Esercitiamo la sovranitá popolare

19 Ott 2016

Le vicende politiche attuali ci offrono una visione del Paese in gravi difficoltà.

Da parte di molti attori della politica si recita lo stesso copione: le responsabilità sono dell’Europa, dell’euro, dell’opposizione: le responsabilità sono sempre e comunque di altri.

E si tratta di grandi attori, bisogna riconoscerlo.

Oggi recitano per un partito ed il giorno dopo cambiano schieramento e sostengono di averlo fatto per essere coerenti con se stessi e con i propri elettori.

Sempre più di moda sono i commissariamenti e sempre più carente il controllo sulla selezione della classe politica, controllo quasi per scelta delegato alla giurisdizione perché la magistratura, per altro facile bersaglio da parte di tutti, non può prevenire i fatti illeciti, può solo sanzionarli. Il che significa che il risultato elettorale viene comunque conseguito prima d’essere conclamato come frutto di illecite condotte.

Aumentano di numero i politici e gli amministratori coinvolti in gravi scandali per la scalata al potere o per la conservazione dello stesso.

Il salvataggio di banche, condotto -si dice- per salvaguardare piccoli risparmiatori e ‘lavoro’, di fatto si accompagna a spropositati guadagni da parte dei dirigenti, mai responsabili per i dissesti.

Una politica fatta di annunci ci fa sentire già realizzata la riforma del lavoro, prossima quella del settore penale, imminente l’ennesima sulle pensioni; ma a ben guardare per la prima i dati sono contrastanti, per la seconda si è fin qui passati da un rinvio all’altro a causa di condizionamenti per ragioni di governabilità e per la terza si può anche prevedere una riedizione del contributo di solidarietà, senza effettivi vantaggi definitivi per i meno fortunati.

Non riusciamo ad essere incisivi per cambiare le politiche europee e sempre di più si incide sui diritti sociali, erosi dalla corruzione dilagante e dalla mancanza di adeguate azioni di contrasto.

Amministrare comuni dissestati da politiche fiscali nazionali è sempre più difficile. Spesso le accuse di inefficienza e incompetenza nei confronti degli amministratori vengono mosse da esponenti politici coinvolti in passato in amministrazioni fallimentari, non poche volte inquinate da pratiche riconducibili al mondo della corruzione.

Da ultimo una riforma costituzionale promossa senza una reale interlocuzione con la società civile ha dato luogo ad una campagna referendaria che sembra sorda ad ogni richiamo alla ragionevolezza ed al confronto costruttivo.

Il presidente Renzi ha prima dichiarato che si sarebbe dimesso nell’ipotesi di vittoria del No, poi ha affermato che non lo farà, poi ancora ha indicato nel presidente Napolitano il padre della riforma. Sono tutte affermazioni difficili da capire per chi, ragionevolmente, pensa che una riforma non debba essere divisiva.

Sul sistema elettorale, che tutti vorrebbero cambiare, anche dopo averlo condiviso, si assiste a prese di posizioni sempre mutevoli e di ardua comprensione. Capiremo prima o poi se si tratta di esercitazioni verbali, di ricerca di compromesso per sostenere il Sì al referendum o di interessate iniziative per evitare vittorie di movimenti non graditi.

Personalmente voterò No. Le ragioni sono collegate alla mancanza di contrappesi rispetto a un potere crescente dell’esecutivo, alla creazione di un bicameralismo ancora più appesantito rispetto a quello che si vuole abolire, e per quel poco che vale alla mancanza dei benefici economici, tanto sbandierati ma in realtà insistenti e forse richiamati per allontanare l’attenzione da altri sprechi di denaro pubblico.

Le ragioni del Sì, che ho cercato di comprendere, mi sembrano tutte collegate non ad una certezza di funzionamento del sistema, ma a ‘scommesse’ sul suo funzionamento.

 Mi trovo però in una strana situazione: la vittoria del Sì mi preoccupa, ma la vittoria del No non mi lascia tranquillo per il futuro, se non cambiano le politiche di tutti i giorni. E’ sempre più profondo il solco tra la classe politico-governante e la società civile, governata e inascoltata. Sono preoccupato perché sempre di meno vi sono spazi per esercitare la sovranità popolare.

Ai governati resta poco e quel poco che viene distribuito, allontana sempre di più i giovani dall’Italia, impoverendo inevitabilmente anche gli anziani.

Gran parte di questa classe politica, che anche quando si definisce innovatrice pensa solo all’autoconservazione, non ha capacità di rigenerarsi secondo principi etici vissuti e condivisi.

Quale che sia il risultato del referendum, è giunto forse il momento di rifondarsi come cittadini.

I cattolici, i socialisti, i liberali, gli azionisti, tutti saranno utili e necessari per riappropriarsi della Carta costituzionale. Dovrà essere uno sforzo comune e coinvolgere la società civile, anche dopo il 4 dicembre.

Le professionalità espresse da gran parte di questa classe politica non appaiono più in grado di gestire il Paese e di saper stare in Europa.

E’ necessario che il cittadino torni ad essere un protagonista della vita politica, anche dopo la campagna referendaria. E’ necessario trasferire professionalità ampiamente presenti nel tessuto sociale nella politica di tutti i giorni.

Si impone insomma un ricambio della classe politica e dell’attuale modo di fare politica, ‘rottamando’ non tanto gli uomini, ma la corruzione, la carenza di capacità, la dipendenza dai potentati economici. Ciascuno sarà libero di essere protagonista nei partiti esistenti, di partecipare ai movimenti se preferisce o di contribuire a formarne di nuovi, magari costituendo da subito dei comitati d’azione, collegati ai territori e vicini ai cittadini.

Perché libertà e giustizia tornino ad essere pratiche quotidiane, occorre recuperarne i valori con il coinvolgimento dei cittadini nei territori, contribuendo così alla formazione di politiche eticamente condivisibili e rispettose della sovranità popolare.

(*) Morici, già magistrato, è socio di LeG di Messina.

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