Lettera aperta alle italiane e agli italiani all’estero

21 Nov 2016

Care italiane e cari italiani che vivete all’estero,

noi -a differenza dal Presidente del Consiglio- non abbiamo la possibilità di raggiungervi singolarmente al vostro domicilio. Ci rivolgiamo perciò a voi con questa lettera aperta per offrirvi degli elementi di riflessione che vi consentano di esercitare in modo consapevole la scelta che, come tutti gl’Italiani, sarete chiamati a compiere il prossimo 4 dicembre.

La revisione costituzionale sottoposta a referendum è stata approvata da una maggioranza che è tale solo grazie ad una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale a causa dell’ esagerato premio di maggioranza concesso alla coalizione che aveva ottenuto più voti delle altre. Non si è quindi cercato quell’ampio consenso che sta alla base della Costituzione del 1948, e che dovrebbe  circondare le regole del gioco.

La recente elezione del Presidente degli USA dimostra come una legge elettorale che alteri il criterio rappresentativo possa deformare la volontà popolare fino a far vincere chi ha ottenuto meno voti popolari, e perdere chi ne ha ottenuti di più.

Le regole con cui si vota sono perciò importanti: e la nuova legge elettorale (non oggetto del referendum, ma presupposta dalla riforma costituzionale) che questo Parlamento ha approvato per sostituire quella dichiarata incostituzionale nel 2014, attribuisce anch’essa un premio di maggioranza esagerato (340 seggi alla Camera dei deputati, su 630) al partito che abbia ottenuto solo il 40% dei voti oppure (se ne ha ottenuti di meno) sia apparso come il meno peggio nel successivo ballottaggio.

Forte di questa maggioranza apparente, chi “vincerà” in questo modo le elezioni potrà fare il bello e il cattivo tempo, dato che il Senato, nel quale voi italiane ed italiani all’estero non avrete più alcuna rappresentanza, nella maggior parte dei casi potrà al massimo esercitare un’azione di ritardo e di disturbo: la Camera avrà infatti quasi sempre l’ultima parola sulle leggi, salvo che in un pugno di materie (talvolta anche importanti, come la revisione costituzionale e l’attuazione dei trattati e delle politiche europee) in cui l’approvazione del Senato sarà decisiva: e non si capisce perché, dato che i nuovi senatori saranno non eletti, ma semplicemente cooptati dalla classe politica riunita nei Consigli regionali.

Così come non si spiega perché dar vita ad un Senato delle autonomie (che esiste per lo più negli Stati federali) nel momento in cui la stessa revisione costituzionale non conferma la scelta a favore del federalismo fatta nel 2001, ma anzi riduce le autonomie delle Regioni a vantaggio dello Stato centrale.

Altri potevano essere gli strumenti per correggere e rendere più efficiente il bicameralismo (che esiste in tutti i maggiori paesi

democratici del mondo, come ben sapete): ad esempio riservare l’ intervento obbligatorio del Senato nel procedimento legislativo alle materie più importanti e delicate, che incidono sui diritti dei cittadini e sull’organizzazione dello Stato, lasciandogli sulle altre un semplice potere di richiamo; aumentarne i poteri di controllo e d’ inchiesta (sull’esempio del Senato USA) che invece vengono ridotti; rendere più autorevoli i senatori aumentando la durata del loro mandato e rendendoli al tempo stesso non rieleggibili. Tutte proposte (avanzate da commissioni parlamentari e da autorevoli studiosi) che il Governo non ha voluto prendere in considerazione.

E’ comunque falso che l’instabilità politica dipenda dalle regole, ed in particolare dal bicameralismo paritario: essa dipende invece dalla scarsa coesione delle coalizioni politiche e degli stessi partiti al loro interno. Ingessando le regole non si risolvono i conflitti, espressione di una società complessa, che possono manifestarsi anche all’interno di un partito maggioritario.

Quanto al problema dei “costi della politica”, i risparmi derivanti dalla riforma costituzionale sono irrisori. La Ragioneria Generale dello Stato li ha ufficialmente quantificati in circa 59 milioni di Euro, su una spesa statale complessiva di quasi 500 miliardi. E anche qui si sarebbe potuto fare di più e meglio, riducendo (anche dimezzando) il numero dei deputati  (630) del tutto pletorico rispetto ad altri parlamenti, e insieme riducendo gli stipendi di tutti i parlamentari (una proposta in tal senso dell’opposizione è stata recentemente bloccata in Parlamento dalla maggioranza, che ne ha ottenuto il rinvio in commissione).

In compenso la riforma rischia di compromettere anche l’imparzialità delle istituzioni di garanzia (Presidente della Repubblica e Corte costituzionale): per eleggere il primo, dal settimo scrutinio sarà sufficiente una maggioranza (di tre quinti) calcolata sui votanti e non più sui componenti: assenze “strategiche” e concordate (e manifeste, contro la regola del voto segreto) spianeranno così la strada al candidato del Governo. E dei cinque giudici costituzionali (su 15) nominati dal Parlamento, ben due saranno scelti da questo nuovo Senato espressione della “casta” regionale; ed il premio di maggioranza alla Camera (che sceglierà gli altri tre) agevolerà l’elezione dei candidati graditi al partito “vincitore”.

Nel complesso, questa riforma si rivela espressione della volontà di quei poteri forti, come ad esempio la banca d’affari JP Morgan, che da tempo auspicano una modifica delle costituzioni antifasciste dell’ Europa meridionale, invocando un accentramento dei poteri in capo al Governo ed una riduzione degli spazi democratici  e dei diritti dei lavoratori.

In tutto il mondo, però, il predominio di tali poteri è fortemente messo in discussione dai cittadini, anche manifestando scelte elettorali talvolta sconcertanti. Per evitare pericolose derive, occorre rafforzare e non indebolire la democrazia.

Dite No a questa riforma.

(*) L’autore, ex magistrato, è socio del Circolo di Firenze di Libertà e Giustizia

 

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