Zagrebelsky, “Questo referendum non è una guerra: così perde il Paese”

14 Set 2016

Il presidente emerito della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, scandisce le parole nel microfono che tiene con mano ferma: “La cosa più sbagliata detta dall’ex presidente della Repubblica è stata il riferimento alla guerra. Scherzare sulla guerra, applicarla al referendum ci farà ritrovare tutti sconfitti, chiunque vinca”.

Lui il nome e il cognome non li fa, ma la platea capisce subito: sta parlando – perché intenda – a un altro “emerito” e senza alcun riguardo. L’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, sabato scorso su la Repubblica, in un’ intervista al direttore Mario Calabresi, ha ribadito per l’ ennesima volta il suo sì pignolo alla riforma Boschi. Aggiungendo qualcosa di più, però: probabilmente ciò che ha urtato Zagrebelsky: “Ci sono dei politici e degli studiosi la cui smemoratezza ha fatto loro dimenticare l’iter di riflessioni e i vani tentativi che, nel passato, avevano cercato di mutare la seconda parte della Costituzione”.

Non ci sta il professore, e sceglie la platea della Festa dell’Unità di Torino. Il confronto previsto, uno dei tanti che Zagrebelsky sta affrontando negli incontri estivi del popolo del Pd, è con un altro dei big della storia politica e istituzionale del Pci e poi delle sue evoluzioni sino al Partito Democratico: Luciano Violante, ex presidente della Camera. Il padiglione centrale della festa è gremito, trecento persone sedute e altrettante in piedi, tutti i vertici del partito, due ex sindaci (Diego Novelli, che voterà No, e Valentino Castellani, che voterà Si), giuristi e intellettuali della Torino di sinistra venuti per ascoltare e decidere.

Ma prima ancora del voto, della riforma e del referendum, questa sera è proprio l’uscita di Napolitano a monopolizzare la discussione.

La prima domanda è diretta: “Nelle prime righe della sua intervista, Napolitano parla di scarso senso di responsabilità. A quale parte dello scontro sul referendum voleva rivolgersi, secondo voi, e che cosa ne pensate”.
Tocca a Zagrebelsky rispondere per primo. Chiede di alzarsi in piedi, pantaloni bianchi e Lacoste blu, più informale di Violante che è senza cravatta ma indossa la grisaglia estiva. Il professore prova a spiegare perché il clima di “guerra” sia ingiustificato. “Renzi ha delle responsabilità. Persino rifiutandosi di dare una data certa. Di recente, ha detto che può fare una valutazione “a naso”. Ragionamenti da rabdomante, non da premier. E poi è stato lui a creare questo clima, portando il voto sulla sua persona e sul governo”.

Scatta un timido applauso, poi dalla piccola folla in piedi una voce femminile attacca l’ex presidente della Consulta: “Professore, la smetta. Ci parli di contenuti”. Brusio, sconcerto nelle prime file dove siedono dirigenti e parlamentari. Poi ci pensa Zagrebelsky a riprendere in pugno la situazione: “Questa è casa mia, vengo a queste feste da 30 anni. Smetterò di essere del Pd quando sarà solo un partito di maleducati come la signora che mi ha interrotto”.

Un lungo applauso approva le sue parole e accompagna la discussione verso l’intervento di Luciano Violante. L’ ex presidente della Camera cerca subito di sdrammatizzare con una battuta: “Non guido nessun comitato per il Sì. Al massimo vorrei far parte del comitato degli antirenziani per il Sì”.

Poi va avanti: lui di Napolitano non parla, ma i “contenuti” che cita sono gli stessi dell’ex presidente della Repubblica,  snellimento dell’ iter legislativo e le richieste che ci vengono dall’Europa. Chiude, da buon “antirenziano del Sì” con l’attacco sull’Italicum: “Ora il presidente del Consiglio si dice disponibile a cambiare la legge elettorale. Speriamo vada avanti”.

Infine, una previsione da “rabdomante” sulla data del referendum: “Dopo che almeno una delle due Camere abbia votato la manovra economica. Nel caso vincesse il No e ci fosse una crisi politica, si eviterebbe probabilmente i rischi che molti paventano”. L’applausometro della festa offre quasi sempre un pareggio, con qualche picco in più per le battute del presidente emerito della Corte Costituzionale.

Il Fatto Quotidiano, 12 Settembre 2016

 

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