Referendum: Comitato No, Parlamento eletto con ‘Porcellum’ non poteva intervenire su Carta

11 Ott 2016

Si è svolta il 10 ottobre alla Camera dei Deputati la conferenza del Comitato per il No, con il presidente, professor Alessandro Pace, il vicepresidente Alfiero Grandi, Massimo Villone, presidente del Comitato contro l’Italicum, Antonello Falomi e Vincenzo Vita.

È stata l’occasione per illustrare le prossime iniziative organizzative e politiche per la seconda fase della campagna referendaria, quella che ci porterà direttamente al voto: dai materiali di propaganda al logo unitario, all’appello per una nuova sottoscrizione, dopo il successo della prima che, come ha illustrato Grandi, ha portato nelle casse del Comitato ben 180mila euro, grazie al sostegno di 1200 donatori, ai quali in questi giorni viene inviata una copia anastatica della Costituzione del 1948. Soldi tuttavia insufficienti per arrivare fino al 4 dicembre e per questo è pronto un nuovo appello ai cittadini per raccogliere i fondi necessari ad affrontare l’ultima parte della campagna, quando si chiuderanno gli spazi per la propaganda del Comitato, ma si apriranno quelli unitari con le forze politiche che hanno fin qui aderito al Comitato (si punta ad un testo comune, oltre al logo unitario) e quelli dei canali social, dove il No viaggia vincente e ai quali saranno dedicate molte energie. Nel frattempo, il prossimo weekend a Roma si svolgerà la Festa della Costituzione, tre giorni di dibattiti, eventi, incontri e musica.

A quanti parteciperanno alla nuova sottoscrizione verrà inviato un “certificato di sana e robusta Costituzione”, ha spiegato Antonello Falomi, il quale non ha mancato di sottolineare che le risorse a disposizione del fronte del sì, ben tre milioni di euro, derivano per poco meno del novanta per cento da fondi pubblici, direttamente o indirettamente. Cui si aggiunge la presenza inaudita del presidente del consiglio nelle trasmissioni del servizio pubblico radiotelevisivo che, attraverso il canone, è pagato appunto da tutti i cittadini. In violazione palese, ha aggiunto Vincenzo Vita, delle norme già in vigore e per le quali «Renzi non sarebbe potuto andare da Giletti. Si tratta di un’invasione barbarica del sistema radiotelevisivo pubblico, ma anche privato, visto che anche le emittenti private utilizzano un bene pubblico. Aspettiamo sempre che Cardani batta un colpo». Quanto allo spot “istituzionale” andato in onda in questi giorni «ci auguriamo che venga ritirato ad horas».

Ma l’incontro è stato anche l’occasione per ribadire le critiche ad una riforma sbagliata nel merito e nel metodo. Una riforma «eversiva», come ha spiegato il professor Pace, perché varata da un Parlamento illegittimo eletto con una legge elettorale giudicata incostituzionale. “È vero che la Consulta, in virtù del principio della continuità degli organi costituzionali, ha ribadito che gli atti di questo Parlamento erano da considerarsi legittimi, ma solo fino alla fine della legislatura che avrebbe dovuto essere sciolta al più presto, cioè in tre mesi”

Invece “la legislatura è proseguita e, incredibile, questo parlamento, drogato dal premio di maggioranza, ha persino messo in moto l’azzardo di un procedimento di revisione costituzionale che riguarda ben 47 articoli”. Per non dire, ha poi aggiunto Pace, che la riforma costituzionale viola due tra quelli che la stessa Corte Costituzionale ha giudicato i principi supremi della Carta, quelli indicati dagli articoli 1 e 3. Per questo, «se rimane il Senato, deve essere elettivo -ha aggiunto Villone- Altrimenti si può optare per il monocameralismo con legge elettorale proporzionale (cosa che spesso i sostenitori del Sì si dimenticano di dire, quando tirano in ballo il dibattito a sinistra su questo tema)».

Oltre alle ragioni di carattere giuridico e costituzionale, ci sono quelle politiche, illustrate da Massimo Villone: la riforma si prefigge l’obiettivo, ancorché non dichiarato, di ridurre la rappresentatività e dunque indebolire il parlamento, cosa che permette di evitare il confronto sociale e approvare leggi impopolari e sgradite alla maggioranza dei cittadini. «È un’esperienza già  vissuta, basta pensare a Buona scuola e trivelle. In questo senso la riforma Renzi-Boschi consolida una tendenza già in atto, mentre per cambiare e rovesciare lo schema bisogna votare No. È soprattutto in caso di vittoria del No che si apre una stagione nuova di riflessione più serena su se e come cambiare la Costituzione, senza la pressione di dover soddisfare le ambizioni politiche di qualcuno».

Infine arriva anche un messaggio alla minoranza Pd: «Il fatto che una parte del Pd abbia detto esplicitamente No è una novità politica importante, che apre uno scenario nuovo -ha detto Grandi- Anche perché bocciare la riforma vuol dire affondare automaticamente anche l’Italicum».

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