnato quel compito.
Il pagamento può essere parzialmente diretto; questo avviene quando l’espletamento del compito è rivolto al singolo cittadino ma l’organizzazione deve essere pronta a dare risposta a chiunque nella comunità. Risulta di conseguenza che i cittadini sono più competenti quando usufruiscono o hanno usufruito direttamente del servizio. Come si sviluppa un miglioramento reale culturale della politica e dei cittadini? Con il criterio di dare semplicemente più potere alla maggioranza dei cittadini (comunque gli sia attribuito col solo voto o anche economico con la tessera) i politici cercheranno di soddisfare la maggioranza e il compito della buona risposta e dell’assolvimento a rispondere a chiunque si trovasse in futuro nello stato di necessità, verrebbe tranquillamente trascurato. Mi accorgo ora di aver dato in qualche modo già una risposta che riporto: “La tessera del partito renderebbe il ruolo del cittadino molto più importante, ma
credo che sia comunque necessario, farlo crescere nelle competenze politiche e nella conoscenza dei fatti amministrativi e, perciò, come vien fatto in una regione
della Francia, si potrebbero istituire delle camere basse in cui i cittadini tirati in
sorte partecipano direttamente al controllo delle decisioni politiche per un periodo
adeguato a creare esperienza e ad avere risultati efficaci. Il sistema dovrebbe
funzionare facendo scalare i componenti l’assemblea in modo da sostituire man
mano con nuovi sorteggiati gli uscenti e conservare così sempre persone che hanno
acquisito esperienza.” Aggiungo che queste commissioni di controllo potrebbero essere specializzate per servizio.
Schierarsi per il futuro.
Non è democrazia proporsi la crescita del Pil: non è democrazia proporsi la diminuzione del debito.
Schierarsi per il futuro invece che per il presente impone la ridefinizione di concetti fondamentali. Intendo saper dire che cosa è la Democrazia e che cosa è la Libertà.
Come diceva Gino Bartali, il giusto che oggi viene portato ad esempio: Gli è tutto da rifare.
I concetti fondamentali non possono essere produttivi di esistenza meglio vivibile quando manca nel loro significato la prospettiva della vita futura.
L’attuale concetto di democrazia si rivela persino incapace di tener conto di tutti gli esseri viventi appartenenti all’umanità; come può tener conto di coloro che le apparterranno in futuro?
Democrazia è un concetto che si vorrebbe far corrispondere a una moltitudine di uomini inseriti in una società. Fino ad oggi ci siamo affidati al concetto di democrazia con la seguente proposizione esplicativa: La democrazia è governo del popolo. Facilmente quando valutiamo i risultati ci associamo a Gino Bartali dicendo che è tutto da rifare. Perché l’uomo che è stato capace di manifestazioni della propria esistenza fondate sulla convivenza, evolvendo sé stesso per portare all’attuale massimo grado tanti suoi strumenti adatti a mettersi in relazione con i propri simili, fallisce nell’organizzazione della democrazia?
Il linguaggio fu una conquista di enorme importanza. I nostri progenitori ci regalarono così questa potenzialità: la capacità di evoluzione umana per conquistare consapevolezza del vivere. L’esperimento comunità umana inserita nell’ambiente del piccolo pianeta Terra, è reso complicato da come fino ad oggi, la nostra specie ha indirizzato la propria capacità di conoscenza. Perché l’individuo uomo che non ha cessato di essere un vivente che nasce, vive e muore e mentre vive acquisisce naturalmente man mano tutte le proprie capacità per cercare di sfuggire al pericolo incombente della morte, non ha ritenuto altrettanto importante studiare sé stesso per vivere bene il proprio futuro. Ogni uomo, non può non sentire le spinte violentissime a comportarsi in modo da conservarsi in vita e qualsiasi messaggio gli arrivi dall’ambiente che gli suggerisca di cambiare immediatamente atteggiamento per sopravvivere è irresistibile.
Cercando di capire come è avvenuta l’evoluzione della specie umana e della sua società, secondo me si riscontra che ogni individuo esplora l’ambiente in cui vive utilizzando le proprie capacità e ne trae vantaggio ampliando le proprie conoscenze e così indirizzando meglio il proprio comportamento a difendersi dagli eventi pericolosi. Ma l’ambiente è variegato nello spazio e nel tempo e questo comporta situazioni di esperienza e di apprendimento molto diverse da individuo a individuo. Il linguaggio ha ingigantito la potenzialità di conoscenza dell’individuo. È però sempre l’individuo a scegliere come specializzare le proprie conoscenze selezionando quelle che ritiene le più importanti per la propria esistenza. L’ esplorazione del futuro è una delle capacità più ambite dall’individuo. Per la stessa interviene il tempo a qualificare la previsione imponendo una classifica d’importanza agli avvenimenti che assegna a quelli più immediati un peso maggiore rispetto a quelli che succederanno più tardi. Naturalmente la classifica degli eventi tiene conto anche di altri fattori che investono la qualità dell’evento previsto e cioè il danno o il beneficio che ne conseguirà. L’altra capacità ambita è la conoscenza dell’ambiente, anche in questo caso l’ambiente che interessa l’individuo può crescere di dimensione, ma in questo caso la distanza che interessa non è più soltanto quella fisica ma quella che interessa l’individuo cioè come può succedere che un avvenimento lontano impatti sull’ambiente fisico vicino.
La spinta continua di ogni individuo a risolvere le situazioni contingenti cioè quelle che appaiono allo stesso più immediate e vicine opera una selezione sulle scelte collettive che non sempre sono quelle veramente più necessarie.
La comunità umana dovrebbe anche lei guardare alla propria sopravvivenza ed invece essendo comunità di uomini è sospinta tragicamente soltanto a risolvere le questioni contingenti e territoriali.
Le attività umane utilizzano consumandole le risorse disponibili nell’ambiente costituito dalla terra in cui viviamo. È proprio la nostra evoluzione che ci ha portato prossimi a non avere più le risorse necessarie per la sopravvivenza della intera comunità vivente sulla terra. Il meccanismo evolutivo si è rivelato incapace di estendere a tutta l’umanità la conoscenza di quanto prossimo l’evento catastrofico verso il quale stiamo precipitando. Da anni gli scienziati ne parlano prevedendo che se non si fosse agito diversamente la catastrofe sarebbe sopraggiunta ma ad ogni individuo giungeva sempre molto più potente il messaggio di agire per risolvere i propri problemi: “E che tocca forse a me risolvere i problemi del mondo?”
L’entusiasmo che mi trasmise Mimmo Lucano quando venne portato ad esempio positivo mi spinse a pensare e a scrivere; ora la delusione e l’indignazione non ci deve fare abbandonare la lotta.
Astronave terra: una fazione dei viaggiatori dimostra l’utilità di far coincidere l’economia con la solidarietà.
È un riconoscimento importante e prestigioso quello che la rivista americana «Fortune» ha attribuito a Mimmo Lucano. Il sindaco di Riace, infatti, è stato inserito al quarantesimo posto della classifica dei 50 leader più influenti del mondo per il suo impegno in favore degli immigrati e del loro inserimento sociale.
Dal 2009, da quando cioè Mimmo Lucano è sindaco di Riace, sono stati oltre seimila gli immigrati provenienti dalle regioni più povere del mondo che sono stati ospitati nel centro che prima era famoso nel mondo per il fatto che nel suo mare furono trovati i Bronzi che, dopo un attento restauro, sono esposti adesso nel Museo archeologico di Raggio. Oggi Riace ha acquistato notorietà anche grazie ai tanti immigrati che non solo vi hanno trovato ospitalità, ma che hanno avuto anche la possibilità di avviare attività artigianali ed imprenditoriali che si sono rivelate proficue, producendo, tra l’altro, un alto effetto positivo: la rivitalizzazione di un centro che altrimenti sarebbe stato destinato ad un degrado economico e sociale, oltre che un processo di spopolamento, pressoché inarrestabile. Lucano ha avuto il coraggio di scommettere sulla «risorsa immigrati».
Ed i fatti gli hanno dato ragione perché la sua battaglia, ed il riconoscimento attribuitogli da «Fortune» lo dimostra, si è rivelata vincente. La prima a sottolineare l’importanza di quanto riportato da «Fortune» è stata Laura Boldrini, legata a Lucano da un antico rapporto che risale ai tempi in cui la presidente della Camera era portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. «Soddisfazione – ha scritto su Twitter la presidente Boldrini – per Mimmo Lucano, Sindaco Riace, precursore accoglienza e inclusione». Ed a seguire è arrivato il commento di Agazio Loiero, che nel periodo in cui è stato presidente della Regione Calabria ha riservato una forte attenzione ai temi dell’immigrazione, commissionando, tra l’altro, al regista Wim Wenders il cortometraggio «Il volo», girato in gran parte proprio a Riace, che raccontava in modo particolarmente suggestivo proprio una storia di immigrazione.
«Il riconoscimento tributato dalla rivista Fortune a Mimmo Lucano, sindaco di Riace, annoverato, unico italiano, tra i 50 leader più potenti del mondo – ha sostenuto Loiero – è una notizia che dovrebbe inorgoglire i calabresi. Certo, quell’aggettivo potente, ai giorni nostri – ha aggiunto l’ex Governatore della Calabria – in genere fa riferimento ad un certo tipo di potere. In Calabria, invece, può significare altro: soprattutto la capacità di accogliere chi viene da lontano povero, malnutrito e soprattutto inatteso. In tale attitudine, che eredita dalle nostre antichissime radici, Mimmo Lucano è veramente potente». Infine, è arrivato il commento dello stesso Lucano. «È un riconoscimento – ha detto il sindaco di Riace – che per la sua importanza ed il suo prestigio mi incute addirittura un pò di disagio. Questo perché io non aspiro né a poltrone, né a carriere perché voglio essere uno del popolo e voglio aiutare le persone che hanno bisogno e nelle quali io stesso mi riconosco». «Mi auguro – ha detto ancora il sindaco Lucano – che questa gratificazione possa rappresentare una svolta positiva anche per Riace e per tutta la Calabria, dando la possibilità anche agli ultimi, che noi ci ostiniamo a voler rappresentare, di vedere riconosciute le loro istanze».
Saviano ha scritto: Lucano è grande economista.
Quello di dare ospitalità a più di seimila immigrati che non solo hanno ripopolato Riace, ma che non hanno utilizzato quel soggiorno come attesa per una destinazione altra, ma che a Riace sono rimasti e hanno avviato attività che li legheranno a quel territorio probabilmente per tutta la vita. Inutile dire che Mimmo Lucano è l’unico italiano presente nella classifica di “Fortune”. Non c’è il nostro presidente del Consiglio, che pure ritiene di aver proposto all’Europa un piano per risolvere la questione migranti; non imprenditori, né attivisti. Nessuno. E Lucano, nelle interviste fatte a commento della notizia, ha sottolineato come abbia lavorato solo per il bene della comunità che amministra. Del resto, a dimostrazione che il suo lavoro ha davvero una portata rivoluzionaria, il fatto che i nostri politici, sempre indietro su tutto, non lo abbiamo compreso: nessuna carica dello Stato ha speso nell’immediato una parola di riconoscimento nei riguardi di un sindaco che ha onorato il suo mandato, facendo politica nel senso più nobile del termine e senza inseguire consenso, senza parlare alla pancia dei suoi concittadini, ma facendo una proposta coraggiosa.
Mimmo Lucano ha capito una cosa fondamentale: è solo accogliendo i migranti che molti paesi del sud Italia, ormai spopolati, potranno sopravvivere. Non è buonismo, ma una teoria economica valida e ormai realizzata.
Osservo e deduco quanto segue.
Le buone idee si possono concretizzare in qualcosa di reale solo quando sono supportate da vero potere. Nel 2009 naufragò un barcone di immigrati a Riace e incontrò il nuovo sindaco. Il gruppo di sopravvissuti aveva messo in campo tutta la forza della propria disperazione che non si vende ma può esaltare la caratteristica umana di empatia in chi la conosce già come propria e la rivede nel prossimo come fosse la sua. Non compassione caritatevole quindi, ma riconoscersi pienamente nell’altro e così mettersi in comune in modo solidale per migliorare insieme la propria condizione. Il sindaco ha saputo esprimere quello che dovrebbe fare la vera politica. Ha riconosciuto nei naufraghi persone che con il proprio stato di disperazione rendevano molto più comprensibile lo stato di difficoltà di tanti suoi concittadini ed ha riorganizzato la comunità in senso solidale, riconoscendo cioè a tutti, naufraghi o residenti la capacità di partecipare aiutandosi vicendevolmente. Questo tipo di economia del tutto equivalente alla organizzazione solidale della comunità sociale, non avrebbe bisogno per conquistare il benessere sociale di usare gli espedienti dell’economia ora vigente, obbligata a cercare di porre rimedio alle proprie manchevolezze con istituti che intervengono sempre dopo che il danno si è consumato. Attualmente la società umana e la sua economia che ne è strumento fondamentale inseguono con grande impegno la formulazione di regole di comportamento che intervengano a dettare agli individui il giusto modo di agire quando si incontrano in reciproche relazioni. Gli accurati studi dei legislatori partono dal considerare ogni uomo come detentore di diritti così che quando ciascuno incontra un altro uomo i loro comportamenti dovrebbero soddisfare reciprocamente i diritti propri e degli altri. Ma questo giusto modo non può essere che soggettivo e perciò, paradossalmente quanto più valore si dà al giusto modo tanto più si allontana il risultato di far corrispondere alle regole il comportamento da queste prospettato. La casistica delle persone che entrano in relazione e dei contesti in cui avviene l’incontro è così numerosa da rendere impossibile la formulazione di regole accettate in ogni situazione da tutti. Avviene così che più regole si scrivono più si avvantaggia il più potente da qualsiasi cosa derivi la sua potenza e se si scrivono meno regole, quelle tenute in considerazione procureranno la vittoria ancora degli stessi. Proviamo a fare il confronto fra i rendimenti che possono conseguire quando si seguono i due differenti criteri:
1) nel primo caso inseguire ogni situazione contingente tenendo presenti i diritti di ogni individuo interessato o i gruppi delle persone interessate.
2) Fare scaturire il comportamento dalla regola principe della solidarietà che investe ogni singolo individuo della responsabilità di partecipare per quelle che sono le proprie capacità.
La società civile nell’intento di rendersi vivibile utilizzando il primo criterio si è adoperata per sanare le innumerevoli situazioni di controversia che dallo stesso conseguono. I diritti dell’uomo, per come sono stati introdotti assumono però il significato soggettivo, che ciascun uomo deve essere capace di far valere. Succede chiaramente che ogni uomo ha una sua propria capacità diversa di far valere i propri diritti e perciò la società ha dovuto istituire organizzazioni elefantiache con un enorme numero di addetti per gestire al meglio la giustizia, inoltre altre istituzioni che devono sanare gli scompensi punendo i trasgressori delle regole e provvedendo con istituzioni addette alla solidarietà caritatevole per chi non riesce a integrarsi nel sistema. Ma gli sforzi non riescono a produrre una società vivibile per tutti.
Prima di pensare ad un progetto per rendere realizzabile il secondo criterio, che mi rendo conto essere non facile, cerco di rispondere alla domanda di quali sarebbero le implicazioni conseguenti alla sua applicazione. Una società che fosse già organizzata per adempiere al secondo criterio avrebbe un sistema di giustizia mirato a sanare le situazioni di non osservanza del principio di “economia equivalente a solidarietà”. La conseguenza è che l’obiettivo delle sentenze deve mirare ad ottenere sempre soluzioni complessive con il minimo di strascichi. Il concetto è che avendo espresso le regole di comportamento individuali nel senso di adempimento al principio di solidarietà, i diritti individuali vengano in ogni caso soddisfatti proprio nel rispetto di quel principio e così garantiscano ad ogni cittadino di essere sostenuto dal potere che deriva dal sostegno materiale e morale della comunità.
Per spiegarmi meglio, un esempio: chi ruba ad un altro o lo sfrutta in qualsiasi altro modo, trasgredisce al principio di solidarietà perché la sua prepotenza procura il disagio dell’insicurezza a tutta la comunità. Gli organi di giustizia dovranno spingere la comunità a eliminare il disagio integrando meglio tutte le persone interessate. La regola deve essere che l’eventuale restituzione del mal tolto o il pagamento per lo sfruttamento subito siano sempre imposti per fare rientrare la comunità nelle giuste pratiche di comportamento della economia equivalente a solidarietà. Anche chi ha subito venga spinto dall’esperienza a trarre insegnamento per l’economia solidale; quanto meno il danno induce nel momento della sentenza disagio materiale alla persona che ha subito, tanto più parte di quella somma venga destinata ad una organizzazione educativa preposta a indurre nella cittadinanza la coscienza del comune bene agire.
Per capire se il secondo criterio può favorire l’evoluzione verso una società più vivibile mi pongo il problema di come insorgono oggi e come potrebbero insorgere nel nuovo sistema gli appelli alla giustizia.
Oggi, nella gran parte dei casi viene chiesta giustizia perché chi ha subito il danno, spera di ottenere il risarcimento dello stesso. Avviene che il sistema vigente impostato sulle regole che difendono i diritti delle parti è molto funzionale a incentivare il numero delle richieste ma inefficace sia per operare giustizia, sia a far diminuire le trasgressioni. Chi fa esperienza di giustizia non ricevuta, diventa propenso ad alzare muri che impediscano agli altri di entrare nel proprio territorio ma in questo modo si isola dalla società; dall’altra parte chi si è abituato a vivere trasgredendo affinerà le proprie tecniche per superare quel muro. Non mi sembra che la società progredisca.
Mentre è abbastanza convincente affermare che il secondo criterio sarebbe economicamente più vantaggioso del primo, non è dimostrato che sia praticabile nel senso di essere accettabile dalla gran parte dei cittadini della comunità e capace di evolversi rafforzandosi attraverso il comportamento degli stessi.
La prima difficoltà dipende dall’immediatezza della comprensione che ciascuno ha dei propri diritti mentre può risultare complicato farli dipendere dal diritto superiore della comunità. Nel primo caso una persona protesta e vuole essere risarcito perché qualcuno lo ha danneggiato, nel secondo caso protesta perché qualcuno non si è attenuto alle regole della comunità e chiede che venga posto riparo al disagio procurato. Per fare in modo che il cittadino richieda giustizia anche nel secondo caso è necessario fargli capire che quanto si vuole ottenere nel secondo caso è fare in modo che l’episodio sgradito non si ripeta. La pratica dell’economia equivalente alle attività eseguite in modo solidale dovrebbe fare diminuire tante situazioni di contesa, tuttavia credo che il cambiamento della cultura dovrà passare anche dalla riscrittura di regole ora pienamente determinate dai diritti dell’uomo che devono trovare ancora più motivazioni e perfezionarsi mediante il principio ineludibile della solidarietà.
Giustissima l’analisi della situazione. Però manca l’aspirazione a far diventare il popolo sovrano. Io credo che la Costituzione sia molto avanti nella formulazione dei diritti ma che sia invece, malgrado tutti gli accorgimenti pensati per bilanciare i poteri assegnandoli a istituzioni dello Stato diversificate nelle responsabilità e nei compiti, insufficiente nella costruzione della struttura dello Stato. La dimostrazione della manchevolezza sta proprio nella incapacità dello Stato di fare assomigliare la società che governa ad una comunità in cui si abbia almeno l’aspirazione a vivere secondo i diritti sanciti dalla costituzione. La struttura dello Stato formalizzata dalla costituzione si concretizza nell’affidarsi ad una élite che ha assunto le caratteristiche di casta pressoché impenetrabile, costituita dall’insieme di persone a cui è demandato il compito e la responsabilità di gestire la vita nella società. L’impenetrabilità non consiste tanto nel rendere impossibile l’inserimento di nuovi individui quanto nella forse inconsapevole difesa della casta di impedire l’introduzione di pratiche pragmatiche che si propongano contemporaneamente due obbiettivi la crescita economica e la crescita della capacità dei cittadini di vivere secondo i principi costituzionali. L’élite al potere ha una visione della vita nella società falsata proprio dall’appartenenza alla casta che la fa vivere con modalità completamente diverse dall’altra popolazione. Si sono costituite nel tempo, quasi come evoluzione naturale due società che vivono separatamente, comportandosi perciò in modo diverso anche se formalmente devono rispettare le stesse leggi. Entrambe devono però sottostare ad una legge conseguente all’introduzione del denaro che è la legge del mercato competitivo.
Credo necessario avere il coraggio guardare la costituzione con spirito critico costruttivo perché se la stessa non è riuscita a creare una società che non dico si attenga a suoi sani principi ma nemmeno aspiri a fare degli stessi la guida delle sue regole di comportamento, il risultato deludente non può che significare che le istituzioni dello Sato hanno la capacità di trasformare quei principi che la grande maggioranza dei cittadini accetta, in regole di comportamento legalizzate assolutamente in contraddizione con gli stessi. Per esprimere la mia opinione, suffragata dalla astensione in crescita continua, avviene che il solo strumento del voto è oramai considerato dalla maggioranza dei cittadini un espediente dei politici per acquisire il diritto di appartenenza alla casta dei governanti con tutti i privilegi che nel tempo sono riusciti ad assegnarsi. L’impegno dei difensori dei principi costituzionali deve perciò essere di fare rientrare fra le Istituzioni dello Stato il cittadino come fattore vero di contrappeso rispetto agli altri organi dello Stato. Le parole della costituzione devono veramente godere del supporto del cittadino. Oltre al Presidente della repubblica, ai Parlamenti, alla Corte Costituzionale, al Potere Giudiziario e al Potere Esecutivo manca una istituzione dello Stato che controbilanci tutti questi poteri che è il Potere del Cittadino. Quando escludiamo questo potere, non fornendogli buona capacità, indipendenza e strumenti appropriati è sotto gli occhi di tutti come gli altri poteri si riuniscano in alleanza di élite che ha una visione difettosa della realtà sociale.
Per fare diventare il cittadino una istituzione reale forse può essere una idea organizzare strutture relative a piccole comunità a misura d’uomo:
1) Circoscrizioni territoriali raggruppanti famiglie
2) Comunità lavorative funzionali a problematiche di territori circoscritti
3) Oppure anche occasionali come per il fenomeno del pendolarismo
4) Ospedali
5) Scuole
6) E ogni cittadino ne pensi e promuova altre.
Piccole comunità mirate cioè alle situazioni reali di vita, nelle quali sia più facile per il singolo contare e che possano fornendo supporto dal basso dare veramente a ciascuno maggiore possibilità di contare, cioè di esprimere con qualche risultato le proprie idee.
Ci ha spiegato molto bene Yanis Varoufakis che l’economia della società quando il potere economico è diviso da quello politico riesce a renderlo strumento al proprio servizio e facilmente stravolge qualsiasi democrazia. La sua soluzione è perciò di eliminare la logica delle attività fondate sull’imprenditore padrone del capitale d’impresa e lavoratori pagati dallo stesso e sostituirlo con il criterio che ogni lavoratore partecipi agli utili dell’attività. Avremmo dovuto già seguire l’esempio dei lavoratori delle imprese fallite che le hanno trasformate in cooperative, rendendola una pratica politica di trasformazione sociale.
La disubbidienza civile deve trovare la propria difesa nella Alta Corte della Coscienza Umana e poiché facciamo parte della Società Umana, diventa necessario che la Società Umana si attrezzi con questa Istituzione proprio per difendere i diritti dei suoi cittadini.
La questione TAV è simile alla questione del si o del no per quanto avviene con i vaccini. Una parte della popolazione che ritiene di poter salvaguardare per proprio conto la propria salute non vuole rischiare l’intrusione di un vaccino che salvaguarderebbe il resto della popolazione. Nel caso chi potrebbe ricavare guadagni economici di per se stesso vorrebbe imporre l’esecuzione di un progetto che procurerebbe evidente danno ad altra parte della popolazione. Nel caso dei vaccini la questione della vita è molto più immediatamente evidenziabile e perciò la minoranza che sarebbero penalizzati se la maggioranza non si vaccinasse ha buon gioco, anche perché il cataclisma di una epidemia è qualcosa che è ben presente nella memoria collettiva. La maggioranza delle persone invece si trova nell’incapacità, malgrado l’esempio delle guerre a collegare le attività umane a catastrofi e potrebbero sconfiggere la minoranza, perché sono nella condizione di chi vive in montagna che sono i soli a rendersi pienamente conto che i ghiacciai si stanno sciogliendo.
Esponenti autorevoli che parlano i TV senza contraddittorio.
Parlo di Augias e Gratteri. Forse per far credere che il contraddittorio ci fosse hanno parlato anche di cose che riguardano il risorgimento italiano, sostenendo tesi diverse. A questo proposito Gratteri ha sostenuto la tesi che l’invasione del Regno di Napoli avvenne tanto facilmente perché i sostenitori dell’unità d’Italia si erano alleati con i mafiosi e questa situazione ha procurato che lo Stato italiano ha conservato l’ambiguità di comportamento che continua fino ad oggi. Per quanto ha detto invece nei riguardi della possibilità di non osservare la legge che portasse palesemente e rilevante danno ad esseri umani, Gratteri ha sostenuto la tesi in palese contraddizione che la legge deve essere promulgata dallo Stato deve essere osservata in ogni caso. Due sono le possibilità di un tale atteggiamento o non sa quel che dice o in considerazione del proprio ruolo non poteva parlare diversamente. In ogni caso, secondo me rivela di seguire criteri assolutamente non produttivi del bene che dice di perseguire. Il primo perché mentre afferma che il comportamento dei governanti è terribilmente condizionato da chi vive in modo contrario alla buona società civile al punto che le stesse leggi promulgate ne risentono in modo estremamente negativo, dice di osservarne la legge in ogni caso. Il secondo perché se è costretto a dire cose su cui non è d’accordo avrebbe fatto molto meglio a non parlare in pubblico. Epikeia dicono i filosofi che significa fare bene in ogni caso, anche disobbedendo alla legge che procurerebbe grave danno.
Uno slogan “IL LAVORO DEGNO RENDE L’UOMO DEGNO” Questo slogan secondo me può diventare un programma politico trascinatore di consenso. Chi ha l’aspirazione di sconfiggere il partito delle nefandezze, di coloro che propongono cioè l’uso della violenza per difendere strenuamente il proprio modus di sopravvivenza, e genera la società malata di sperequazione che procura rancore e sudditanza psicologica, deve cogliere l’occasione della distribuzione del reddito di cittadinanza. Il partito del vero rinnovamento deve essere capace di progettare una attività politica su tutto il territorio nazionale che esprima però soluzioni mirate alle necessità dei territori. Questo perché il Partito della violenza che è diffuso su tutto il territorio nazionale, può essere contrastato solo intervenendo su tutto il territorio nazionale. La conferenza di Recalcati “La fuga dalla Libertà” è esplicativa della dinamica sociale che spinge moltitudini di persone ad affidarsi ad un padrone rendendosene completamente asservito, cioè esautorandosi volontariamente dalla possibilità di fare scelte personali specialmente quando le decisioni investono la società nel suo insieme. Infatti, ogni individuo umano vive in un ambiente, la società umana, sostanzialmente espresso da circuiti di relazioni. Gli stessi individui vivono il proprio modus vivendi, ciascuno adattandosi ad un circuito di relazioni che gli permette la propria sopravvivenza, naturalmente più o meno soddisfacente a secondo della propria capacità di saper vivere utilizzando le relazioni. Prendere la decisione di cambiare la modalità di vita sia passando ad un diverso circuito di relazioni sia rimanendo in quello che si sta usando ma modificando i propri comportamenti con l’intento di cambiare le proprie condizioni di vita, significa assumersi un rischio e di conseguenza gli individui si comportano in modo diverso in ragione della fiducia che la situazione ambientale ed il convincimento delle proprie potenzialità gli prospettano. Dobbiamo, secondo me assumere il reddito di cittadinanza come un cambiamento che inciderà improvvisamente su un grande numero di persone. Chi godrà del reddito di cittadinanza si ritrova improvvisamente ad affacciarsi sulla società da un punto di vista diverso, nel senso che almeno nel periodo iniziale viene liberato dall’assillo di doversi procacciare i beni essenziali alla sopravvivenza. Queste persone sono una potenzialità politica. Un partito che vuole emergere dal nulla, per indirizzare questa potenzialità deve rivolgersi agli alleati più preparati che secondo me sono, le associazioni no profit, quelle di volontariato e le cooperative non contaminate da speculazioni. Sono queste organizzazioni che hanno l’esperienza di esistere in questa società i più adatti a dare indicazioni sulle modalità da seguire ed evitare il più possibile gli intralci burocratici. Tanti esperti che hanno già fatto bene possono tranquillamente mettersi alla guida di questa di rivoluzione economica. L’obiettivo molto generale del risanamento degli ambienti umanizzati e naturali è l’altra opportunità a disposizione. La classe economica egemone non concorre su questa opportunità perché la ritiene poco produttiva per la sua concezione di economia tutta dedicata al profitto dei prodotti vendibili. Il criterio mi sembra molto vicino a quanto fece il sindaco di Riace Mimmo Lucano, progettare e creare attività per le persone disponibili sui territori a misura umana ma estendere questa pratica su tutto il territorio nazionale.
SIAMO TRA IL COMMA 22 E LA SINDROME DI PROCUSTE
La furbata è coinvolgere tutti per deresponsabilizzare tutti. Quali strumenti è molto comodo utilizzare? Per ora vedo due strumenti pensati per sviluppare meglio la società umana che subiscono l’abuso degli uomini e riescono a far passare per positivi i comportamenti più dannosi per la società. La nostra società è impostata sui principi sacri della democrazia e delle leggi. Sono principi che godono della massima autorevolezza e che proprio perciò usati con furbizia possono scavalcare la stessa coscienza dell’uomo. Questa volta non sono molto d’accordo con lo storico Canfora che si è fermato a dire che Grillo non sapeva di cosa parlasse. GRILLO “SIAMO TRA IL COMMA 22 E LA SINDROME DI PROCUSTE” Non si può leggere nella stessa la violenza di chi ci governa che togliendo ai cittadini la coscienza individuale li ridimensiona ad un pensiero unico? Il Brigante si dilettava a portare i corpi dei malcapitati alla stessa lunghezza amputando o stirando le loro membra questi con uguale malvagità trasformano gli uomini in robot.
Egr. sig. Barbieri sono d’accordo. È il momento buono per un nuovo partito. Però, quello che Lei propone mi sembra essere manchevole nel senso di non dare l’importanza che meritano alle logiche con cui tre partiti nel recente passato si sono costituiti come inarrestabili trascinatori di opinione pubblica. Secondo me la loro logica trascinatrice è consistita nel formulare promesse di essere capaci saper dirigere il governo della società senza modificarla per quanto attiene ai suoi principi fondamentali verso gli appetiti naturali della popolazione. Se poi le promesse non sono soddisfacenti, importa poco anzi dà modo di poter vincere ancora con promesse molto simili alle precedenti.
È evidente per la risposta concreta dei fatti che il principio fondamentale della società umana è che comanda chi vince, chi sconfigge gli altri nella competizione. Si è creduto di essere riusciti a rendere le competizioni incruente facendo intervenire il denaro nelle contrattazioni. Ma il sistema del denaro non è stato impostato secondo criteri logici che tengano presente la sua finalità: rendere cioè possibile una modalità semplice e giusta per la distribuzione dei beni. Esiste inoltre, un altro principio che non riguarda il denaro direttamente ma si combina con lo stesso è quello della proprietà dei beni. Gli stessi nel modo attuale non vengono considerati in uso di chi in quel momento ne ha bisogno ma sempre di chi ne è entrato in qualsiasi modo in possesso. In questo modo il proprietario ha il diritto di abusare di quel bene. Questa impostazione illogica fa si che il padrone consideri i beni un materiale che si trasforma in denaro. Le incongruenze, quando si concretizzano in disagio sociale ci riportano indietro alle competizioni violente che sono purtroppo sotto i nostri occhi.
Questo preambolo per dire che un nuovo partito se si mette a parlare di diritti non catalizzerà l’interesse dell’opinione pubblica; continuiamo infatti, a vedere come la costituzione venga facilmente trasgredita approfittando addirittura della sua formulazione. Spesso bisogna difenderla osservando che ne stato tradito lo spirito. Gli avversari saranno ben contenti che la popolazione chiamata al voto possa essere distratta dalla questione fondamentale che riguarda secondo me il denaro, la sua distribuzione e i beni, la loro proprietà, il giusto modo di produrli e di distribuirli.
Gentile sig. Ambrosi,
quello che io auspico non è un nuovo partito figlio o fratello di quelli che intossicano la nostra politica da troppo tempo, e strappano il consenso vincente con le migliori recitazioni di labili promesse, cariche dell’impronta dell’appartenenza ad un gruppo sociale determinato, lanciate in un deserto politico di credibilità e affidabilità, che lascia l’elettorato alla mercè dell’ultimo pifferaio magico o dell’astensione.
Auspico un Partito per il Paese che riprenda l’orientamento al bene comune dei Costituenti, che pur appartenenti a spazi ideologici al tempo fortemente definiti, si ritrovarono insieme ad elaborare e poi a firmare la stessa Carta Costituzionale che conteneva nel suo articolato una Rivoluzione Promessa da tutti attesa e sperata.
Quegli uomini erano l’Elite del paese selezionata prima dall’antifascismo militante, gente che rischiava olio di ricino, galera e pure la vita, e poi dalla Guerra di Liberazione con rischi più gravi.
Oggi mancano le devastazioni materiali dei bombardamenti, ma la devastazione morale e culturale e più vasta e profonda. E soprattutto di più difficile ricostruzione.
A questa ricostruzione invito la residua miglior elite del paese, che non cerchi consenso su labili promesse ben recitate, ma offrendo a garanzia del progettato futuro, la propria storia personale di rigore morale e di cultura del bene collettivo, per una qualità di convivenza meno competitiva e concorrenziale, assolutamente migliore.
Per questo spendo inefficacemente il mio tempo al quale m’illudo così di dar un minimo valore.
Paolo Barbieri, socio circolo La Spezia
Nel momento che stiamo vivendo e cioè quando insorge perentoriamente, brutalmente la necessità del cambiamento e i comportamenti del passato sono pressoché senza eccezione inficiati da una sorta di maleficio, la direttiva espressa dai giovani acquisisce una potenzialità di preminenza che si compendia nella proposizione: “Voi fra cinquanta anni non ci sarete; noi si”;
Quanto tempo perduto a causa di una informazione volutamente distorta, costruita per indirizzare negativamente i bisogni egoistici e sfruttarli credendo di poter trasformare l’uomo rendendolo arbitro unico della natura? Quei poveri scemi avevano ragione: Quelli del club di Roma, Quelli di Boston che studiarono e predissero, lasciandoci: I limiti dello sviluppo e Verso un controllo globale. Le conoscenze composte da storia del passato (desertificazioni come per il Sahara dovuto alla introduzione dell’agricoltura) e sviluppi teorici approfonditi come l’entropia vennero frenati anzi denigrati come fossero espressioni introdotte per voler introdurre ostacoli, freni al futuro dell’umanità. Gli scienziati e i filosofi in qualche modo si potettero difendere rintanandosi nella loro cerchia, ancora peggiore fu la situazione di coloro che vennero in qualche modo a conoscenza di quelle prospettive e cercarono di divulgarle. Acquisirono di fatto tutte quelle negatività che hanno classificato certe persone come inadatte alla partecipazione alla società che si stava evolvendo. Gli andò bene quando furono considerati persone piene di fisime che in qualche modo era necessario tenere a freno lasciandole magari sfogare parlando ma, nel frattempo, invece di ascoltarle pensare ad altre cose più importanti.
E adesso? Il vecchio paradigma utilizza tutta la costruzione organizzata nella società per difendersi. Progettare il processo di cambiamento è spaventosamente difficile perché nel frattempo, mentre dobbiamo anche vivere, abbiamo la necessità di fare presto.
Studiare, studiare, studiare!! Dal passato andare a guardare i precursori e gli attuali per non partire da zero. Quelli che ho nominato in precedenza e poi io conosco From, Olivetti del recete passato e per gli attuali Rifkin per l’Entropia e per:
“”LA SOCIETA’ A COSTO MARGINALE ZERO, L’Internet delle cose,l’ascesa del <> collaborativo e l’eclissi del capitalismo.”
Ritengo Importanti ancora Vito Mancuso, Massimo Recalcati, Luca Mercalli, Piergiorgio Odifreddi per la sua logica, Yanis Varoufakis per la sua economia e chi sa di quanti altri non so o dai quali ho ricevuto buone indicazioni senza che mi rimanesse memoria e così il modo di fargliene merito. Molto interessante l’intervista a Yanis Varoufakis di Giannini che sono riuscito vedere in internet “a chiare lettere” video interviste.
43 (quarantatre!) prolissi commenti dello stesso lettore ad uno stesso articolo. Se fossi il moderatore del sito suggerirei al buon Giuseppe Ambrosi la lettura della prima delle sei lezioni americane di Calvino, la Leggerezza.
Grazie, egr. si ig. Claudio 43 (forse l’ho già letto o forse no, rinfrescherò). voglio difendermi da una etichettatura che mi viene affibbiata con qualche superficialità. Perciò prima di passare la mano ai giovani e chiudere una volta per tutte, trascrivo un mio vecchio commento.
Giuseppe Ambrosi
11 ottobre 2017 16:34
Mi sembra che se si vuole costruire in breve tempo una forza politica che dal niente acquisisca grande consenso, sia molto importante studiare come questi fenomeni sono avvenuti quando sono avvenuti e perché alcuni acquisiscono grandi dimensioni e durevolezza mentre altri rimangono inefficaci, incapaci di creare opinione di massa veramente influente per modificare la società attraverso un salto della qualità culturale della cittadinanza.
Alla base della propaganda politica di coloro che aspirano a diventare una forza politica esiste senza dubbio lo strumento della promessa. I risvolti relazionali che derivano da una promessa sono molto complessi. Un approccio considerato di primaria importanza consiste nell’esprimere un progetto che dia la risposta creduta opportuna dalla maggioranza dei cittadini che quasi sempre corrisponde ai loro interessi. Ma la promessa dichiarata si presenta come quel multiforme aspetto che presiede al modo di porsi umano dell’individuo nelle relazioni. Il promittente espone il suo programma in modo diverso a seconda dell’interlocutore, può fornire informazioni molto simili ma modificare per esempio la promessa nei riguardi dei tempi d’inizio dell’esecuzione oppure dei tempi finali della realizzazione in modo da ricevere il consenso di parti che vogliono cose completamente diverse. Una divergenza di opinione che oggi appare fondamentale sta nel fatto di promettere a chi ha acquisito diritti reali (o privilegi) che li conserverà e a chi aspira ad averli che gli verranno concessi. Si sono rivelati vincenti in passato programmi politici nei quali rimane individuata una problematica aggregante che si rivolge contemporaneamente ai due bacini d’interesse prima considerati, cioè sia a quelli che vogliono conservare il proprio status che a chi aspira a migliorarlo. La parola d’ordine molto efficace rivolta alle popolazioni dei territori in condizioni generali migliori è: pensiamo a noi stessi e staremo meglio tutti. Si convincono facilmente anche coloro che là vivono peggio, dandone la colpa a chi vive altrove e preme per usufruire della ricchezza del loro territorio. Un’altra modalità recentemente molto vincente si riassume nello slogan: uno vale uno. È rimasta una promessa senza un vero programma di attuazione, ma la sua presa sull’opinione pubblica non perde vigore e molto probabilmente ciò consegue dal fatto che sono gli unici a dirlo e possono coprire con lo stesso tutte le proprie manchevolezze: “chi non è d’accordo su un particolare forse crede di valere più di noi che continuiamo a credere alla promessa?”.
Nella società attuale c’è una minoranza di cittadini che contano con continuità nel tempo ed altri ai quali si fa ritenere di contare eleggendo i propri rappresentanti nel momento delle votazioni e su questo formalismo ambiguo si gioca la competizione politica. I cittadini che contano con continuità nel tempo sono tutti quelli che godono di un potere che gli permette di potersi confrontare in modo privilegiato con gli altri, il loro potere fa da supporto alle loro relazioni e gli permette di modificare a proprio vantaggio i comportamenti degli altri: siano singoli cittadini o gruppi concorrenti o istituzioni dello stato o società contrapposte. Come si può dare agli altri cittadini un potere simile? I partiti nuovi si affermano come vincenti se non seguono l’andazzo dei precedenti misurandosi sulla marea degli interessi particolari per i quali chi detiene già un potere si trova in una situazione di chiaro vantaggio, ma propongono qualcosa quasi sempre di più generale che investe la grande parte dei cittadini ai quali si rivolge. La promessa riguarda sempre il concetto fondamentale di metterli in condizione di avere un potere di contare con continuità nel tempo. A tale riguardo riscontro che le difficoltà in cui si trovano gli stati democratici fondati sulla rappresentanza degli eletti conseguono dal fatto che al popolo viene attribuito il titolo solo formale di essere sovrano ma questo titolo che si esplica solo nel momento delle votazioni non può conseguire nessuna funzione reale perché la vita reale della società viene gestita attraverso i soggetti costituiti per quanto potere si sono conquistato. La logica dei contrappesi (e menomale che fu pensata) si rivela insufficiente perché ciascun contrappeso finisce per rappresentare interessi di parte. Il vero contrappeso che dovrebbe essere dato dall’insieme di tutti i cittadini è escluso completamente dal gioco e non esplicando la propria funzione rimane completamente diseducato a partecipare con l’obiettivo di costruire la buona società, può reagire o affidandosi ciecamente ad una parte politica o disinteressandosi completamente se ritiene che siano tutti inaffidabili oppure adoperando la violenza per acquisire il potere che gli viene negato.
Credo che in questo discorso ci sia almeno un minimo di verità e allora non basta averlo detto, bisogna trovare il modo di sciogliere il nodo, istituire regole che diano a ciascun cittadino almeno lo stesso potere sul piano politico.
Caro Ambrosi,
“voglio difendermi da una etichettatura che mi viene affibbiata con qualche superficialità” – penso mi dovrà dare atto che i numeri non sono smentibili.
Mi dispiace invece la Sua conclusione (“prima di passare la mano ai giovani e chiudere una volta per tutte…”), perché non era mia intenzione chiederLe di cessare una apprezzabile collaborazione.
Con viva cordialità.
L’impressione che ricevo guardando la questione dall’esterno è che sia l’ennesima dimostrazione della confusione attuale dell’economia. Chi aspira a stipulare un contratto con un’amministrazione pubblica deve valutare diversi fattori: la complessità del lavoro di cui deve farsi carico, la giusta valutazione dell’importo con il quale sarà retribuito e addirittura preminente rispetto ai precedenti il rischio del pagamento ritardato o addirittura non percepito. D’altra parte, l’ente committente, eventualmente consapevole di essere un cattivo pagatore, viene sospinto a un comportamento ambiguo, ad essere cioè poco attento al controllo della qualità in corso d’opera salvo eventualmente a cercare tutti i cavilli alla fine per ritardare o addirittura tagliare i pagamenti. Non è una bella prospettiva del modo di lavorare.
Ma l’espediente che è sicuramente il tentativo di mettere una pezza solo alla questione contabile non mi chiaro. Chi è il responsabile della trasformazione finale dei mini-bot in denaro? Lo Stato? Chi li emette? l’ente pubblico? Mi sembra che ci sia un unico caso in cui l’espediente non equivalga a stampare moneta e cioè quando il possessore del mini-bot lo usasse per pagare una tassa che gli impone lo stesso ente che glielo ha dato in precedenza.
La vera soluzione è sicuramente che le amministrazioni pubbliche siano obbligate ad attenersi ai principi del controllo di qualità.
Egregio sig. mi sembra che il suo sforzo di prendere in considerazione tutto finisca per fare tralasciare l’essenziale. Comunque perché ha tralasciato di considerare la Comune di Parigi? Mi sembra che non sia da confrontare con gli episodi, che pure ci saranno stati di nazisti che abbiano qualcosa di buono. I nazisti che si comportarono in quel modo ne hanno tradito sicuramente lo spirito malefico che l pervade. Al contrario i dittatori comunisti hanno tradito i principi ai quali si era ispirato Marx. Il suo commento mi è in ogni caso piaciuto.
Quando un individuo rimane disgraziatamente coinvolto in evento, come un incidente stradale o di lavoro che lo riduce fra la vita è la morte, la modalità frequente di intervento medico è di sottoporlo a coma farmacologico. Si ritiene cioè che tutta l’energia vitale residua debba essere destinata al mantenimento in vita e che sia l’organismo stesso, fatto regredire a quello primitivo nascente della logica embrionale del primo sviluppo alla nascita ad operare le scelte opportune per rinascere. Io credo che come società umana stiamo vivendo qualcosa di molto simile e che gli interventi che i politici continuano a proporci, purtroppo siano forieri di vana speranza. L’atteggiamento costruttivo deve metterci di fronte a scelte diverse che tenga presente la realtà della situazione. L’umanità si salva solo se si rende conto per esempio che la nostra speculazione che ha trasformato la carne viva degli animali in grande produzione di cibo vendibile, cioè trasformabile in denaro ci ha offerto comodità a prezzo di dissolvimento dell’equilibrio della vita. Di queste comodità, di cui quello espresso è solo un esempio fra tanti dobbiamo chiaramente privarci senza sollevare obiezioni. Se siamo ancora in grado di sopravvivere dobbiamo sfruttare al massimo centellinandola l’inerzia di cui gode il nostro processo vitale, ma cominciare a trasformare il processo stesso. Ad esempio inizialmente abbiamo dovuto procacciarci le mascherine per evitare il contagio dall’estero ma ora abbiamo cominciato a produrcele da noi. Tutte le misure devono tendere all’utilizzo di quanto esiste ma ance in ogni caso alla sostituzione del necessario con produzione in loco. Non possiamo sconvolgere il sistema della distribuzione dei beni che avviene mediante il denaro, ma possiamo operare nel senso di fare fluire il denaro dove manca in modo automatizzato, approfittando delle grandi capacità tecnologiche di cui siamo in possesso. Ne parlo da anni e non ricevo risposta, Ho molta paura di parlare al vento che ci porta a sbattere. Salute!
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Mancano due argomentazioni: la prima è la risposta a Cacciari, Zampini, Carofiglio, una lunga schiera, ecc. che dicono che la riforma è una schifezza, ma che votano SI. Gli stessi non sono nemmeno capaci di esprimere il concetto di scegliere il dirigismo perché non hanno alcuna fiducia nel cittadino comune. Il loro atteggiamento è deleterio perché ingrossano le fila della maggioranza silenziosa, che preferisce affidarsi ciecamente a qualcuno che sembra poter ragionare in propria vece.
L’altra argomentazione necessaria è nei confronti di altri due trascinatori di menti impigrite: Benigni e Recalcati.
Benigni non mi sembra porti un’argomentazione diversa dalla fede in persona che è riuscita ad instaurare un rapporto di amicizia con lui: non so se c’è altro.
Recalcati è stato conquistato da un discorso di Renzi in cui veniva utilizzato il suo Telemaco per sfoggiare cultura ed estasiare gli ascoltatori, proporsi come arciere giustiziere dei proci, i rottamati.
Recalcati ha accettato questa sceneggiata: Napolitano è Ulisse che ritorna e Renzi è Telemaco. Ma possono i due individui vestire i panni di quei due personaggi? Quale mondo ha esplorato Napolitano? Non è il capo dei Proci? E Renzi è Telemaco o Narciso?
Io vedo due personificazioni diverse. Ulisse è meglio la costituzione esistente e Telemaco è la comunità dei cittadini italiana tesa alla ricerca di una società rinnovata.
Fra il dire e il fare ci sono le folle. Queste sono casse di risonanza che danno la possibilità a chi suona gli strumenti adatti di convogliare energie enormi estremamente difficili da governare. La difficoltà di gestire queste enormi energie è dovuta alle differenze di qualità e potenziale energetico dei componenti il meccanismo. È interessante capire come avviene l’esplosione del processo di risonanza: la folla è costituita da individui dotati ciascuno di una propria capacità ad essere sensibilizzato e a sensibilizzare il prossimo. Fra gli individui di una folla ne possono esistere alcuni in condizione, per situazioni particolari, di auto sensibilizzarsi e questi diventano centri attivi di propagazione. Ma questi centri attivi possono entrare in risonanza solo se vibrano all’unisono con chi gli sta vicino. Abbiamo la dimostrazione che chi la spara più grossa vince le elezioni e può governare fino alle elezioni successiva. Se questo criterio non produce buona società dobbiamo correggere questo sistema. Come si fa? È meglio pensarci bene. È questo il problema che rimane irrisolto chiunque vinca il referendum. Intanto meglio il NO.
Ho paura che non possano essere i grafici e le tabelle a far vincere un confronto in televisione, intendendo che vince chi raccoglie più consenso. Secondo me il fronte del No non si deve lasciar coinvolgere in questioni particolari in cui chi è schierato per il Si riesce facilmente a far passare gli avversari per persone che non hanno interesse a migliorare la Società. Il fronte del No vincerà facilmente se esprimerà pensieri positivi.
Il legislatore ha l’incarico importante di modificare le leggi per renderle, sempre più, strumenti efficaci per rendere la società meglio vivibile.
Premesso che il legislatore non deve mai dimenticare che una comunità di umani si trasforma in società quando gli stessi stringono un patto di solidarietà ed è in concomitanza con tale evento, che gli uomini e le donne si caratterizzano in cittadini e cittadine. Fare bene questo lavoro significa essere capaci di:
1) Riuscire a rilevare le inadempienze della legge nei riguardi della società.
2) Escogitare opportune modifiche per eliminare gli inconvenienti che derivano dalle inadempienze.
Tutti i politici che fino ad oggi hanno pensato di cambiare la Costituzione Italiana non mi sembra si siano attenuti ad un procedimento come quello espresso in precedenza e secondo me è proprio da questo che consegue l’incapacità a fare riforme costruttive di buona società.
Le inadempienze del sistema vigente sono sotto gli occhi di tutti e si possono riassumere in gran parte nel non aver dato seguito reale ai diritti proclamati dalla stessa Costituzione. Un modo efficace dei politici per lavarsene bellamente le mani è di dichiarare che questo dipende dai cittadini che non avrebbero la cultura del bene comune. Ma, individuata la carenza di cultura del bene comune come causa del male è proprio la crescita di questa l’obiettivo principale…
Ma, individuata la carenza di cultura del bene comune come causa del male è proprio la crescita di questa l’obiettivo principale che si dovrebbero porre i politici. Questi invece, soggiogati dai facili criteri valutativi espressi in termini esclusivamente monetari, hanno sviluppato la gerarchia conseguente dei propri cittadini. Teniamo presente che la società vive naturalmente una propria inerzia culturale che resiste ai tentativi di trasformazione. Fare leggi che inducano la crescita culturale, insita nell’obiettivo principale prima espresso, non è cosa semplice.
Varrà un esempio: il legislatore, sospinto da necessità reali, esprime una legge per sostenere economicamente le famiglie in stato di necessità. È probabile che sul piano culturale il provvedimento si traduca soltanto nella rincorsa dei cittadini a rientrare nei benefici economici. Il legislatore più attento dovrebbe tener in massima considerazione il fatto che la famiglia è un’agenzia primaria di scambio culturale fra i suoi componenti e la società che è formata dai componenti di altre famiglie. Ogni famiglia dovrebbe essere sospinta a non vedere le altre come propria concorrente ma, piuttosto come alleata nella cooperazione a stare insieme meglio. Fino ad oggi ho visto sempre trascurato da tutti questo aspetto. Per come la società si è sviluppata nel tempo, la questione economica è fondamentale ma si deve cercare di elargire il denaro non come facile carità al singolo ma sempre più rivolgendolo alla soluzione di problemi comuni e investendo di responsabilità accomunante proprio tutti quelli che nel problema sono coinvolti. Potrei entrare nel merito e proporre una soluzione, ma non voglio allontanarmi troppo dal problema generale. Spero che l’esempio sia esauriente per comprendere un nuova modalità di approccio suggerita al legislatore.
Passando alle riforme costituzionali ho l’impressione che mai si siano proposte di perseguire l’obiettivo generale prima considerato. I fautori del SI hanno buon gioco a dire: “Stiamo facendo quanto Voi volevate fare ma non siete stati capaci di fare.” Secondo me i fautori del NO più convincenti sono proprio le persone poco coinvolte politicamente che meglio esprimono il disagio dei diritti proclamati e mai mantenuti e possono tranquillamente accusare tutti i politici per essere causa del tradimento perpetrato del patto non mantenuto di una società solidale.
Al cittadino si può chiedere: “Appartieni ad un potere dello Stato che può influire sulle decisioni dello Stato?” Chi può rispondere affermativamente? Certamente non possono rispondere SI i cittadini che sono chiamati a votare a distanza di tempo e successivamente vivono estraniati nel proprio tran tran quotidiano fino alle successive elezioni; potrebbero invece rispondere SI i cittadini coinvolti nella politica con qualche potere, quelli in posizione chiave, come i giornalisti per influire sull’opinione pubblica, e più di tutti i detentori di potere finanziario che dettano ai…
Al cittadino si può chiedere: “Appartieni ad un potere dello Stato che può influire sulle decisioni dello Stato?” Chi può rispondere affermativamente? Certamente non possono rispondere SI i cittadini che sono chiamati a votare a distanza di tempo e successivamente vivono estraniati nel proprio tran tran quotidiano fino alle successive elezioni; potrebbero invece rispondere SI i cittadini coinvolti nella politica con qualche potere, quelli in posizione chiave, come i giornalisti per influire sull’opinione pubblica, e più di tutti i detentori di potere finanziario che dettano ai governanti le regole di comportamento che più li soddisfano. A chi risponde NO alla domanda precedente si può fare l’ulteriore domanda: “Ti sembra che la riforma costituzionale se venisse applicata ti darebbe maggior potere di influire sulle decisioni dei governanti?”. Al NO che chiaramente si otterrebbe, dovrebbe seguire una proposta costruttiva proprio per cercare di adempiere al dettato “IL POTERE AL POPOLO”. L’attuale riforma si propone un obiettivo diverso : Fare crescere il PIL.
Mieli è intellettualmente onesto? A che serve studiare la Storia? Forse perché in questo modo si può parlare tranquillamente senza essere contraddetto. Non è assolutamente colpevole chi tiene un atteggiamento ambiguo mentre governa in un territorio nel quale la camorra ha un potere incontrastato è soltanto folclore. Sono importanti i fatti. Infatti Liborio Romano che per commissione di Cavour si mise d’accordo con la camorra per tenere a freno la popolazione di Napoli all’arrivo dei garibaldini divenne un eroe del risorgimento e ha dato l’impronta alla questione meridionale che stiamo ancora vivendo.
Fra il dire e il fare ci sono le folle. Queste sono casse di risonanza che danno la possibilità a chi suona gli strumenti adatti di convogliare energie enormi estremamente difficili da governare. La difficoltà di gestire queste enormi energie è dovuta alle differenze di qualità e potenziale energetico dei componenti il meccanismo. È interessante capire come avviene l’esplosione del processo di risonanza: la folla è costituita da individui dotati ciascuno di una propria capacità ad essere sensibilizzato e a sensibilizzare il prossimo. Fra gli individui di una folla ne possono esistere alcuni in condizione, per situazioni particolari, di auto sensibilizzarsi e questi diventano centri attivi di propagazione. Ma questi centri attivi possono entrare in risonanza solo se vibrano all’unisono con chi gli sta vicino. Abbiamo la dimostrazione che chi la spara più grossa vince le elezioni e può governare fino alle elezioni successiva. Se questo criterio non produce buona società dobbiamo correggere questo sistema. Come si fa? È meglio pensarci bene. È questo il problema che rimane irrisolto chiunque vinca il referendum. La signora Gruber è una fine manipolatrice di opinione pubblica. Per anni è stata capace ti tenere la parte di persona pervasa da volontà di prestare il servizio di verità. Qualcuno evidentemente le ha detto oggi che è giunto il momento di far fruttare questa condizione privilegiata raggiunta con tanti sacrifici. Abbiamo visto con quali modalità ha diretto il dibattito al quale hanno partecipato la ministra Boschi e il costituzionalista Onida. A quest’ultimo tutta la mia solidarietà. Mi sembra necessario fare qualcosa di più: una raccolta di firme ed un esposto all’ordine dei giornalisti e al presidente della Repubblica se può contare qualcosa. chi ne sa più di me intraprenda un concreta strategia.
Ho tentato di mandare un messaggio a Fabrizio Barca ma non so se per colpa mia o sua non ricevo risposta. Purtroppo non avevo fatto un file di salvataggio e devo ricostruirlo a memoria.
Barca sostiene che voterà SI perché, anche se la riforma non cambia in niente la situazione della società Italiana si farà portavoce nei riguardi di Renzi perché questi formuli in questi dieci giorni che ci separano dalla data fatidica un progetto di riforme veramente di sinistra che galvanizzi il suo popolo sposti verso il SI una buona massa di cittadini e rimanga come agenda per la fase successiva del governo. L’assurdo è che si affida a coloro che, come si deduce dalla sua stessa analisi, non ha fatto questa riforma per altro che questi due motivi:
1- Dimostrare di essere l’ uomo del fare e così allargare il proprio consenso sia fra chi ha problemi di sopravvivenza sia fra chi ha invece più potere economico.
2- Tenere a freno i disagiati, che possono vivere nel frattempo nell’illusione del dopo.
Ho letto un bel numero di adesioni a questa tesi come di persona di buon senso; altri invece lo accusano di essersi lasciato corrompere e di aver tradito nella speranza di conservare una poltroncina. Io non credo. Mi sembra piuttosto un atteggiamento di persona che crede nel proprio partito al punto da rimanerne abbagliato e la fiducia è tanta da fargli perdere la visione fondamentale di aver fiducia nei cittadini. Persino il bel piano di sinistra (come i suoi tentativi inefficaci di correggere l’organizzazione del partito) risentono di questo errore fondamentale: a noi non importa la società importa solo che il partito sia grande e che ci si stia bene.
UNO SLOGAN
Vota contro il cattivo dirigismo: Vota NO. VOTA PER FARE LA BUONA POLITICA DEMOCRATICA VOTA NO
Riporto dal “complesso di Telemaco” di Massimo Recalcati, proponendo, tra parentesi punto per punto, quanto mi sembra di aver capito:
“La vita come tale, come evento di natura, come vita animale, si aggrappa alla vita; la vita vuole vivere (più drammaticamente: non vuole morire). La vita è volontà di vita, volontà di ripetizione di se stessa. Non c’è alcuna differenza, da questo punto di vista, quando si osservano un bambino e un gattino succhiare il seno e la mammella della propria madre. La vita è fame di vita, spinta di sopravvivenza, spinta auto affermativa di se stessi. La vita vuole la vita. Cosa deve accadere perché la vita si umanizzi? Per Lacan il luogo primario della umanizzazione della vita è quello del grido. Siamo stati tutti dei gridi perduti nella notte. Ma cos’è un grido? Nell’umano esprime l’esigenza della vita di entrare nell’ordine del senso, esprime la vita come appello rivolto all’altro. Il grido cerca nella solitudine della notte una risposta nell’altro. In questo senso, ancora prima di imparare a pregare e ancora di più nel tempo in cui pregare non è più come respirare, noi siamo una preghiera rivolta all’altro (la preghiera non è sicuramente un’imposizione da un punto di forza, ma la richiesta all’Altro di riempire il vuoto in cui la nostra caratteristica naturalmente diversa di privatezza dagli istinti ci ha lasciato quando alla nascita abbiamo perduto la protezione e il nutrimento del ventre materno). Il grido cerca nella solitudine della notte (Proprio nella condizione di massima solitudine di chi grida) una risposta nell’Altro (nella relazione e non solo nel soddisfacimento succube delle proprie necessità). ……. La vita può entrare nell’ordine del senso (umano) solo se il grido viene raccolto dall’Altro, dalla sua presenza e dal suo ascolto. Solo se l’Altro risponde alla nostra preghiera. Se viene tradotto da questa presenza in appello (L’Altro pensa: “mi ha chiamato”; l’Altro non è come per gli altri esseri viventi il sostitutivo del ventre materno ma ha la piena dignità di agente in relazione; chi è stato genitore ha fatto l’esperienza del neonato che già dai primi vagiti anche se sazio, ben coperto dal freddo, pulito, piange lo stesso perché vuole semplicemente la presenza di qualcuno, la presenza dell’Altro). Ecco l’evento primario in cui la vita si umanizza: quando il grido è tradotto in una forma radicale di domanda; quando il grido diventa domanda d’amore, non domanda di qualcosa, non di oggetto, ma segno di desiderio dell’altro, domanda della presenza dell’Altro (che l’Altro sia presente, non che faccia qualcosa di preciso per noi ma che ci nutra della sua presenza). In questo modo è il soccorso dell’Altro (agente non condizionato che si rende presente rispondendo al grido: alla richiesta indefinita d’aiuto) che estrae la vita dal suo “abbandono assoluto”, dal suo abbandono che accompagna la sua venuta al mondo.”
Gli psicologi (così come Massimo Recalcati nel brano precedente) hanno approfondito il significato di umanità ipotizzando le modalità attraverso cui si compie il salto di qualità fra gli uomini e gli altri esseri viventi sulla terra. L’uomo alla nascita è il più ignorante degli esseri viventi, nel senso che gli vengono dati meno modi di vivere precostituiti, pochissimi istinti che lo aiutino a vivere. In sostituzione degli istinti, proprio perché ignorante, vive imparando e inizialmente, molto di più degli altri esseri viventi, deve essere accudito dai genitori e reso indipendente attraverso l’insegnamento. Lo stato di imperfezione dell’uomo comporta da una parte la necessità di una relazione di reciprocità fra i genitori che elargiscono al figlio il proprio amore (la propria insostituibile presenza, la piena dedizione nell’averne cura) e il figlio stesso che manifesta la propria egoistica richiesta di attenzione esclusiva che sopperisca alla propria inettitudine; ma proprio la stessa ignoranza dovuta all’imperfezione iniziale (la mancanza degli istinti) può esplicarsi in comportamenti, che appaiono a prima vista incoerenti, come quando sembra che i genitori trascurano i figli allontanandosi dagli stessi ma è proprio questo a rendere possibile di organizzare la gestione della famiglia in modo umano, cioè di integrarla nella società. L’alternanza di assenza e presenza dei genitori allarga l’orizzonte dei figli; l’Altro non è più solo un genitore ma chiunque entra intensamente in relazione. Mentre i figli crescono il loro desiderio dell’Altro deve diventare convincimento che quella lontananza non è assenza per disamore; solo in questo modo l’alternanza di periodi di presenza amorevole e di lontananza motivata rende possibile la crescita umana che è affidamento alla società umana fatta coincidere con la presenza dell’Altro e poi inserimento nella stessa per assolvere a compiti assegnati per contribuire alla stessa e contemporaneamente trarne giovamento di convivenza. La presenza dell’Altro propone un modello generale di comportamento mentre la lontananza senza disamore rafforza il comportamento che persegue il bene. Sembra quindi che l’uomo aspiri, sia destinato al bene perché proprio vivere bene lo farebbe stare meglio, e però avviene invece che l’insipienza (il disamore egoistico) spesso lo faccia agire in modo contrario. L’evoluzione impressionante della tecnologia messa a confronto con l’evoluzione umana nel senso delle sue relazioni sociali fa apparire quest’ultima lentissima o addirittura in arretramento. Capire perché questo avvenga è fondamentale per poter introdurre modifiche culturali nella società che favoriscano le giuste aspirazioni dell’uomo verso il bene
Io faccio l’ipotesi che mi sembra verosimile che le condizioni dell’uomo nel periodo successivo alla nascita siano spesso tali che l’individuo rimanga ancorato al proprio stato di egoismo infantile. La richiesta d’amore del grido nella notte non riceve purtroppo risposta con la presenza dei genitori, ma si tende a rispondere per comodità o necessità della vita moderna con palliativi come il cibo, e via, via altre distrazioni che, se vengono dati senza far sentire la propria presenza, senza amore, trasformano il desiderio dell’Altro in bisogno di un feticcio sostitutivo; il grido nella notte che chiedeva la presenza dell’Altro per un affidamento fiducioso senza condizioni, si trasforma nell’urlo assillante per chiedere quanto procura piacere.
L’infantilismo egoistico iniziale non evolve, non matura ma si rafforza e trasforma in carattere definitivo che si sviluppa in modalità di crescita basate sull’acquisizione del possesso personale del bene sia questo materiale o capacità culturale (professionalità), e così affievolendo il desiderio della presenza dell’Altro che (se non fosse ridotto a oggetto da utilizzare) avrebbe sviluppato in ciascuno desideri positivi quali di voglia di crescere, di conoscenza, di condivisione, di partecipazione, di creatività, di pieno rispetto del prossimo. L’infantilismo egoistico unito alla enorme capacità intellettiva tutta mirata alla tecnologia propone così una umanità incapace di riconoscere non soltanto i propri limiti ma anche che la natura e la vita possono continuare il proprio percorso soltanto mantenendosi in un equilibrio che l’uomo non deve sconvolgere.
Nell’uomo la presenza del consimile si esplica oltre le necessità della sopravvivenza dell’individuo e della specie e cioè, a somiglianza di cibo e di sesso, assolutamente necessari alla vita, oltre questi bisogni esiste per vivere come uomo, il desiderio delle relazioni con il consimile. Succede però purtroppo, che l’organo della socializzazione umana (il desiderio dell’Altro) che dovrebbe sviluppare il modo di crescita culturale sociale viene utilizzato poco e male e perciò la sua importanza si riduce, decade, assomiglia sempre più ad una propaggine del passato, relitto, di un organo oramai inutile. La società, che si è pur costituita, si impernia invece proprio su quegli strumenti palliativi che hanno soppiantato il desiderio della presenza dell’Altro.
Il regalo più grande dovrebbe essere il piacere reciproco di stare insieme, di esplorare insieme il mondo che ci circonda; il resto necessario alla sopravvivenza non può essere dimenticato, secondo me funzionerà tanto meglio quanto più viene considerato come parte del mondo da esplorare insieme agli altri.
Il dovere più grande è di non arrendersi. Infatti non si può metter in dubbio che i risultati attuali della società umana oggi corrispondano allo stato presente di tutta l’evoluzione del genere umano; é perciò che come il presente appartiene agli uomini del passato nel senso che ce l’hanno lasciato in eredità, così il futuro appartiene agli stessi e a noi che lo lasceremo in eredità a coloro che abiteranno la terra dopo di noi. La condizione attuale non è certamente soddisfacente, però esiste un motivo di grande speranza, ci sono state trasmesse grandi capacità di esplorare profondamente sia le manifestazioni della Natura che quelle della Società Umana.
Credo che per quanto già detto sia importante imparare e insegnare a nutrire il desiderio dell’Altro; per esempio abbiamo perduto quasi completamente il significato di donazione, perché l’oggetto donato invece di avere il significato di essere dato dal donatore è sempre più il soddisfacimento di desiderio specifico per il quale il donatore ha fatto solo da tramite. Non si dona più ciò che si è capaci di fare ma ciò che ci viene chiesto e, naturalmente se siamo capaci di comprarlo. Invece, solo il dono di quanto si sa fare rafforzerebbe veramente e profondamente il legame relazionale fra chi riceve e chi dà.
Una logica simile interviene anche per la vendita e l’acquisto: il venditore è quasi sempre intermediario fra chi produce e chi acquista: l’intermediazione avviene quasi completamente attraverso il prezzo, cioè il denaro e questo falsa il significato dell’attività commerciale. Infatti quest’ultima invece di assolvere al compito primario di distribuire i beni prodotti alla popolazione ha assunto il significato principale di trasformare i prodotti in denaro. Avviene, come fatto normale che il prodotto viene dato solo a chi può pagarlo non a chi ne ha bisogno; ma oltre questo risvolto negativo sul piano economico della sussistenza delle persone, la trattativa commerciale, completamente monetizzata, disumanizza i rapporti fra le persone. Il problema è che la moneta offrendo grandi vantaggi sul piano pratico, come la libertà di scelta, il differimento o l’anticipazione dell’approvvigionamento, ha fatto perdere di vista altre cose essenziali ancora più importanti come l’insieme di qualità di buon vivere che il venditore offre che dovrebbero essere incentrate sulla bontà ma anche sul buon uso del prodotto venduto.
Il prodotto decade a oggetto “usa e getta”; non si generano le relazioni fra chi lo ha prodotto e chi lo usa che piuttosto che chiederne la manutenzione acquista un nuovo oggetto equivalente.
Io credo che le difficoltà in cui si trova attualmente la società umana, siano dovute in massima parte ad un convincimento che sta alla base dell’attuale economia; si ritiene essere lavoro un’attività che produce un bene vendibile e perciò trasformabile in denaro. Secondo me invece deve essere considerata lavoro una qualsiasi attività che produca benessere. Oggi le attività che non producono un bene vendibile si considerano parassitarie a priori e spesso lo sono veramente, infatti non avendo definito il lavoro come produttore di benessere non hanno altra finalità se non quella di pagare lo stipendio agli addetti. D’altra parte chi produce un bene vendibile si sente giustificato pienamente dal proprio guadagno e può perdere tranquillamente di vista la produzione del benessere generale.
L’uomo che acquisisce la consapevolezza della necessità di avere insieme ad altri uomini la finalità di perseguire il bene comune si trasforma allarga i propri orizzonti diventando cittadino. Deve però superare le difficoltà di avere una visione ristretta dovuta alla limitatezza delle proprie relazioni condizionate dai propri interessi particolari, come la famiglia e il proprio impegno nell’espletamento del compito (lavorativo o comunque sociale) assegnatogli.
La ricerca continua per ottenere un maggior rendimento dalle attività (reso facilmente confrontabile, attraverso il guadagno monetario) ha indotto nella società la frantumazione dei compiti e la specializzazione degli addetti. La società si è trasformata in una organizzazione molto complessa in cui ciascuno ha la necessità di vivere in relazione con molti altri, ma ha difficoltà notevoli ad avere la visione generale che sola può permettere il miglior rendimento complessivo.
Insorge così in modo direi naturale la necessità di un governo che detti le regole per rendere possibile la convivenza di tanti interessi contrapposti.
La classe dei politici deve perciò assumersi il compito delicato e complesso di raccogliere le istanze (il grido) dei cittadini e di renderlo coerente ad una necessità più generale della società e di questo naturalmente si deve sentire responsabile; la elaborazione delle regole di convivenza deve scaturire dal confronto delle idee nel modo più aperto possibile alla partecipazione dei cittadini allo scopo di creare vera condivisione e così il clima di più facile attuazione.
Questi sono solo i principi da tenere presente, bisogna naturalmente continuare a pensare per migliorare sempre di più l’organizzazione del tutto in modo che il governo come i genitori, come qualsiasi rappresentanza di potere non sia un organizzazione di pronto soccorso, ma sempre di più una entità sicura di riferimento il più adatta possibile a fare crescere i cittadini nella propria dimensione umana.
Egr. dott. Carofiglio, qualche giorno fa, mi è capitata sotto gli occhi la presentazione di un suo libro, al margine della quale dichiarava il SI per il referendum senza nessuna motivazione trattando il fatto con la stessa superficialità che può attenere alla scelta del menù al ristorante. Proprio perché ho letto con piacere qualche suo libro, consapevole dell’influenza che può avere su quei suoi lettori che appartenendo ai tanto numerosi male informati, sperano di fare bene evitando la fatica del rendersi consapevoli e lasciandosi guidare da chi gli appare più affidabile, cercai di inviarLe (senza riuscirci) un mio scritto chiedendole di esporre le sue ragioni. In vero mi era rimasto il dubbio che se si fosse dichiarato per il NO il mio atteggiamento sarebbe stato diverso. Oggi la situazione è cambiata perché ho ascoltato le sue motivazioni nella trasmissione Otto e mezzo e spero di poterLa contattare.
Ho potuto constatare, senza provare alcun piacere, che Lei come altri del PD (ad esempio Fabrizio Barca) pone l’interesse verso il partito al disopra di tutto anche della società e del suo bene comune. Questo modo di pensare è un lascito di quando tutti i partiti riuscivano ad imporre mediante l’ideologia ai propri aderenti un rapporto di fedeltà del tutto simile a quello imposto con i dogmi ai fedeli di un credo religioso.
Le ideologie si sono svuotate di significato per l’evoluzione della società sospinta dalle nuove tecnologie e trascinano con se i partiti. Anche se lo scontro ideologico non portava alla soluzione il confronto definendo chi avesse ragione, creava la sana amalgama negli schieramenti di modo che gli eletti alle rappresentanza non potevano sfuggire alle regole implicite di doversi attenere alla buona condotta. Indipendentemente dal loro contenuto e dalla prospettiva di società sognata, le ideologie quando non tradivano in modo inconciliabile il principio del bene della comunità umana avevano la funzione essenziale di creare ambiente adatto a relazioni sociali solidali e accomunanti. É come se il il principio del bene della comunità umana basato sulla solidarietà proponesse delle finalità intermedie più facilmente riconoscibili da insiemi di cittadini e perciò li vincolasse a legami relazionali (il principio di appartenenza). Sia il cittadino comune elettore che il suo rappresentante eletto appartenevano a quella rete di vincoli e la società ne ricavava il beneficio di solidità. Lo Stato italiano è imperniato sulla distribuzione del potere ottenuta mediante la delega della rappresentanza.
Fra gli effetti delle tecnologie si è sempre verificato che queste facilitando l’esecuzione di qualche compito facesse diminuire la necessità di impegnarsi insieme ad altri collaborando e naturalmente indebolendo le relazioni più efficaci nel farlo. In tutte queste evenienze il principio del bene comune ha dovuto sempre correre ai ripari escogitando funzioni culturali di correzione per ritessere la rete delle relazioni. Questo è il…
Questo è il progetto ancora non realizzato della costituzione.
Dibattito: Conviene il decisionismo istituzionalizzato o la democrazia realizzata?
La discussione di ieri a otto e mezzo si è sviluppata proprio intorno a questo quesito.
I fautori del decisionismo fanno passare queste riforme alla costituzione come innovazione mentre in realtà approfittano delle inadempienze della politica, incapace di trasformare quello che è un progetto politico (la Costituzione) nel modo d’essere della società, nella sua cultura.
I decisionisti, fautori del SI vogliono perpetuare un concetto: Chi siete voi per giudicarmi? Sono eletto dalla maggioranza del popolo italiano. Nessuno mi può giudicare. Il governante senza alcun vincolo può, come abbiamo visto recentemente fare a De Luca, dividere il territorio in mandamenti e dire a chi lo rappresenta: vai fra le persone che contano, quelle che più possono influire sugli altri e fagli promesse in cambio dell’appoggio dello Stato che gli darà la possibilità di fare. Ora è il momento di consolidare il potere clientelare che ci servirà a vincere ancora.
Una democrazia veramente realizzata concepisce il governante come uno strumento per espletare un servizio: gestire la cosa pubblica (la Repubblica) attraverso le istituzioni dello Stato. Perciò le istituzioni dello Stato devono essere equipaggiate a mettersi in relazione con i cittadini, cioè dare da una parte a questi il massimo della possibilità di esprimersi confrontandosi e dall’altra a se stesse la capacità di ascoltare e entrare nel merito delle discussioni per poter cogliere gli spunti della evoluzione positiva e farne sintesi, espressione di progetto da restituire alla discussione con i cittadini e con i governanti. Io voto NO per non perpetuare il decisionismo che già da troppo tempo impedisce le buone relazioni della solidarietà democratica.
Guardandoci indietro, Prodi è stato un decisionista o un democratico consultivo?
Prodi dice, per quella che è stata la mia storia personale voto SI.
Questo è emblematico di un modo dì pensare e di essere. “In considerazione del fatto che ressi a lungo le sorti delle umane cose per reggere più facilmente il peso di questa enorme responsabilità è d’uopo che costruisca per me e per gli altri una visione del possibile che mi scagioni di qualsiasi attività venne compiuta quando detenevo il potere”. Il messaggio di Prodi si rivolge ad una platea eterogenea di cittadini che hanno percorso con lui il periodo della sua influenza decisionale.
Il cittadino al contrario del governante, proprio perchè si tratta della propria esistenza, osserva quanto ha fatto in passato con spirito critico, nella speranza di evitare in futuro gli errori fatti. Non può fare altro che guardare la società come un ambiente implacabilmente definito sul quale non può in alcun modo influire, nel quale deve scegliere come muoversi e il responso della scelta gli viene dato solo dal risultato. La quasi totalità della moltitudine non può fare altro che accettare i risultati come una fatalità. È così che la costruzione della visione virtuale è diventato strumento per il mantenimento del potere decisionale esente da qualsiasi critica.
La gestione governativa di Prodi, visti i pessimi risultati (Iva di Taranto, Enorme carrozzone della giustizia: dedito alla produzione e gestione del contenzioso, smantellamento di gran parte della produzione alimentare nazionale, sostituita dalle importazioni dall’estero ecc) ha fallito completamente il compito di migliorare la società. La visione virtuale riuscì a proporre uno scenario politico con due grandi blocchi. La contrapposizione degli schieramenti ha avuto come scopo fondamentale la vittoria nella rincorsa al potere. La necessità di fronteggiare meglio l’avversario ha imposto l’eliminazione delle voci critiche interne. Il decisionismo si è imposto nel concreto di tutte le azioni politiche. L’impatto culturale è sotto gli occhi di tutti ma, tutti scaricano le colpe tranquillamente su pazzi, corrotti, impreparati ecc. Gli esperti possono dire anche il contrario ma la gente comune afferma perentoriamente che la crescita culturale della società può accadere solo per destino imperscrutabile. Ai fatti incresciosi, come il medico e l’amante infermiera di Saronno, ai morti sul lavoro per pulire una cisterna (ultimi della lunga fila), all’aereo che viaggia con poco carburante per risparmiare e precipita non c’è rimedio: così va il mondo.
Ma la società umana invece cambia in continuazione alla ricerca del miglioramento. Non lasciamoci confondere da falsi obbiettivi, come la forsennata ricerca dell’aumento del PIL che nessuno può proclamare sarebbe stato il toccasana per salvare quei morti; chi può invece ritenere inutile istituzionalizzare la democrazia che impone a chi prende decisioni di soggiacere molto di più al controllo di un…
Ma la società umana invece cambia in continuazione alla ricerca del miglioramento. Non lasciamoci confondere da falsi obbiettivi, come la forsennata ricerca dell’aumento del PIL che nessuno può proclamare sarebbe stato il toccasana per salvare quei morti; chi può invece ritenere inutile istituzionalizzare la democrazia che impone a chi prende decisioni di soggiacere molto di più al controllo di un cittadino consapevole del proprio interesse e responsabile?
Mi sembra opportuno entrare nel merito di tutta la vicenda referendaria proprio perchè in tanti se ne sono interessati. Faccio una serie di osservazioni:
Non so cosa intendono gli italiani essere la Costituzione. Io spero che la intendano essere un insieme di principi, dedotti dai saggi padri costituenti facendo tesoro delle proprie esperienze vissute e proprio per evitare le manchevolezze dei limiti di ciascuno assoggettandosi al vaglio delle esperienze degli altri per accrescere le proprie. I principi scritti nella costituzione proprio perchè espressione di personalità differenti ma che si erano opposti in blocco all’idea fondata sul premio al più forte della dittatura fascista, si avvicinano moltissimo ad esprimere il nucleo fondamentale della coscienza umana comune.
Le due campagne referendarie sono state paradossalmente entrambe fondate sulla paura:
L’argomentazione espressa con maggior vigore dai fautori del “SI”, secondo me non ha riguardato la riforma ma la necessità di adattarsi il meglio possibile al sistema di potere globale esistente. L’ammonimento della propaganda più agguerrita del “SI” è stato: guardate che cosa ci chiedono i gestori del mondo, quelli che contano. La situazione internazionale in crisi profonda esprime la necessità di cambiamenti all’impostazione globale ma mentre è fortissimo prevalente nella popolazione il sentimento di auspicare una società più giusta e solidale per far fede all’esortazione espressa dai principi dei diritti dell’uomo, resistono come una muraglia invalicabile le abitudini e i comportamenti adattati alle modalità oramai razionalmente superate della necessità di premiare il vincitore per ottenere dallo stesso la spinta ad espandere le scelte di maggior profitto. Il sistema globale oggi vigente continua a premiare il profitto invece le popolazioni chiedono altro: moltitudini si fanno sentire nell’unico modo che gli è concesso, mettendo a repentaglio la vita per ottenere il cambiamento.
L’insieme caotico della propaganda per il “NO” trova al di là degli accorgimenti tattici, la spinta unitaria nella paura che il governante sia sospinto all’azione proprio dagli attuali governanti del mondo e voglia eliminare dalla costituzione quei vincoli, certamente utilizzati male con pessimi risultati, ma che invece contengono proprio lo spirito della costituente. Le riforme alla costituzione non si possono fare tradendone lo spirito fondante.
La popolazione che ha votato “NO” chiede che si dia attuazione al principio mai veramente osservato: Il Popolo è Sovrano e si costruisca l’organizzazione più adatta a permettergli di trasmettere ai governanti le proprie aspirazioni di solidarietà e giustizia.
Fare qualcosa per le banche: forse istituire commissioni popolari sorteggiate periodicamente fra i clienti delle filiali delle banche (tutte) di una circoscrizione territoriale che possano avere la visione sintetica dei flussi di denaro sul territorio del circondario per acquisire una conoscenza delle potenzialità, e degli sviluppi possibili.
L’abitudine di farsi contare per non contare niente.
La mia storiella di ieri e di oggi mi sembra molto esplicativa della differenza che esiste fra chi conta e chi si fa contare.
Premesso che vivo in Lombardia che tanto si loda e si imbroda.
Ieri dopo le molte insistenze di mia moglie mi recai dalla dottoressa per informarla che spesso durante la notte se non mi sveglio da solo mi sveglia lei spaventata perché rimango a lungo in apnea. Per capirci qualcosa di più la dottoressa mi ha detto di sottopormi a “Monitoraggio incruento della saturazione arteriosa” e che avrei potuto usufruire di un ospedale di gestione pubblica molto vicino, dove mi avrebbero dato un apparecchietto da tenere la notte per la rilevazione. Tornato a casa ho cercato di prenotarmi mediante l’apposito centralino della regione, ma l’impiegata mi ha detto che a Lei quell’ospedale non risultava abilitato per la prestazione prescritta ma che se la dottoressa diceva il contrario era opportuno accertarsene direttamente presso la struttura però non aveva un numero di telefono per contattarla. Perciò mi sono recato all’ospedale. Alla accettazione c’era una lunga coda; perciò preso il numero per accedere in sequenza ordinata allo sportello, siccome avrei dovuto attendere un bel po’ di tempo ho pensato di fare un giro nei corridoi e ho chiesto informazioni al personale che ho incontrato. Finalmente mi è stato detto che senza passare dallo sportello, dovevo recarmi direttamente alla ricezione del poliambulatorio. Le impiegate. però mi hanno detto che l’ospedale aveva smesso di farsi carico di quella prestazione e che nelle vicinanze un ospedale privato avrebbe sopperito alle necessità. Tornato a casa ho telefonato all’ospedale segnalatomi e così sono venuto a conoscenza che la prima possibilità di avere la prestazione era in data giugno 2018. Non mi rimaneva altro che chiedere un nuovo appuntamento alla dottoressa per cercare una soluzione.
Ma la notte porta consiglio e stamattina appena sveglio, ho cercato su internet il prezzo dello strumento per il “Monitoraggio incruento della saturazione arteriosa”. Credevo di avere come risposta qualche centinaio di euro invece mi manderebbero a casa il più economico per 20,50 euro e in 7 negozi si vende a 17,75 euro iva compresa. Non mai eseguito un acquisto in internet, perciò incaricherò uno dei miei figli. Quasi sicuramente potrò inserire questa spesa con le medicine nel 730. Dopo aver utilizzato lo strumento lo metterò a disposizione di chi recandosi dalla dottoressa avesse la stessa mia necessità. Posso dire che ieri mi son fatto contare più volte ed oggi sono in condizione di contare.
Ho creduto opportuno raccontare la mia storiella di ieri e avantieri perché la ritengo emblematica di quanto mi è successo di sapere da due libri di Jermy Rifkin e precisamente: “Entropia, la fondamentate legge della natura da cui dipende la qualità della vita” “La società a costo marginale zero”. Ho tentato più di una volta di divulgare quello che ho capito del suo insegnamento; evidentemente converrebbe che in molti leggano questi libri; però in realtà l’evoluzione avviene comunque, come è già avvenuto in passato. La storia dell’uomo, non quella degli episodi eclatanti e delle personalità di grande rinomanza, ma quella dell’evoluzione della società ci racconta come nella stessa si contrappongono oggi come si sono contrapposti in passato due paradigmi il primo, vigente, consolidato che utilizza le forme di energia il cui uso l’uomo è stato capace di rendere pienamente utilizzabili divulgandone la conoscenze e adattando completamente la propria società attraverso le tecnologia delle apparecchiature costruite a tale scopo; il secondo non ancora consolidato perché la sua conoscenza non è ancora pienamente diffusa e la maggioranza dei singoli uomini non l’hanno acquisita. I paradigmi hanno influenzato e continueranno a influenzare la società molto di più di quanto possa apparire dalla storia degli episodi eclatanti e dei personaggi rinomati. Le grandi rivoluzioni che modificano le istituzioni degli Stati sono state sempre conseguenza delle nuove energie resesi disponibili, delle modalità con cui se ne è diffusa la conoscenza e possiamo tranquillamente dire che le tecnologie determinano il modo di organizzarsi per ottenere dall’energia disponibile il miglior rendimento. Leggete e divulgate la conoscenza innovativa per quanto ne siete capaci!! Forse il nuovo paradigma propone globalizzazione a minimo costo della conoscenza e attività produttive localizzate per utilizzare l’energia diffusa al miglior rendimento che non significa assolutamente crescita del PIL ma del benessere. La modalità del Pil fa parte del vecchio paradigma ne dobbiamo tener conto solo finché non siamo riusciti a sostituirlo.
Credo necessario avere il coraggio guardare la costituzione con spirito critico costruttivo perché se la stessa non è riuscita a creare una società che non dico si attenga a suoi sani principi ma nemmeno aspiri a fare degli stessi la guida delle sue regole di comportamento, il risultato deludente non può che significare che le istituzioni dello Sato hanno la capacità di trasformare quei principi che la grande maggioranza dei cittadini accetta, in regole di comportamento legalizzate assolutamente in contraddizione con gli stessi. Per esprimere la mia opinione, suffragata dalla astensione in crescita continua, avviene che il solo strumento del voto è oramai considerato dalla maggioranza dei cittadini un espediente dei politici per acquisire il diritto di appartenenza alla casta dei governanti con tutti i privilegi che nel tempo sono riusciti ad assegnarsi. L’impegno dei difensori dei principi costituzionali deve perciò essere di fare rientrare fra le Istituzioni dello Stato il cittadino come fattore vero di contrappeso rispetto agli altri organi dello Stato. Le parole della costituzione devono veramente godere del supporto del cittadino. Oltre al Presidente della repubblica, ai Parlamenti, alla Corte Costituzionale, al Potere Giudiziario e al Potere Esecutivo manca una istituzione dello Stato che controbilanci tutti questi poteri che è il Potere del Cittadino. Quando escludiamo questo potere, non fornendogli buona capacità, indipendenza e strumenti appropriati è sotto gli occhi di tutti come gli altri poteri si riuniscano in alleanza di élite che ha una visione difettosa della realtà sociale.
Per fare diventare il cittadino una istituzione reale forse può essere una idea organizzare strutture relative a piccole comunità a misura d’uomo:
1) circoscrizioni territoriali raggruppanti famiglie
2) comunità lavorative
3) oppure anche occasionali come per il fenomeno del pendolarismo
4) ecc.
Piccole comunità mirate cioè alle situazioni reali di vita, nelle quali sia più facile per il singolo contare e che possano fornendo supporto dal basso dare veramente a ciascuno maggiore possibilità di contare, cioè di esprimere con qualche risultato le proprie idee.
Giustissima l’analisi della situazione e anche l’aspirazione a far diventare il popolo sovrano. Io credo che la Costituzione sia molto avanti nella formulazione dei diritti ma che sia invece, malgrado tutti gli accorgimenti pensati per bilanciare i poteri assegnandoli a istituzioni dello Stato diversificate nelle responsabilità e nei compiti, insufficiente nella costruzione della struttura dello Stato. La dimostrazione della manchevolezza sta proprio nella incapacità dello Stato di fare assomigliare la società che governa ad una comunità in cui si abbia almeno l’aspirazione a vivere secondo i diritti sanciti dalla costituzione. La struttura dello Stato formalizzata dalla costituzione si concretizza nell’affidarsi ad una élite che ha assunto le caratteristiche di casta pressoché impenetrabile, costituita dall’insieme di persone a cui è demandato il compito e la responsabilità di gestire la vita nella società. L’impenetrabilità non consiste tanto nel rendere impossibile l’inserimento di nuovi individui quanto nella forse inconsapevole difesa della casta di impedire l’introduzione di pratiche pragmatiche che si propongano contemporaneamente due obbiettivi la crescita economica e la crescita della capacità dei cittadini di vivere secondo i principi costituzionali. L’élite al potere ha una visione della vita nella società falsata proprio dall’appartenenza alla casta che la fa vivere con modalità completamente diverse dall’altra popolazione. Si sono costituite nel tempo, quasi come evoluzione naturale due società che vivono separatamente, comportandosi perciò in modo diverso anche se formalmente devono rispettare le stesse leggi. Entrambe devono però sottostare ad una legge conseguente all’introduzione del denaro che è la legge del mercato competitivo.
Uno slogan per il cambiamento: Produrre benessere non oggetti
Non mi piace che si risponda non alle argomentazioni di Canfora con cose che non centrano con le stesse, perché mi sembra il modo di fare cadere tale discorso nel nulla.
Canfora mi sembra consapevole delle difficoltà di fare previsioni sul futuro. Mi sembra che le difficoltà non devono frenarci dal fare analisi per cercare di evitare le catastrofi e non conformarsi all’atteggiamento improduttivo di chi compie tranquillamente peccato tanto potrà pentirsene e guadagnarsi il paradiso. A proposito di massimi sistemi una lettura interessante che ci dà qualche speranza: “La società a costo marginale zero.” di Jeremy Rifkin.
Il tragico ed estremo gesto risale a lunedì scorso: a darne notizia è l’associazione Babele, che ha avviato una raccolta fondi per il rimpatrio della salma. Amadou – racconta una attivista – a 22 anni ha scelto di uccidersi. Aveva avuto un diniego …
Quando andiamo in un supermercato e compriamo il pesce surgelato scegliamo tranquillamente quello che ci sembra più buono e più a buon mercato, nessuno di noi pensa a prestare attenzione per sapere da dove viene e chi ce lo sta vendendo.
Gambia è un piccolo stato dell’Africa occidentale circondato dal Senegal ad eccezione del punto in cui il fiume Gambia sfocia nell’oceano Atlantico. Io ho saputo guardando la trasmissione “Presa diretta” di Riccardo Iacona. Gli abitanti vivevano tranquillamente di pesca, infatti non dovevano usare soldi per comprare il pesce al supermercato ma andare con le loro barche a gettare reti nel loro mare pescosissimo. Ora invece i nostri grandi pescherecci hanno trasformato il pesce in denaro e gli abitanti del Gambia che si ritrovano senza pesce e senza denaro sono costretti ad andar via dal proprio paese che da paradiso abbiamo trasformato in grande industria che trasforma la materia prima pesce in denaro facendo aumentare il PIL degli Stati che mandano i propri pescherecci.
Al sig. Paolo Barbieri Lei ha veramente ragione, coloro che dovrebbero indirizzarci su una strada che lasci intravedere la luce del miglioramento sociale sono solo capaci di analisi storiche che oramai risuonano nelle nostre orecchie come ritornelli che proprio perché ripetuti troppe volte da voci stonate hanno acquistato l’andamento di cantilene petulanti.
A me sembra che esista un grande schieramento trasversale che è appostato per colpire ferocemente specialmente chi non si attiene alle regole.
Quanto riportato in precedenza sono considerazioni su quanto ho continuato a leggere nei commenti da lei firmati. Ora che Lei mi chiama in causa direttamente mi rimprovero e mi scuso se distratto da fatti sopravvenuti non avevo dato corso ad un contradittorio sicuramente interessante.
Prendo in considerazione punto per punto le sue ultime considerazioni non per fare polemica ma al contrario proprio nel tentativo di scovare i punti deboli di quanto mi sono affannato a proporre:
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30 anni di denunce dei “denunciatori professionali” alla Travaglio, Gabanelli. Iacona, Stella, Rizzo & c., non hanno prodotto alcuna reazione volta al cambiamento, ma solo accompagnato degrado e declino del Paese.
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Mi domando se non ci fossero stati i denunciatori professionali saremmo stati meglio? Quando hanno denunciato misfatti, che altro avrebbero dovuto fare? Forse andare oltre la denuncia e so-spingere l’opinione pubblica a comprendere che la punizione del misfatto o dell’errore è molto meno efficace della educazione al buon comportamento. Purtroppo, i cittadini premono natural-mente per avere la giustizia che gli interessa per i fatti contingenti nei quali sono coinvolti diret-tamente. Non so se mi sbaglio ma non è forse la ingiustizia sociale, la incapacità di essere gover-nati secondo criteri di giustizia a creare un clima fecondo per la vita insoddisfacente? I palazzi di Giustizia sono diventati enormi apparati dediti al contenzioso e non, come dovrebbe essere, a ge-stire, una società il più giusta possibile. Fanno talmente parte del sistema della nostra società che se all’improvviso i cittadini non litigassero più, chi ci governa avrebbe il problema di impiegare tante persone che si impegnano a dirimere i problemi di discordia. Tutto è concepito con un pre-giudizio iniziale che gli uomini sono propensi al male. La sfiducia verso l’altro regna sovrana e que-sto è l’atteggiamento che produce l’opposto della cooperazione e perciò contese per le quali mai nessuno ha completamente ragione o completamente torto. Comunque, non sempre i giornalisti si fermano alla semplice denuncia. Hanno molto da fare perché devono scegliere gli argomenti che interessano l’opinione pubblica ma se li trattano solo con la finalità del semplice racconto del-la verità creano nei propri lettori l’abitudine ad essere passivi. Ci siamo abituati a subire e solo do-po a protestare, incapaci di vera partecipazione, di vero spirito critico che sviluppi ipotesi di mi-glioramento sociale. Le élite approfittano di questo atteggiamento diffuso e mantengono facil-mente il proprio potere. Chi è fuori della cerchia viene tenuto fuori facilmente, intimorito dalle pernacchie che gli vengono propinate quando per caso riesce a farsi ascoltare, non gli rimane che vivere la parte del Don Chisciotte. Il fenomeno è diffuso nella società a tutti i livelli e comporta no-tevole perdita di potenzialità, propensione a rinchiudersi su sé stessi o peggio alla ribellione violen-ta. Ma tornando alla giustizia esprimo su questo problema un concetto logico che sembra contra-stare proprio con i fatti reali dell’esistenza: la possibilità di fare diversamente da come già vien fat-to. È molto facile dire che nella nostra società gli episodi di violenza sono estremamente diffusi perciò non ci rimane altra possibilità che rispondere alla violenza rafforzando sempre di più gli strumenti di controllo e di punizione che facciano passare ai malfattori la voglia di non osservare le regole. Di questo criterio la società umana si è valsa da quando venne costituita. I tentativi di fare diversamente ci sono sicuramente stati. Ma, la pervicacia della mala pianta si oppone con continuità disarmante ai tentativi di trasformare la società. L’uomo è contemporaneamente un animale sociale e asociale. Non è sicuramente come le api che sono l’esempio di una società dove ogni singolo individuo è predestinato ad eseguire il suo specifico compito. Ha, secondo me, ragio-ne Vito Mancuso che spiega come siano state proprio le contraddizioni delle quali è impastato l’uomo a procurargli una evoluzione così impetuosa. Forse sto andando fuori tema ma la situazio-ne a guardare soltanto il presente e il vicino senza esplorare il passato, il futuro e il lontano fa ve-ramente spavento. Già qualcuno mi ha detto che si vorrebbe dimettere da essere italiano; forse allora si dovrebbe dimettere da essere uomo. Se avete visto a Carta Bianca la lite furiosa fra Sgarbi e Giordano vi dico che io ne ho tratto questo insegnamento: la società umana è fatta per l’evoluzione continua, per non rimanere oggi come ieri e domani come è oggi, e però se ci accor-giamo che le regole alle quali affidiamo i nostri comportamenti ci sospingono a tradire l’universale principio di umanità dobbiamo denunciarne le manchevolezze e lavorare a modificarle. Dovrebbe essere molto semplice accorgersi delle regole in contradizione col principio di umanità, basterebbe essere capaci di mettersi nei panni degli altri. Questa cosa è tanto semplice che ci siamo abituati al contrario. La maggioranza avrebbe sicuramente bisogno di vivere in comunità socializzate invece le modalità con le quali avvengono le relazioni fra gli individui sono pervase dalla competizione fra gli io, sventola la bandiera dei diritti dell’io. Pochi si accorgono di darsi la zappa sui piedi e pur-troppo se fanno diversamente da come vanno le cose del mondo sembra che la zappa sui piedi se la diano veramente.
Però, qualche nazione che sta meglio di noi fa esperimenti che mi sembrano positivi.
In Finlandia si pagano gli studenti rendendoli così pienamente responsabili che stanno lavorando a costruire il futuro della propria società.
In Norvegia gli individui ritenuti pericolosi convivono in isole con gli addetti al loro controllo; la segregazione mira a salvaguardare la società dalla loro pericolosità. I controllori sono altamente qualificati per il proprio compito che è difficilissimo far vivere a individui, colpevoli di delitti tre-mendi, abitudini di esistenza completamente diverse da quelle vissute in precedenza. Tutto il resto delle attività che seguono le sentenze mira al recupero dell’individuo che non deve perdere la pro-pria dignità.
Allora cerchiamo di vivere di speranza, aggrappandoci all’unica possibilità che nessuno può toglierci il principio di umanità.
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E neppure gli esempi positivi proposti, slegati da un progetto operativo spendibile in tempi conte-nuti, hanno prodotto effetti importanti al fine di un cambiamento qualitativo dell’offerta politica.
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Io credo positivi gli esempi di quelle attività che, mi sembra, abbiano raggiunto risultati positivi re-lativamente ai problemi che dovevano risolvere. È sicuramente vero che i problemi si riferiscono a situazioni particolari ma secondo me le attività nella società umana corrispondono sempre alle re-lazioni fra le persone che partecipano e il buono o cattivo risultato non prescinde mai da quanto buone siano le relazioni fra le persone stesse. Chi vuole un progetto operativo spendibile (credo voglia dire esteso alla intera società) che evidentemente è inesistente nella Costituzione, non può fare in altro modo che farselo suggerire da coloro che in realtà lo hanno già applicato come si de-duce dai risultati ottenuti. Invece di dedicarci solo allo studio del male creando armi per reprimer-lo, ma rifornendo proprio gli operatori del male di quelle stesse armi, dedichiamoci, anche e di più, a studiare le realizzazioni positive, quelle che non tradiscono il principio di umanità, per trarne gli insegnamenti all’evoluzione positiva.
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Ed il Paese prosegue il suo cammino verso il suicidio politico, economico, finanziario e sociale, mentre alcuni tra i migliori pensatori teorizzano una Rivoluzione Costituzionale…che rimane incre-dibilmente sulla carta, senza neppure un tentativo di approfondimento collettivo tra gli stessi teorici.
Altri ritengono indispensabile per il cambiamento, un’evoluzione culturale della Cittadinan-za…senza rendersi conto che essa è una prospettiva irrealizzabile contro un potere costituito che vuole tutt’altro.
E viene a mancare anche la speranza nelle briglie dell’Europa…anch’esse tutt’altro che salde… Per chi non Crede, è fosco l’ere, il cielo è muto… mentre il “SalviMaio” prosegue e perletua la stagione nefasta della casta, solo un po’ più ridicola.
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Per vivere secondo i principi di umanità dobbiamo credere nell’uomo anche se ci sembra che vincano uomini disumanizzati. Leopardi con la sua vita dolorosissima e la sua opera incommensurabile ne è un esempio vivente.
Mi sembra che se si vuole costruire in breve tempo una forza politica che dal niente acquisisca grande consenso, sia molto importante studiare come questi fenomeni sono avvenuti quando sono avvenuti e perché alcuni acquisiscono grandi dimensioni e durevolezza mentre altri rimangono inefficaci, incapaci di creare opinione di massa veramente influente per modificare la società attraverso un salto della qualità culturale della cittadinanza.
Alla base della propaganda politica di coloro che aspirano a diventare una forza politica esiste senza dubbio lo strumento della promessa. I risvolti relazionali che derivano da una promessa sono molto complessi. Un approccio considerato di primaria importanza consiste nell’esprimere un progetto che dia la risposta creduta opportuna dalla maggioranza dei cittadini che quasi sempre corrisponde ai loro interessi. Ma la promessa dichiarata si presenta come quel multiforme aspetto che presiede al modo di porsi umano dell’individuo nelle relazioni. Il promittente espone il suo programma in modo diverso a seconda dell’interlocutore, può fornire informazioni molto simili ma modificare per esempio la promessa nei riguardi dei tempi d’inizio dell’esecuzione oppure dei tempi finali della realizzazione in modo da ricevere il consenso di parti che vogliono cose completamente diverse. Una divergenza di opinione che oggi appare fondamentale sta nel fatto di promettere a chi ha acquisito diritti reali (o privilegi) che li conserverà e a chi aspira ad averli che gli verranno concessi. Si sono rivelati vincenti in passato programmi politici nei quali rimane individuata una problematica aggregante che si rivolge contemporaneamente ai due bacini d’interesse prima considerati, cioè sia a quelli che vogliono conservare il proprio status che a chi aspira a migliorarlo. La parola d’ordine molto efficace rivolta alle popolazioni dei territori in condizioni generali migliori è: pensiamo a noi stessi e staremo meglio tutti. Si convincono facilmente anche coloro che là vivono peggio, dandone la colpa a chi vive altrove e preme per usufruire della ricchezza del loro territorio. Un’altra modalità recentemente molto vincente si riassume nello slogan: uno vale uno. È rimasta una promessa senza un vero programma di attuazione, ma la sua presa sull’opinione pubblica non perde vigore e molto probabilmente ciò consegue dal fatto che sono gli unici a dirlo e possono coprire con lo stesso tutte le proprie manchevolezze: “chi non è d’accordo su un particolare forse crede di valere più di noi che continuiamo a credere alla idea di una grande promessa?”.
Nella società attuale c’è una minoranza di cittadini che contano con continuità nel tempo ed altri ai quali si fa ritenere di contare eleggendo i propri rappresentanti nel momento delle votazioni e su questo formalismo ambiguo si gioca la competizione politica. I cittadini che contano con continuità nel tempo sono tutti quelli che godono di un potere che gli permette di potersi confrontare in modo privilegiato con gli altri, il loro potere fa da supporto alle loro relazioni e gli permette di modificare a proprio vantaggio i comportamenti degli altri: siano singoli cittadini o gruppi concorrenti o istituzioni dello stato o società contrapposte. Come si può dare agli altri cittadini un potere simile? I partiti nuovi si affermano come vincenti se non seguono l’andazzo dei precedenti misurandosi sulla marea degli interessi particolari per i quali chi detiene già un potere si trova in una situazione di chiaro vantaggio, ma propongono qualcosa quasi sempre di più generale che investe la grande parte dei cittadini ai quali si rivolge. La promessa riguarda sempre il concetto fondamentale di metterli in condizione di avere un potere di contare con continuità nel tempo. A tale riguardo riscontro che le difficoltà in cui si trovano gli stati democratici fondati sulla rappresentanza degli eletti conseguono dal fatto che al popolo viene attribuito il titolo solo formale di essere sovrano ma questo titolo che si esplica solo nel momento delle votazioni non può adempiere a nessuna funzione reale perché la vita reale della società viene gestita attraverso i soggetti costituiti per quanto potere si sono conquistato. La logica dei contrappesi (e menomale che fu pensata) si rivela insufficiente perché ciascun contrappeso finisce per rappresentare interessi di parte. Il vero contrappeso che dovrebbe essere dato dall’insieme di tutti i cittadini è escluso completamente dal gioco e non esplicando la propria funzione rimane completamente diseducato a partecipare con l’obiettivo della buona società, può reagire o affidandosi ciecamente ad una parte politica o disinteressandosi completamente se ritiene che siano tutti inaffidabili oppure adoperando la violenza per acquisire il potere che gli viene negato.
Credo che in questo discorso ci sia almeno un minimo di verità e allora non basta, bisogna trovare il modo di sciogliere il nodo.
Vi racconto un momento della mia vita. Alla terza elementare subimmo la coercizione a studiare il catechismo fascista che scopiazzato dal catechismo cattolico iniziava con la domanda: Chi è il Duce? E la risposta che per fortuna non ricordo bene che esprimeva il concetto di supremazia di questo personaggio che era considerato Nuovo Dio in Terra. Deducetene voi le conseguenze. Del contenuto mi ricordo parole allora per me incomprensibili che dovevamo imparare a memoria, forse il diritto del popolo italiano a creare il proprio impero perché erede di Roma Antica.
Per i risultati ottenuti mi accorgo che purtroppo i nostri governanti del dopoguerra, forse per paura di essere accusati di voler seguire l’esempio dei fascisti hanno finito col fare altrettanto seguendo solo formalmente un comportamento che sembra essere l’opposto.
Il loro criterio infatti prese inconsapevolmente dal fascismo il criterio che si fonda su questa modalità:
L’élite, prima i gerarchi fascisti e dopo i costituenti del nuovo Stato, si fecero carico di pensare a modellare lo Stato e i suoi cittadini. Entrambi i governanti, naturalmente con la differenza enorme del contenuto, hanno trattato il popolo come entità passiva che avrebbe dovuto sottostare alle loro regole. Naturalmente dico questo col senno di poi, ma secondo me, il senno di poi è fondamentale alla evoluzione positiva.
Che cosa si sarebbe dovuto fare dopo aver promulgato la Costituzione? Darle i crismi di autorevolezza, ma, non come si fece di essere solo uno strumento di definizione dei limiti di comportamento per i cittadini, ma piuttosto una guida allo studio della società alla quale i cittadini avrebbero dovuto attivamente partecipare per sentirla veramente come propria.
Solo a distanza di più di dieci anni dalla promulgazione, Aldo Moro introdusse con molta timidezza la materia scolastica di Educazione Civica nel cui ambito si sarebbe dovuta studiare la Costituzione e non so se fu mai studiata da qualcuno con lo spirito critico sempre necessario a sviluppare evoluzione positiva. I maturati fortunati, usciti dalla scuola a 18 anni sono diventati cittadini col diritto al voto, ma senza conoscere la Costituzione. Hanno conosciuto l’esistenza delle regole solo coloro che appartenendo alla classe dei deboli, le trasgredite.
Secondo me ne stiamo pagando le conseguenze negative. La critica nel bene e nel male l’hanno fatta solo gli addetti ai lavori e siccome la Costituzione poneva limiti di comportamento a tutti, l’élite unica detentrice di potere si è data molto da fare a trovare cavilli che le permettessero di sfuggire a quei limiti.
Che fare oggi? Proprio non so. Conosco solo il risultato che non sono sufficienti le buone regole, vale sicuramente di più il pragmatismo del ben fare.
Sono andato immediatamente a vedere Diem25. mi sembra il vero e unico modo di difendere la costituzione perché si basa sul pragmatismo. Siamo in una situazione stravolta non solo dall’inosservanza dei principi scritti ma anche dei principi umani dai quali gli stessi principi costituzionali faticosamente traggono forza. Ne è conseguita la nostra cultura di società che vorremmo cambiare in meglio proprio affidandoci ai principi umani. Il cambiamento può essere reso possibile solo tenendo presente lo stato attuale. Perciò quantunque sia indubbio che il sistema economico mondiale è criticabile e dovrebbe essere modificato radicalmente, mentre pensiamo ad impostare nel modo migliore possibile il cambiamento radicale, non possiamo fare altrimenti che introdurre accorgimenti per produrre meno danni possibile con le attali regole economiche che comunque dovranno essere cambiate il più presto possibile. Abbiamo perciò bisogno drammatico di persone molto preparate nel terrificante sistema economico attuale proprio per cominciare a frenarlo nelle sue nefandezze.
C’è di nuovo una cosa vecchissima lo scontro fra il presente e il futuro. Chi vuol vincere facilmente gioca tranquillamente sulle necessità del presente che può significare fare sopravvivere al presente ma assolutamente non progettare la sopravvivenza futura; si disperdono così in modo ineluttabile, sacrificandole al presente le energie disponibili. La disputa avrà fine quando non potremo rendere disponibili altra energia.
Pensato e scritto prima del Referendum
Un’attività di qualità dei partiti in una società basata su una democrazia con rappresentanza parlamentare eletta dal popolo.
Dopo aver letto la relazione della prof. Arianna Di Vittorio (università di Foggia) intitolata “LA QUALITÀ NEI SERVIZI PUBBLICI E NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE” che esprime in modo molto chiaro quale deve essere l’organizzazione dinamica per ottenere il miglioramento continuo del servizio nell’era del terzo millennio mi sono convinto che i partiti dovrebbero organizzarsi come sarebbe auspicabile che lo fossero le aziende di servizio. Solo così le istituzioni dello Stato invece di risultare la sintesi di poteri che impongono la propria visione del futuro senza vera partecipazione democratica, potrebbero diventare il risultato di una democrazia che aspira all’eccellenza proprio perché i cittadini parteciperebbero a creare le nuove proprie abitudini culturali che aspirino all’eccellenza.
Si sentono frequentemente molti esponenti politici affermare di essere servitori dello Stato e quindi servitori dei cittadini. Poiché i partiti sono le organizzazioni attraverso le quali dovrebbe essere espletato il loro servizio, risulta necessario, per fissare i termini, definire questo servizio e come le attività di queste organizzazioni possano risultare efficaci e rivolte al proprio miglioramento ed a quello degli elettori (utenti). Il bene che il partito si propone di fornire ai cittadini dovrebbe essere completamente privo da qualsiasi materialità ma, nello stesso tempo, tale da esprimere, come risultati, effetti sia immateriali (crescita culturale) che materiali (crescita economica). Il partito dopo aver individuato l’obiettivo da raggiungere che consiste in un proprio ben definito modello della società dei cittadini ne fa il motivo della propria esistenza e si propone di fornire ai cittadini idee per la sua costruzione.
Per avere la visione dei fenomeni connessi che si sviluppano nella realtà, dobbiamo tener presenti tutti i soggetti interessati, vale a dire:
• La struttura logica progettuale del partito, costituita dalle sue idee fondamentali, che vorrebbe esprimere come risultato il proprio modello di società. Questa struttura logica progettuale subisce l’evoluzione naturale sia per l’avvicendarsi delle persone preposte alla sua formulazione, sia perché alle stesse viene imposto dalla realtà di tener conto dell’evoluzione della società stessa.
• L’insieme dei cittadini a cui si rivolge l’offerta del servizio.
(Sarebbe per me importante definire con regole precise quale deve essere l’insieme dei cittadini ai quali può rivolgersi l’offerta politica per impedire che i partiti cerchino di allevare i minori alle proprie idee istituendo proprie scuole o introducendo propaganda nelle scuole; la formazione politica degli studenti dovrebbe avvenire obbligatoriamente in modo indiretto e naturalmente il più possibile in modo oggettivo, con l’obiettivo di lasciare crescere spirito critico e vera libertà di pensiero. Naturalmente i partiti possono anzi debbono fare scuole interne per perfezionare la professionalità dei propri addetti)
• L’insieme degli addetti, i politici, che mantengono relazioni con i cittadini.
• La struttura dello Stato che compendia l’insieme di regole imposte nel momento presente alla società, regole che devono essere rispettate ma possono essere modificate solo quando un nuovo convincimento culturale s’impone nella società stessa. Anche le stesse modalità della trasformazione devono però fare parte delle idee fornite dal servizio (partiti) e diventare operanti solo in conseguenza del convincimento dei cittadini per potersi sviluppare nelle decisioni di attuazione. Chi governa (l’esecutivo) è il gestore della società secondo le regole vigenti di modo che il partito che ha vinto le elezioni, si può dedicare a modificare le regole seguendo il proprio programma, ma non deve trarre alcun vantaggio diretto dal fatto che esprime gli uomini del governo. La struttura dello Stato si dovrebbe intendere come completamente separata dai partiti. Gli eletti (deputati del parlamento e senatori) sottoporranno le idee di ciascun partito (già utilizzate nel processo di elaborazione della dialettica di partito) alle discussioni delle camere fino ad ottenere la formulazione delle leggi, che risultano pertanto essere sempre una rielaborazione finale di pareri diversi. L’esecutivo (ripeto: indipendente dai partiti) è il gestore delle leggi formulate, solo eccezionalmente propone leggi (attraverso decreti) che diventano definitive solo dopo l’approvazione delle due camere.
A ciascuno dei punti precedenti possiamo far corrispondere qualcosa di analogo nelle società di servizi.
La struttura logica, progetto del partito, corrisponde alla ragione sociale della società di servizio che comprende tutti gli apparati che elaborano i piani di penetrazione nel mercato insieme all’idea del prodotto più efficace.
L’insieme dei cittadini elettori corrisponde alla clientela acquisita, da conservare, o potenziale, ancora estranea, che si vuole convincere a utilizzare il servizio proposto della società. Anche la clientela delle società di servizio dovrebbe essere salvaguardata da interventi di persuasione che travalichino la concorrenza corretta, come la pubblicità non veritiera, la prepotenza economica, il lavoro nero, prodotti di basso costo ma controproducenti per la società, ecc.
Gli addetti alle relazioni esistono anche nelle società e sono i pubblicitari e i venditori.
La struttura dello Stato con tutte le sue regole che dovrebbe essere tenuta presente con il dovuto rispetto da entrambe le organizzazioni.
La differenza basilare fra il partito e il servizio sta nelle modalità di ciascuna delle due organizzazioni per il reperimento delle risorse economiche. La società di servizio ricava il sostentamento dalla vendita del servizio alla propria clientela e pertanto dipende da questa e deve attrezzarsi per soddisfarne i bisogni. I partiti politici invece acquisiscono potere economico dai cittadini che li eleggono solo nel momento delle votazioni (la sovvenzione è denominata in modo improprio, rimborso delle spese sostenute durante la campagna elettorale) e di questi solo una parte esigua continua a finanziarli in modo diretto; (è naturale che i politici soddisfino in modo più concreto chi gli dà il sostegno materiale diretto). Il meccanismo di finanziamento dei partiti falsa evidentemente la democrazia dando maggior peso politico a chi in qualche modo mantiene relazioni economiche con i politici e come vediamo dalle cronache questa modalità si presta ad intrallazzi e corruzioni. Secondo me, se si riuscisse a far diventare abitudine di tutti i componenti la società, una riforma che prevedesse una sovvenzione dello Stato ai partiti elargita in proporzione alle tessere (controllabili con codice fiscale trasmesso agli uffici del fisco nel momento del tesseramento e come avviene per un qualsiasi servizio, soggetto a diritto di recesso in qualsiasi momento con opportuno avviso agli stessi uffici) ed il divieto penale degli uomini politici e dei partiti di ricevere regali dei loro sostenitori e naturalmente di farli, gioverebbe molto a rendere pulita la politica.
La mia ipotesi è che il partito dovrebbe ricevere la sovvenzione dello Stato periodicamente e sempre in modo proporzionale alle tessere in proprio possesso nel momento della elargizione e che tutti i politici che ne fanno parte dovrebbero ricevere il proprio stipendio dal proprio partito secondo regole interne al partito stesso. Rimarrebbero a carico diretto dello Stato gli stipendi di coloro che rivestono cariche pubbliche riguardanti compiti chiaramente esecutivi e cioè gli addetti alle funzioni di governo, sia della Nazione che delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Lo scopo di questa impostazione è di creare una struttura basata sul proposito della ricerca continua dell’eccellenza, che parte dalla capacità dei partiti di farsi conoscere dai propri sostenitori non solo per il proprio progetto ma anche per il modo con cui sono capaci di attuarlo nel tempo.
È, inoltre significativa la differenza che esiste fra il cittadino, semplice elettore, che usufruisce dell’offerta dei partiti e il cliente dei servizi offerti da una società di servizi. Il cliente usufruisce di quanto gli viene offerto immediatamente appena usa il servizio e può esprimere immediatamente il proprio giudizio, il cittadino usufruisce di due effetti diversi, quello culturale che è immediato è tanto più realizzato, quanto più non si ferma a semplice informazione propagandistica unidirezionale ma è comunicazione bidirezionale con crescita culturale dei due soggetti e l’effetto finale che può sembrare anche completamente eluso ma che gli addetti alla comunicazione del partito dovrebbero avere la capacità di ridiscutere, sempre in modo costruttivo e reciproco, sia con i cittadini che con la gerarchia del partito alla ricerca di ulteriori miglioramenti delle nuove idee proposte.
Dobbiamo anche prestare attenzione alle situazioni particolari in cui si trovano i partiti politici che esprimono, avendo vinto le elezioni, gli uomini di governo. Gli stessi avranno vantaggio, quando oggettivamente la società vive un periodo di sviluppo mentre inversamente un periodo di regressione, comporterà difficoltà di consenso.
La tessera del partito renderebbe il ruolo del cittadino molto più importante, ma credo che sia comunque necessario, farlo crescere nelle competenze politiche e nella conoscenza dei fatti amministrativi e, perciò, come vien fatto in una regione della Francia, si potrebbero istituire camere basse in cui i cittadini tirati in sorte partecipano direttamente al controllo delle decisioni politiche per un periodo adeguato a creare esperienza e ad avere risultati efficaci. Il sistema dovrebbe funzionare facendo scalare i componenti l’assemblea in modo da sostituire man mano con nuovi sorteggiati gli uscenti e bilanciare così sempre persone che hanno già acquisito esperienza con nuovi componenti probabilmente inesperti ma anche privi di condizionamenti.
Anche se è evidente che i partiti si propongono un servizio molto più complesso, la somiglianza con quanto avviene nelle organizzazioni dei servizi mi spinge a suggerire la lettura per approfondimento di quanto si sta già facendo per sviluppare società di servizio che aspirano all’eccellenza della propria attività.
Nota Mi sembra di non aver considerato l’esistenza di servizi pagati dai cittadini in via indiretta. Mi riferisco ad adempimenti della pubblica amministrazione che riguardano una comunità nel suo insieme. Chiaramente quanto più l’operatore del servizio ha l’esclusività del compito, tanto più la responsabilità non può essere che politica, cioè di chi gli ha assegnato quel compito.
Il pagamento può essere parzialmente diretto; questo avviene quando l’espletamento del compito è rivolto al singolo cittadino ma l’organizzazione deve essere pronta a dare risposta a chiunque nella comunità. Risulta di conseguenza che i cittadini sono più competenti quando usufruiscono o hanno usufruito direttamente del servizio. Come si sviluppa un miglioramento reale culturale della politica e dei cittadini? Con il criterio di dare semplicemente più potere alla maggioranza dei cittadini (comunque gli sia attribuito col solo voto o anche economico con la tessera) i politici cercheranno di soddisfare la maggioranza e il compito della buona risposta e dell’assolvimento a rispondere a chiunque si trovasse in futuro nello stato di necessità, verrebbe tranquillamente trascurato. Mi accorgo ora di aver dato in qualche modo già una risposta che riporto: “La tessera del partito renderebbe il ruolo del cittadino molto più importante, ma
credo che sia comunque necessario, farlo crescere nelle competenze politiche e nella conoscenza dei fatti amministrativi e, perciò, come vien fatto in una regione
della Francia, si potrebbero istituire delle camere basse in cui i cittadini tirati in
sorte partecipano direttamente al controllo delle decisioni politiche per un periodo
adeguato a creare esperienza e ad avere risultati efficaci. Il sistema dovrebbe
funzionare facendo scalare i componenti l’assemblea in modo da sostituire man
mano con nuovi sorteggiati gli uscenti e conservare così sempre persone che hanno
acquisito esperienza.” Aggiungo che queste commissioni di controllo potrebbero essere specializzate per servizio.
Schierarsi per il futuro.
Non è democrazia proporsi la crescita del Pil: non è democrazia proporsi la diminuzione del debito.
Schierarsi per il futuro invece che per il presente impone la ridefinizione di concetti fondamentali. Intendo saper dire che cosa è la Democrazia e che cosa è la Libertà.
Come diceva Gino Bartali, il giusto che oggi viene portato ad esempio: Gli è tutto da rifare.
I concetti fondamentali non possono essere produttivi di esistenza meglio vivibile quando manca nel loro significato la prospettiva della vita futura.
L’attuale concetto di democrazia si rivela persino incapace di tener conto di tutti gli esseri viventi appartenenti all’umanità; come può tener conto di coloro che le apparterranno in futuro?
Democrazia è un concetto che si vorrebbe far corrispondere a una moltitudine di uomini inseriti in una società. Fino ad oggi ci siamo affidati al concetto di democrazia con la seguente proposizione esplicativa: La democrazia è governo del popolo. Facilmente quando valutiamo i risultati ci associamo a Gino Bartali dicendo che è tutto da rifare. Perché l’uomo che è stato capace di manifestazioni della propria esistenza fondate sulla convivenza, evolvendo sé stesso per portare all’attuale massimo grado tanti suoi strumenti adatti a mettersi in relazione con i propri simili, fallisce nell’organizzazione della democrazia?
Il linguaggio fu una conquista di enorme importanza. I nostri progenitori ci regalarono così questa potenzialità: la capacità di evoluzione umana per conquistare consapevolezza del vivere. L’esperimento comunità umana inserita nell’ambiente del piccolo pianeta Terra, è reso complicato da come fino ad oggi, la nostra specie ha indirizzato la propria capacità di conoscenza. Perché l’individuo uomo che non ha cessato di essere un vivente che nasce, vive e muore e mentre vive acquisisce naturalmente man mano tutte le proprie capacità per cercare di sfuggire al pericolo incombente della morte, non ha ritenuto altrettanto importante studiare sé stesso per vivere bene il proprio futuro. Ogni uomo, non può non sentire le spinte violentissime a comportarsi in modo da conservarsi in vita e qualsiasi messaggio gli arrivi dall’ambiente che gli suggerisca di cambiare immediatamente atteggiamento per sopravvivere è irresistibile.
Cercando di capire come è avvenuta l’evoluzione della specie umana e della sua società, secondo me si riscontra che ogni individuo esplora l’ambiente in cui vive utilizzando le proprie capacità e ne trae vantaggio ampliando le proprie conoscenze e così indirizzando meglio il proprio comportamento a difendersi dagli eventi pericolosi. Ma l’ambiente è variegato nello spazio e nel tempo e questo comporta situazioni di esperienza e di apprendimento molto diverse da individuo a individuo. Il linguaggio ha ingigantito la potenzialità di conoscenza dell’individuo. È però sempre l’individuo a scegliere come specializzare le proprie conoscenze selezionando quelle che ritiene le più importanti per la propria esistenza. L’ esplorazione del futuro è una delle capacità più ambite dall’individuo. Per la stessa interviene il tempo a qualificare la previsione imponendo una classifica d’importanza agli avvenimenti che assegna a quelli più immediati un peso maggiore rispetto a quelli che succederanno più tardi. Naturalmente la classifica degli eventi tiene conto anche di altri fattori che investono la qualità dell’evento previsto e cioè il danno o il beneficio che ne conseguirà. L’altra capacità ambita è la conoscenza dell’ambiente, anche in questo caso l’ambiente che interessa l’individuo può crescere di dimensione, ma in questo caso la distanza che interessa non è più soltanto quella fisica ma quella che interessa l’individuo cioè come può succedere che un avvenimento lontano impatti sull’ambiente fisico vicino.
La spinta continua di ogni individuo a risolvere le situazioni contingenti cioè quelle che appaiono allo stesso più immediate e vicine opera una selezione sulle scelte collettive che non sempre sono quelle veramente più necessarie.
La comunità umana dovrebbe anche lei guardare alla propria sopravvivenza ed invece essendo comunità di uomini è sospinta tragicamente soltanto a risolvere le questioni contingenti e territoriali.
Le attività umane utilizzano consumandole le risorse disponibili nell’ambiente costituito dalla terra in cui viviamo. È proprio la nostra evoluzione che ci ha portato prossimi a non avere più le risorse necessarie per la sopravvivenza della intera comunità vivente sulla terra. Il meccanismo evolutivo si è rivelato incapace di estendere a tutta l’umanità la conoscenza di quanto prossimo l’evento catastrofico verso il quale stiamo precipitando. Da anni gli scienziati ne parlano prevedendo che se non si fosse agito diversamente la catastrofe sarebbe sopraggiunta ma ad ogni individuo giungeva sempre molto più potente il messaggio di agire per risolvere i propri problemi: “E che tocca forse a me risolvere i problemi del mondo?”
L’entusiasmo che mi trasmise Mimmo Lucano quando venne portato ad esempio positivo mi spinse a pensare e a scrivere; ora la delusione e l’indignazione non ci deve fare abbandonare la lotta.
Astronave terra: una fazione dei viaggiatori dimostra l’utilità di far coincidere l’economia con la solidarietà.
È un riconoscimento importante e prestigioso quello che la rivista americana «Fortune» ha attribuito a Mimmo Lucano. Il sindaco di Riace, infatti, è stato inserito al quarantesimo posto della classifica dei 50 leader più influenti del mondo per il suo impegno in favore degli immigrati e del loro inserimento sociale.
Dal 2009, da quando cioè Mimmo Lucano è sindaco di Riace, sono stati oltre seimila gli immigrati provenienti dalle regioni più povere del mondo che sono stati ospitati nel centro che prima era famoso nel mondo per il fatto che nel suo mare furono trovati i Bronzi che, dopo un attento restauro, sono esposti adesso nel Museo archeologico di Raggio. Oggi Riace ha acquistato notorietà anche grazie ai tanti immigrati che non solo vi hanno trovato ospitalità, ma che hanno avuto anche la possibilità di avviare attività artigianali ed imprenditoriali che si sono rivelate proficue, producendo, tra l’altro, un alto effetto positivo: la rivitalizzazione di un centro che altrimenti sarebbe stato destinato ad un degrado economico e sociale, oltre che un processo di spopolamento, pressoché inarrestabile. Lucano ha avuto il coraggio di scommettere sulla «risorsa immigrati».
Ed i fatti gli hanno dato ragione perché la sua battaglia, ed il riconoscimento attribuitogli da «Fortune» lo dimostra, si è rivelata vincente. La prima a sottolineare l’importanza di quanto riportato da «Fortune» è stata Laura Boldrini, legata a Lucano da un antico rapporto che risale ai tempi in cui la presidente della Camera era portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. «Soddisfazione – ha scritto su Twitter la presidente Boldrini – per Mimmo Lucano, Sindaco Riace, precursore accoglienza e inclusione». Ed a seguire è arrivato il commento di Agazio Loiero, che nel periodo in cui è stato presidente della Regione Calabria ha riservato una forte attenzione ai temi dell’immigrazione, commissionando, tra l’altro, al regista Wim Wenders il cortometraggio «Il volo», girato in gran parte proprio a Riace, che raccontava in modo particolarmente suggestivo proprio una storia di immigrazione.
«Il riconoscimento tributato dalla rivista Fortune a Mimmo Lucano, sindaco di Riace, annoverato, unico italiano, tra i 50 leader più potenti del mondo – ha sostenuto Loiero – è una notizia che dovrebbe inorgoglire i calabresi. Certo, quell’aggettivo potente, ai giorni nostri – ha aggiunto l’ex Governatore della Calabria – in genere fa riferimento ad un certo tipo di potere. In Calabria, invece, può significare altro: soprattutto la capacità di accogliere chi viene da lontano povero, malnutrito e soprattutto inatteso. In tale attitudine, che eredita dalle nostre antichissime radici, Mimmo Lucano è veramente potente». Infine, è arrivato il commento dello stesso Lucano. «È un riconoscimento – ha detto il sindaco di Riace – che per la sua importanza ed il suo prestigio mi incute addirittura un pò di disagio. Questo perché io non aspiro né a poltrone, né a carriere perché voglio essere uno del popolo e voglio aiutare le persone che hanno bisogno e nelle quali io stesso mi riconosco». «Mi auguro – ha detto ancora il sindaco Lucano – che questa gratificazione possa rappresentare una svolta positiva anche per Riace e per tutta la Calabria, dando la possibilità anche agli ultimi, che noi ci ostiniamo a voler rappresentare, di vedere riconosciute le loro istanze».
Saviano ha scritto: Lucano è grande economista.
Quello di dare ospitalità a più di seimila immigrati che non solo hanno ripopolato Riace, ma che non hanno utilizzato quel soggiorno come attesa per una destinazione altra, ma che a Riace sono rimasti e hanno avviato attività che li legheranno a quel territorio probabilmente per tutta la vita. Inutile dire che Mimmo Lucano è l’unico italiano presente nella classifica di “Fortune”. Non c’è il nostro presidente del Consiglio, che pure ritiene di aver proposto all’Europa un piano per risolvere la questione migranti; non imprenditori, né attivisti. Nessuno. E Lucano, nelle interviste fatte a commento della notizia, ha sottolineato come abbia lavorato solo per il bene della comunità che amministra. Del resto, a dimostrazione che il suo lavoro ha davvero una portata rivoluzionaria, il fatto che i nostri politici, sempre indietro su tutto, non lo abbiamo compreso: nessuna carica dello Stato ha speso nell’immediato una parola di riconoscimento nei riguardi di un sindaco che ha onorato il suo mandato, facendo politica nel senso più nobile del termine e senza inseguire consenso, senza parlare alla pancia dei suoi concittadini, ma facendo una proposta coraggiosa.
Mimmo Lucano ha capito una cosa fondamentale: è solo accogliendo i migranti che molti paesi del sud Italia, ormai spopolati, potranno sopravvivere. Non è buonismo, ma una teoria economica valida e ormai realizzata.
Osservo e deduco quanto segue.
Le buone idee si possono concretizzare in qualcosa di reale solo quando sono supportate da vero potere. Nel 2009 naufragò un barcone di immigrati a Riace e incontrò il nuovo sindaco. Il gruppo di sopravvissuti aveva messo in campo tutta la forza della propria disperazione che non si vende ma può esaltare la caratteristica umana di empatia in chi la conosce già come propria e la rivede nel prossimo come fosse la sua. Non compassione caritatevole quindi, ma riconoscersi pienamente nell’altro e così mettersi in comune in modo solidale per migliorare insieme la propria condizione. Il sindaco ha saputo esprimere quello che dovrebbe fare la vera politica. Ha riconosciuto nei naufraghi persone che con il proprio stato di disperazione rendevano molto più comprensibile lo stato di difficoltà di tanti suoi concittadini ed ha riorganizzato la comunità in senso solidale, riconoscendo cioè a tutti, naufraghi o residenti la capacità di partecipare aiutandosi vicendevolmente. Questo tipo di economia del tutto equivalente alla organizzazione solidale della comunità sociale, non avrebbe bisogno per conquistare il benessere sociale di usare gli espedienti dell’economia ora vigente, obbligata a cercare di porre rimedio alle proprie manchevolezze con istituti che intervengono sempre dopo che il danno si è consumato. Attualmente la società umana e la sua economia che ne è strumento fondamentale inseguono con grande impegno la formulazione di regole di comportamento che intervengano a dettare agli individui il giusto modo di agire quando si incontrano in reciproche relazioni. Gli accurati studi dei legislatori partono dal considerare ogni uomo come detentore di diritti così che quando ciascuno incontra un altro uomo i loro comportamenti dovrebbero soddisfare reciprocamente i diritti propri e degli altri. Ma questo giusto modo non può essere che soggettivo e perciò, paradossalmente quanto più valore si dà al giusto modo tanto più si allontana il risultato di far corrispondere alle regole il comportamento da queste prospettato. La casistica delle persone che entrano in relazione e dei contesti in cui avviene l’incontro è così numerosa da rendere impossibile la formulazione di regole accettate in ogni situazione da tutti. Avviene così che più regole si scrivono più si avvantaggia il più potente da qualsiasi cosa derivi la sua potenza e se si scrivono meno regole, quelle tenute in considerazione procureranno la vittoria ancora degli stessi. Proviamo a fare il confronto fra i rendimenti che possono conseguire quando si seguono i due differenti criteri:
1) nel primo caso inseguire ogni situazione contingente tenendo presenti i diritti di ogni individuo interessato o i gruppi delle persone interessate.
2) Fare scaturire il comportamento dalla regola principe della solidarietà che investe ogni singolo individuo della responsabilità di partecipare per quelle che sono le proprie capacità.
La società civile nell’intento di rendersi vivibile utilizzando il primo criterio si è adoperata per sanare le innumerevoli situazioni di controversia che dallo stesso conseguono. I diritti dell’uomo, per come sono stati introdotti assumono però il significato soggettivo, che ciascun uomo deve essere capace di far valere. Succede chiaramente che ogni uomo ha una sua propria capacità diversa di far valere i propri diritti e perciò la società ha dovuto istituire organizzazioni elefantiache con un enorme numero di addetti per gestire al meglio la giustizia, inoltre altre istituzioni che devono sanare gli scompensi punendo i trasgressori delle regole e provvedendo con istituzioni addette alla solidarietà caritatevole per chi non riesce a integrarsi nel sistema. Ma gli sforzi non riescono a produrre una società vivibile per tutti.
Prima di pensare ad un progetto per rendere realizzabile il secondo criterio, che mi rendo conto essere non facile, cerco di rispondere alla domanda di quali sarebbero le implicazioni conseguenti alla sua applicazione. Una società che fosse già organizzata per adempiere al secondo criterio avrebbe un sistema di giustizia mirato a sanare le situazioni di non osservanza del principio di “economia equivalente a solidarietà”. La conseguenza è che l’obiettivo delle sentenze deve mirare ad ottenere sempre soluzioni complessive con il minimo di strascichi. Il concetto è che avendo espresso le regole di comportamento individuali nel senso di adempimento al principio di solidarietà, i diritti individuali vengano in ogni caso soddisfatti proprio nel rispetto di quel principio e così garantiscano ad ogni cittadino di essere sostenuto dal potere che deriva dal sostegno materiale e morale della comunità.
Per spiegarmi meglio, un esempio: chi ruba ad un altro o lo sfrutta in qualsiasi altro modo, trasgredisce al principio di solidarietà perché la sua prepotenza procura il disagio dell’insicurezza a tutta la comunità. Gli organi di giustizia dovranno spingere la comunità a eliminare il disagio integrando meglio tutte le persone interessate. La regola deve essere che l’eventuale restituzione del mal tolto o il pagamento per lo sfruttamento subito siano sempre imposti per fare rientrare la comunità nelle giuste pratiche di comportamento della economia equivalente a solidarietà. Anche chi ha subito venga spinto dall’esperienza a trarre insegnamento per l’economia solidale; quanto meno il danno induce nel momento della sentenza disagio materiale alla persona che ha subito, tanto più parte di quella somma venga destinata ad una organizzazione educativa preposta a indurre nella cittadinanza la coscienza del comune bene agire.
Per capire se il secondo criterio può favorire l’evoluzione verso una società più vivibile mi pongo il problema di come insorgono oggi e come potrebbero insorgere nel nuovo sistema gli appelli alla giustizia.
Oggi, nella gran parte dei casi viene chiesta giustizia perché chi ha subito il danno, spera di ottenere il risarcimento dello stesso. Avviene che il sistema vigente impostato sulle regole che difendono i diritti delle parti è molto funzionale a incentivare il numero delle richieste ma inefficace sia per operare giustizia, sia a far diminuire le trasgressioni. Chi fa esperienza di giustizia non ricevuta, diventa propenso ad alzare muri che impediscano agli altri di entrare nel proprio territorio ma in questo modo si isola dalla società; dall’altra parte chi si è abituato a vivere trasgredendo affinerà le proprie tecniche per superare quel muro. Non mi sembra che la società progredisca.
Mentre è abbastanza convincente affermare che il secondo criterio sarebbe economicamente più vantaggioso del primo, non è dimostrato che sia praticabile nel senso di essere accettabile dalla gran parte dei cittadini della comunità e capace di evolversi rafforzandosi attraverso il comportamento degli stessi.
La prima difficoltà dipende dall’immediatezza della comprensione che ciascuno ha dei propri diritti mentre può risultare complicato farli dipendere dal diritto superiore della comunità. Nel primo caso una persona protesta e vuole essere risarcito perché qualcuno lo ha danneggiato, nel secondo caso protesta perché qualcuno non si è attenuto alle regole della comunità e chiede che venga posto riparo al disagio procurato. Per fare in modo che il cittadino richieda giustizia anche nel secondo caso è necessario fargli capire che quanto si vuole ottenere nel secondo caso è fare in modo che l’episodio sgradito non si ripeta. La pratica dell’economia equivalente alle attività eseguite in modo solidale dovrebbe fare diminuire tante situazioni di contesa, tuttavia credo che il cambiamento della cultura dovrà passare anche dalla riscrittura di regole ora pienamente determinate dai diritti dell’uomo che devono trovare ancora più motivazioni e perfezionarsi mediante il principio ineludibile della solidarietà.
Giustissima l’analisi della situazione. Però manca l’aspirazione a far diventare il popolo sovrano. Io credo che la Costituzione sia molto avanti nella formulazione dei diritti ma che sia invece, malgrado tutti gli accorgimenti pensati per bilanciare i poteri assegnandoli a istituzioni dello Stato diversificate nelle responsabilità e nei compiti, insufficiente nella costruzione della struttura dello Stato. La dimostrazione della manchevolezza sta proprio nella incapacità dello Stato di fare assomigliare la società che governa ad una comunità in cui si abbia almeno l’aspirazione a vivere secondo i diritti sanciti dalla costituzione. La struttura dello Stato formalizzata dalla costituzione si concretizza nell’affidarsi ad una élite che ha assunto le caratteristiche di casta pressoché impenetrabile, costituita dall’insieme di persone a cui è demandato il compito e la responsabilità di gestire la vita nella società. L’impenetrabilità non consiste tanto nel rendere impossibile l’inserimento di nuovi individui quanto nella forse inconsapevole difesa della casta di impedire l’introduzione di pratiche pragmatiche che si propongano contemporaneamente due obbiettivi la crescita economica e la crescita della capacità dei cittadini di vivere secondo i principi costituzionali. L’élite al potere ha una visione della vita nella società falsata proprio dall’appartenenza alla casta che la fa vivere con modalità completamente diverse dall’altra popolazione. Si sono costituite nel tempo, quasi come evoluzione naturale due società che vivono separatamente, comportandosi perciò in modo diverso anche se formalmente devono rispettare le stesse leggi. Entrambe devono però sottostare ad una legge conseguente all’introduzione del denaro che è la legge del mercato competitivo.
Credo necessario avere il coraggio guardare la costituzione con spirito critico costruttivo perché se la stessa non è riuscita a creare una società che non dico si attenga a suoi sani principi ma nemmeno aspiri a fare degli stessi la guida delle sue regole di comportamento, il risultato deludente non può che significare che le istituzioni dello Sato hanno la capacità di trasformare quei principi che la grande maggioranza dei cittadini accetta, in regole di comportamento legalizzate assolutamente in contraddizione con gli stessi. Per esprimere la mia opinione, suffragata dalla astensione in crescita continua, avviene che il solo strumento del voto è oramai considerato dalla maggioranza dei cittadini un espediente dei politici per acquisire il diritto di appartenenza alla casta dei governanti con tutti i privilegi che nel tempo sono riusciti ad assegnarsi. L’impegno dei difensori dei principi costituzionali deve perciò essere di fare rientrare fra le Istituzioni dello Stato il cittadino come fattore vero di contrappeso rispetto agli altri organi dello Stato. Le parole della costituzione devono veramente godere del supporto del cittadino. Oltre al Presidente della repubblica, ai Parlamenti, alla Corte Costituzionale, al Potere Giudiziario e al Potere Esecutivo manca una istituzione dello Stato che controbilanci tutti questi poteri che è il Potere del Cittadino. Quando escludiamo questo potere, non fornendogli buona capacità, indipendenza e strumenti appropriati è sotto gli occhi di tutti come gli altri poteri si riuniscano in alleanza di élite che ha una visione difettosa della realtà sociale.
Per fare diventare il cittadino una istituzione reale forse può essere una idea organizzare strutture relative a piccole comunità a misura d’uomo:
1) Circoscrizioni territoriali raggruppanti famiglie
2) Comunità lavorative funzionali a problematiche di territori circoscritti
3) Oppure anche occasionali come per il fenomeno del pendolarismo
4) Ospedali
5) Scuole
6) E ogni cittadino ne pensi e promuova altre.
Piccole comunità mirate cioè alle situazioni reali di vita, nelle quali sia più facile per il singolo contare e che possano fornendo supporto dal basso dare veramente a ciascuno maggiore possibilità di contare, cioè di esprimere con qualche risultato le proprie idee.
Ci ha spiegato molto bene Yanis Varoufakis che l’economia della società quando il potere economico è diviso da quello politico riesce a renderlo strumento al proprio servizio e facilmente stravolge qualsiasi democrazia. La sua soluzione è perciò di eliminare la logica delle attività fondate sull’imprenditore padrone del capitale d’impresa e lavoratori pagati dallo stesso e sostituirlo con il criterio che ogni lavoratore partecipi agli utili dell’attività. Avremmo dovuto già seguire l’esempio dei lavoratori delle imprese fallite che le hanno trasformate in cooperative, rendendola una pratica politica di trasformazione sociale.
La disubbidienza civile deve trovare la propria difesa nella Alta Corte della Coscienza Umana e poiché facciamo parte della Società Umana, diventa necessario che la Società Umana si attrezzi con questa Istituzione proprio per difendere i diritti dei suoi cittadini.
La questione TAV è simile alla questione del si o del no per quanto avviene con i vaccini. Una parte della popolazione che ritiene di poter salvaguardare per proprio conto la propria salute non vuole rischiare l’intrusione di un vaccino che salvaguarderebbe il resto della popolazione. Nel caso chi potrebbe ricavare guadagni economici di per se stesso vorrebbe imporre l’esecuzione di un progetto che procurerebbe evidente danno ad altra parte della popolazione. Nel caso dei vaccini la questione della vita è molto più immediatamente evidenziabile e perciò la minoranza che sarebbero penalizzati se la maggioranza non si vaccinasse ha buon gioco, anche perché il cataclisma di una epidemia è qualcosa che è ben presente nella memoria collettiva. La maggioranza delle persone invece si trova nell’incapacità, malgrado l’esempio delle guerre a collegare le attività umane a catastrofi e potrebbero sconfiggere la minoranza, perché sono nella condizione di chi vive in montagna che sono i soli a rendersi pienamente conto che i ghiacciai si stanno sciogliendo.
Esponenti autorevoli che parlano i TV senza contraddittorio.
Parlo di Augias e Gratteri. Forse per far credere che il contraddittorio ci fosse hanno parlato anche di cose che riguardano il risorgimento italiano, sostenendo tesi diverse. A questo proposito Gratteri ha sostenuto la tesi che l’invasione del Regno di Napoli avvenne tanto facilmente perché i sostenitori dell’unità d’Italia si erano alleati con i mafiosi e questa situazione ha procurato che lo Stato italiano ha conservato l’ambiguità di comportamento che continua fino ad oggi. Per quanto ha detto invece nei riguardi della possibilità di non osservare la legge che portasse palesemente e rilevante danno ad esseri umani, Gratteri ha sostenuto la tesi in palese contraddizione che la legge deve essere promulgata dallo Stato deve essere osservata in ogni caso. Due sono le possibilità di un tale atteggiamento o non sa quel che dice o in considerazione del proprio ruolo non poteva parlare diversamente. In ogni caso, secondo me rivela di seguire criteri assolutamente non produttivi del bene che dice di perseguire. Il primo perché mentre afferma che il comportamento dei governanti è terribilmente condizionato da chi vive in modo contrario alla buona società civile al punto che le stesse leggi promulgate ne risentono in modo estremamente negativo, dice di osservarne la legge in ogni caso. Il secondo perché se è costretto a dire cose su cui non è d’accordo avrebbe fatto molto meglio a non parlare in pubblico. Epikeia dicono i filosofi che significa fare bene in ogni caso, anche disobbedendo alla legge che procurerebbe grave danno.
Uno slogan “IL LAVORO DEGNO RENDE L’UOMO DEGNO” Questo slogan secondo me può diventare un programma politico trascinatore di consenso. Chi ha l’aspirazione di sconfiggere il partito delle nefandezze, di coloro che propongono cioè l’uso della violenza per difendere strenuamente il proprio modus di sopravvivenza, e genera la società malata di sperequazione che procura rancore e sudditanza psicologica, deve cogliere l’occasione della distribuzione del reddito di cittadinanza. Il partito del vero rinnovamento deve essere capace di progettare una attività politica su tutto il territorio nazionale che esprima però soluzioni mirate alle necessità dei territori. Questo perché il Partito della violenza che è diffuso su tutto il territorio nazionale, può essere contrastato solo intervenendo su tutto il territorio nazionale. La conferenza di Recalcati “La fuga dalla Libertà” è esplicativa della dinamica sociale che spinge moltitudini di persone ad affidarsi ad un padrone rendendosene completamente asservito, cioè esautorandosi volontariamente dalla possibilità di fare scelte personali specialmente quando le decisioni investono la società nel suo insieme. Infatti, ogni individuo umano vive in un ambiente, la società umana, sostanzialmente espresso da circuiti di relazioni. Gli stessi individui vivono il proprio modus vivendi, ciascuno adattandosi ad un circuito di relazioni che gli permette la propria sopravvivenza, naturalmente più o meno soddisfacente a secondo della propria capacità di saper vivere utilizzando le relazioni. Prendere la decisione di cambiare la modalità di vita sia passando ad un diverso circuito di relazioni sia rimanendo in quello che si sta usando ma modificando i propri comportamenti con l’intento di cambiare le proprie condizioni di vita, significa assumersi un rischio e di conseguenza gli individui si comportano in modo diverso in ragione della fiducia che la situazione ambientale ed il convincimento delle proprie potenzialità gli prospettano. Dobbiamo, secondo me assumere il reddito di cittadinanza come un cambiamento che inciderà improvvisamente su un grande numero di persone. Chi godrà del reddito di cittadinanza si ritrova improvvisamente ad affacciarsi sulla società da un punto di vista diverso, nel senso che almeno nel periodo iniziale viene liberato dall’assillo di doversi procacciare i beni essenziali alla sopravvivenza. Queste persone sono una potenzialità politica. Un partito che vuole emergere dal nulla, per indirizzare questa potenzialità deve rivolgersi agli alleati più preparati che secondo me sono, le associazioni no profit, quelle di volontariato e le cooperative non contaminate da speculazioni. Sono queste organizzazioni che hanno l’esperienza di esistere in questa società i più adatti a dare indicazioni sulle modalità da seguire ed evitare il più possibile gli intralci burocratici. Tanti esperti che hanno già fatto bene possono tranquillamente mettersi alla guida di questa di rivoluzione economica. L’obiettivo molto generale del risanamento degli ambienti umanizzati e naturali è l’altra opportunità a disposizione. La classe economica egemone non concorre su questa opportunità perché la ritiene poco produttiva per la sua concezione di economia tutta dedicata al profitto dei prodotti vendibili. Il criterio mi sembra molto vicino a quanto fece il sindaco di Riace Mimmo Lucano, progettare e creare attività per le persone disponibili sui territori a misura umana ma estendere questa pratica su tutto il territorio nazionale.
SIAMO TRA IL COMMA 22 E LA SINDROME DI PROCUSTE
La furbata è coinvolgere tutti per deresponsabilizzare tutti. Quali strumenti è molto comodo utilizzare? Per ora vedo due strumenti pensati per sviluppare meglio la società umana che subiscono l’abuso degli uomini e riescono a far passare per positivi i comportamenti più dannosi per la società. La nostra società è impostata sui principi sacri della democrazia e delle leggi. Sono principi che godono della massima autorevolezza e che proprio perciò usati con furbizia possono scavalcare la stessa coscienza dell’uomo. Questa volta non sono molto d’accordo con lo storico Canfora che si è fermato a dire che Grillo non sapeva di cosa parlasse. GRILLO “SIAMO TRA IL COMMA 22 E LA SINDROME DI PROCUSTE” Non si può leggere nella stessa la violenza di chi ci governa che togliendo ai cittadini la coscienza individuale li ridimensiona ad un pensiero unico? Il Brigante si dilettava a portare i corpi dei malcapitati alla stessa lunghezza amputando o stirando le loro membra questi con uguale malvagità trasformano gli uomini in robot.
Egr. sig. Barbieri sono d’accordo. È il momento buono per un nuovo partito. Però, quello che Lei propone mi sembra essere manchevole nel senso di non dare l’importanza che meritano alle logiche con cui tre partiti nel recente passato si sono costituiti come inarrestabili trascinatori di opinione pubblica. Secondo me la loro logica trascinatrice è consistita nel formulare promesse di essere capaci saper dirigere il governo della società senza modificarla per quanto attiene ai suoi principi fondamentali verso gli appetiti naturali della popolazione. Se poi le promesse non sono soddisfacenti, importa poco anzi dà modo di poter vincere ancora con promesse molto simili alle precedenti.
È evidente per la risposta concreta dei fatti che il principio fondamentale della società umana è che comanda chi vince, chi sconfigge gli altri nella competizione. Si è creduto di essere riusciti a rendere le competizioni incruente facendo intervenire il denaro nelle contrattazioni. Ma il sistema del denaro non è stato impostato secondo criteri logici che tengano presente la sua finalità: rendere cioè possibile una modalità semplice e giusta per la distribuzione dei beni. Esiste inoltre, un altro principio che non riguarda il denaro direttamente ma si combina con lo stesso è quello della proprietà dei beni. Gli stessi nel modo attuale non vengono considerati in uso di chi in quel momento ne ha bisogno ma sempre di chi ne è entrato in qualsiasi modo in possesso. In questo modo il proprietario ha il diritto di abusare di quel bene. Questa impostazione illogica fa si che il padrone consideri i beni un materiale che si trasforma in denaro. Le incongruenze, quando si concretizzano in disagio sociale ci riportano indietro alle competizioni violente che sono purtroppo sotto i nostri occhi.
Questo preambolo per dire che un nuovo partito se si mette a parlare di diritti non catalizzerà l’interesse dell’opinione pubblica; continuiamo infatti, a vedere come la costituzione venga facilmente trasgredita approfittando addirittura della sua formulazione. Spesso bisogna difenderla osservando che ne stato tradito lo spirito. Gli avversari saranno ben contenti che la popolazione chiamata al voto possa essere distratta dalla questione fondamentale che riguarda secondo me il denaro, la sua distribuzione e i beni, la loro proprietà, il giusto modo di produrli e di distribuirli.
Gentile sig. Ambrosi,
quello che io auspico non è un nuovo partito figlio o fratello di quelli che intossicano la nostra politica da troppo tempo, e strappano il consenso vincente con le migliori recitazioni di labili promesse, cariche dell’impronta dell’appartenenza ad un gruppo sociale determinato, lanciate in un deserto politico di credibilità e affidabilità, che lascia l’elettorato alla mercè dell’ultimo pifferaio magico o dell’astensione.
Auspico un Partito per il Paese che riprenda l’orientamento al bene comune dei Costituenti, che pur appartenenti a spazi ideologici al tempo fortemente definiti, si ritrovarono insieme ad elaborare e poi a firmare la stessa Carta Costituzionale che conteneva nel suo articolato una Rivoluzione Promessa da tutti attesa e sperata.
Quegli uomini erano l’Elite del paese selezionata prima dall’antifascismo militante, gente che rischiava olio di ricino, galera e pure la vita, e poi dalla Guerra di Liberazione con rischi più gravi.
Oggi mancano le devastazioni materiali dei bombardamenti, ma la devastazione morale e culturale e più vasta e profonda. E soprattutto di più difficile ricostruzione.
A questa ricostruzione invito la residua miglior elite del paese, che non cerchi consenso su labili promesse ben recitate, ma offrendo a garanzia del progettato futuro, la propria storia personale di rigore morale e di cultura del bene collettivo, per una qualità di convivenza meno competitiva e concorrenziale, assolutamente migliore.
Per questo spendo inefficacemente il mio tempo al quale m’illudo così di dar un minimo valore.
Paolo Barbieri, socio circolo La Spezia
Nel momento che stiamo vivendo e cioè quando insorge perentoriamente, brutalmente la necessità del cambiamento e i comportamenti del passato sono pressoché senza eccezione inficiati da una sorta di maleficio, la direttiva espressa dai giovani acquisisce una potenzialità di preminenza che si compendia nella proposizione: “Voi fra cinquanta anni non ci sarete; noi si”;
Quanto tempo perduto a causa di una informazione volutamente distorta, costruita per indirizzare negativamente i bisogni egoistici e sfruttarli credendo di poter trasformare l’uomo rendendolo arbitro unico della natura? Quei poveri scemi avevano ragione: Quelli del club di Roma, Quelli di Boston che studiarono e predissero, lasciandoci: I limiti dello sviluppo e Verso un controllo globale. Le conoscenze composte da storia del passato (desertificazioni come per il Sahara dovuto alla introduzione dell’agricoltura) e sviluppi teorici approfonditi come l’entropia vennero frenati anzi denigrati come fossero espressioni introdotte per voler introdurre ostacoli, freni al futuro dell’umanità. Gli scienziati e i filosofi in qualche modo si potettero difendere rintanandosi nella loro cerchia, ancora peggiore fu la situazione di coloro che vennero in qualche modo a conoscenza di quelle prospettive e cercarono di divulgarle. Acquisirono di fatto tutte quelle negatività che hanno classificato certe persone come inadatte alla partecipazione alla società che si stava evolvendo. Gli andò bene quando furono considerati persone piene di fisime che in qualche modo era necessario tenere a freno lasciandole magari sfogare parlando ma, nel frattempo, invece di ascoltarle pensare ad altre cose più importanti.
E adesso? Il vecchio paradigma utilizza tutta la costruzione organizzata nella società per difendersi. Progettare il processo di cambiamento è spaventosamente difficile perché nel frattempo, mentre dobbiamo anche vivere, abbiamo la necessità di fare presto.
Studiare, studiare, studiare!! Dal passato andare a guardare i precursori e gli attuali per non partire da zero. Quelli che ho nominato in precedenza e poi io conosco From, Olivetti del recete passato e per gli attuali Rifkin per l’Entropia e per:
“”LA SOCIETA’ A COSTO MARGINALE ZERO, L’Internet delle cose,l’ascesa del <> collaborativo e l’eclissi del capitalismo.”
Ritengo Importanti ancora Vito Mancuso, Massimo Recalcati, Luca Mercalli, Piergiorgio Odifreddi per la sua logica, Yanis Varoufakis per la sua economia e chi sa di quanti altri non so o dai quali ho ricevuto buone indicazioni senza che mi rimanesse memoria e così il modo di fargliene merito. Molto interessante l’intervista a Yanis Varoufakis di Giannini che sono riuscito vedere in internet “a chiare lettere” video interviste.
43 (quarantatre!) prolissi commenti dello stesso lettore ad uno stesso articolo. Se fossi il moderatore del sito suggerirei al buon Giuseppe Ambrosi la lettura della prima delle sei lezioni americane di Calvino, la Leggerezza.
Grazie, egr. si ig. Claudio 43 (forse l’ho già letto o forse no, rinfrescherò). voglio difendermi da una etichettatura che mi viene affibbiata con qualche superficialità. Perciò prima di passare la mano ai giovani e chiudere una volta per tutte, trascrivo un mio vecchio commento.
Giuseppe Ambrosi
11 ottobre 2017 16:34
Mi sembra che se si vuole costruire in breve tempo una forza politica che dal niente acquisisca grande consenso, sia molto importante studiare come questi fenomeni sono avvenuti quando sono avvenuti e perché alcuni acquisiscono grandi dimensioni e durevolezza mentre altri rimangono inefficaci, incapaci di creare opinione di massa veramente influente per modificare la società attraverso un salto della qualità culturale della cittadinanza.
Alla base della propaganda politica di coloro che aspirano a diventare una forza politica esiste senza dubbio lo strumento della promessa. I risvolti relazionali che derivano da una promessa sono molto complessi. Un approccio considerato di primaria importanza consiste nell’esprimere un progetto che dia la risposta creduta opportuna dalla maggioranza dei cittadini che quasi sempre corrisponde ai loro interessi. Ma la promessa dichiarata si presenta come quel multiforme aspetto che presiede al modo di porsi umano dell’individuo nelle relazioni. Il promittente espone il suo programma in modo diverso a seconda dell’interlocutore, può fornire informazioni molto simili ma modificare per esempio la promessa nei riguardi dei tempi d’inizio dell’esecuzione oppure dei tempi finali della realizzazione in modo da ricevere il consenso di parti che vogliono cose completamente diverse. Una divergenza di opinione che oggi appare fondamentale sta nel fatto di promettere a chi ha acquisito diritti reali (o privilegi) che li conserverà e a chi aspira ad averli che gli verranno concessi. Si sono rivelati vincenti in passato programmi politici nei quali rimane individuata una problematica aggregante che si rivolge contemporaneamente ai due bacini d’interesse prima considerati, cioè sia a quelli che vogliono conservare il proprio status che a chi aspira a migliorarlo. La parola d’ordine molto efficace rivolta alle popolazioni dei territori in condizioni generali migliori è: pensiamo a noi stessi e staremo meglio tutti. Si convincono facilmente anche coloro che là vivono peggio, dandone la colpa a chi vive altrove e preme per usufruire della ricchezza del loro territorio. Un’altra modalità recentemente molto vincente si riassume nello slogan: uno vale uno. È rimasta una promessa senza un vero programma di attuazione, ma la sua presa sull’opinione pubblica non perde vigore e molto probabilmente ciò consegue dal fatto che sono gli unici a dirlo e possono coprire con lo stesso tutte le proprie manchevolezze: “chi non è d’accordo su un particolare forse crede di valere più di noi che continuiamo a credere alla promessa?”.
Nella società attuale c’è una minoranza di cittadini che contano con continuità nel tempo ed altri ai quali si fa ritenere di contare eleggendo i propri rappresentanti nel momento delle votazioni e su questo formalismo ambiguo si gioca la competizione politica. I cittadini che contano con continuità nel tempo sono tutti quelli che godono di un potere che gli permette di potersi confrontare in modo privilegiato con gli altri, il loro potere fa da supporto alle loro relazioni e gli permette di modificare a proprio vantaggio i comportamenti degli altri: siano singoli cittadini o gruppi concorrenti o istituzioni dello stato o società contrapposte. Come si può dare agli altri cittadini un potere simile? I partiti nuovi si affermano come vincenti se non seguono l’andazzo dei precedenti misurandosi sulla marea degli interessi particolari per i quali chi detiene già un potere si trova in una situazione di chiaro vantaggio, ma propongono qualcosa quasi sempre di più generale che investe la grande parte dei cittadini ai quali si rivolge. La promessa riguarda sempre il concetto fondamentale di metterli in condizione di avere un potere di contare con continuità nel tempo. A tale riguardo riscontro che le difficoltà in cui si trovano gli stati democratici fondati sulla rappresentanza degli eletti conseguono dal fatto che al popolo viene attribuito il titolo solo formale di essere sovrano ma questo titolo che si esplica solo nel momento delle votazioni non può conseguire nessuna funzione reale perché la vita reale della società viene gestita attraverso i soggetti costituiti per quanto potere si sono conquistato. La logica dei contrappesi (e menomale che fu pensata) si rivela insufficiente perché ciascun contrappeso finisce per rappresentare interessi di parte. Il vero contrappeso che dovrebbe essere dato dall’insieme di tutti i cittadini è escluso completamente dal gioco e non esplicando la propria funzione rimane completamente diseducato a partecipare con l’obiettivo di costruire la buona società, può reagire o affidandosi ciecamente ad una parte politica o disinteressandosi completamente se ritiene che siano tutti inaffidabili oppure adoperando la violenza per acquisire il potere che gli viene negato.
Credo che in questo discorso ci sia almeno un minimo di verità e allora non basta averlo detto, bisogna trovare il modo di sciogliere il nodo, istituire regole che diano a ciascun cittadino almeno lo stesso potere sul piano politico.
Caro Ambrosi,
“voglio difendermi da una etichettatura che mi viene affibbiata con qualche superficialità” – penso mi dovrà dare atto che i numeri non sono smentibili.
Mi dispiace invece la Sua conclusione (“prima di passare la mano ai giovani e chiudere una volta per tutte…”), perché non era mia intenzione chiederLe di cessare una apprezzabile collaborazione.
Con viva cordialità.
L’impressione che ricevo guardando la questione dall’esterno è che sia l’ennesima dimostrazione della confusione attuale dell’economia. Chi aspira a stipulare un contratto con un’amministrazione pubblica deve valutare diversi fattori: la complessità del lavoro di cui deve farsi carico, la giusta valutazione dell’importo con il quale sarà retribuito e addirittura preminente rispetto ai precedenti il rischio del pagamento ritardato o addirittura non percepito. D’altra parte, l’ente committente, eventualmente consapevole di essere un cattivo pagatore, viene sospinto a un comportamento ambiguo, ad essere cioè poco attento al controllo della qualità in corso d’opera salvo eventualmente a cercare tutti i cavilli alla fine per ritardare o addirittura tagliare i pagamenti. Non è una bella prospettiva del modo di lavorare.
Ma l’espediente che è sicuramente il tentativo di mettere una pezza solo alla questione contabile non mi chiaro. Chi è il responsabile della trasformazione finale dei mini-bot in denaro? Lo Stato? Chi li emette? l’ente pubblico? Mi sembra che ci sia un unico caso in cui l’espediente non equivalga a stampare moneta e cioè quando il possessore del mini-bot lo usasse per pagare una tassa che gli impone lo stesso ente che glielo ha dato in precedenza.
La vera soluzione è sicuramente che le amministrazioni pubbliche siano obbligate ad attenersi ai principi del controllo di qualità.
Egregio sig. mi sembra che il suo sforzo di prendere in considerazione tutto finisca per fare tralasciare l’essenziale. Comunque perché ha tralasciato di considerare la Comune di Parigi? Mi sembra che non sia da confrontare con gli episodi, che pure ci saranno stati di nazisti che abbiano qualcosa di buono. I nazisti che si comportarono in quel modo ne hanno tradito sicuramente lo spirito malefico che l pervade. Al contrario i dittatori comunisti hanno tradito i principi ai quali si era ispirato Marx. Il suo commento mi è in ogni caso piaciuto.
Quando un individuo rimane disgraziatamente coinvolto in evento, come un incidente stradale o di lavoro che lo riduce fra la vita è la morte, la modalità frequente di intervento medico è di sottoporlo a coma farmacologico. Si ritiene cioè che tutta l’energia vitale residua debba essere destinata al mantenimento in vita e che sia l’organismo stesso, fatto regredire a quello primitivo nascente della logica embrionale del primo sviluppo alla nascita ad operare le scelte opportune per rinascere. Io credo che come società umana stiamo vivendo qualcosa di molto simile e che gli interventi che i politici continuano a proporci, purtroppo siano forieri di vana speranza. L’atteggiamento costruttivo deve metterci di fronte a scelte diverse che tenga presente la realtà della situazione. L’umanità si salva solo se si rende conto per esempio che la nostra speculazione che ha trasformato la carne viva degli animali in grande produzione di cibo vendibile, cioè trasformabile in denaro ci ha offerto comodità a prezzo di dissolvimento dell’equilibrio della vita. Di queste comodità, di cui quello espresso è solo un esempio fra tanti dobbiamo chiaramente privarci senza sollevare obiezioni. Se siamo ancora in grado di sopravvivere dobbiamo sfruttare al massimo centellinandola l’inerzia di cui gode il nostro processo vitale, ma cominciare a trasformare il processo stesso. Ad esempio inizialmente abbiamo dovuto procacciarci le mascherine per evitare il contagio dall’estero ma ora abbiamo cominciato a produrcele da noi. Tutte le misure devono tendere all’utilizzo di quanto esiste ma ance in ogni caso alla sostituzione del necessario con produzione in loco. Non possiamo sconvolgere il sistema della distribuzione dei beni che avviene mediante il denaro, ma possiamo operare nel senso di fare fluire il denaro dove manca in modo automatizzato, approfittando delle grandi capacità tecnologiche di cui siamo in possesso. Ne parlo da anni e non ricevo risposta, Ho molta paura di parlare al vento che ci porta a sbattere. Salute!