La rimonta estiva dei “professoroni” del No: I girotondi? Ce ne sarebbe bisogno

24 Ago 2016

Si riparte dai 400 Comitati, 150mila euro, 2 creativi e “la nostra competenza”

Il No al referendum ha molte facce. In tv, per dire, ci vanno quasi sempre quelle dei politici. Per i lettori del Fatto, però, e nell’immaginario di Renzi e dei suoi ascari, il vero Comitato per il No è quello dei “professoroni” e cioè, detto educatamente, quello costituito nell’autunno scorso dal meglio del costituzionalismo italiano: presidente è Alessandro Pace, presidente emerito Gustavo Zagrebelsky. I professori, però, non sono un partito, non hanno macchina organizzativa, né tv. Il loro esordio, non a caso, è stata una sconfitta: non sono riusciti a raccogliere le 500mila firme per costituirsi in Comitato referendario.
Al di là dei mezzi, il problema è che al governo c’ è un partito soi-disant di sinistra e questo manda in confusione quei pezzi di elettorato e corpi intermedi che erano stati i loro interlocutori negli anni passati.
“Non solo non siamo un partito, ma non abbiamo un grande effetto trascinamento sul personale politico e sindacale”, dice Alfiero Grandi, ex deputato, ex sottosegretario, uomo-macchina del No: “Alla fine la differenza tra la nostra raccolta firme e quella del Pd l’ ha fatta il potere di chiedere aiuto a organizzazioni esterne”. Il riferimento è alla decisiva mano data a Renzi da Coldiretti e, pare, Cisl. Conclusione: “Non c’ è aria di girotondi, ma ce ne sarebbe bisogno”.
Lo smacco delle firme complica l’estate dei professori del No e dei 400 Comitati locali (in aumento) gemmati da quello nazionale: “I nostri Comitati però – ci tiene a dire Grandi – non sono da 5-10 persone come quelli lanciati da Renzi. Vogliamo che in ogni Comitato tutte le anime siano rappresentate e che si lavori insieme: per questo abbiamo coordinamenti provinciali. È un elemento di differenziazione organizzativa che è la nostra croce e la nostra delizia: è una delizia vedere tante energie che prima non c’ erano; è una croce fargli prendere il ritmo delle decisioni necessarie”.
Volantini, appuntamenti pubblici, porta a porta, rapporti coi media: è quando non c’ è che si capisce a cosa serve un partito. Anche i soldi che non arriveranno (un euro di rimborso l’una per chi supera le 500mila firme), certo sono un problema: “Ci facevano comodo, ma nel male c’ è anche il bene. Abbiamo raccolto centinaia di migliaia di firme: un risultato importante per un’organizzazione che non esisteva. Tenteremo di conquistarci ogni spazio possibile, ma – visto quel che è successo in Rai – sappiamo che il dominio dei cieli è loro. Noi possiamo ancora parlare con le persone”.
In realtà per gli spazi tv è possibile che ci si accordi coi Comitati per il No formati dai parlamentari d’ opposizione che hanno firmato per chiedere il referendum: “Faremo una riunione a fine agosto con loro per capire come veicolare i nostri messaggi attraverso i loro canali. Parlo del diritto di affiggere manifesti, volantinare, andare in tv negli spazi riservati al No. Chiediamo ospitalità”. Nei fatti una sorta di cessione degli spazi: “Abbiamo una forza che è data dalla competenza”, dice Grandi. Un modo gentile per dire che Zagrebelsky, Pace, Carlassare, Rodotà etc ce li hanno loro.
Pure con la destra? Sarebbe bizzarro vedere i professori che guidarono “il ceto medio riflessivo” contro Berlusconi ottenere gli spazi tv da Forza Italia o Lega: “No, la destra si fa i suoi comitati, noi ci rivolgiamo a un’ area di centrosinistra liberale. Mettere tutto assieme non reggerebbe due minuti: loro hanno fatto trattative con Renzi, avevano un Patto con lui, noi siamo sempre stati contro le riforme e sarebbe difficile spiegare a chi sta con noi questo tipo di commistione. Le strade convergono, ma il viaggio non si fa assieme”.
Ora si riparte dai 150mila euro raccolti con la sottoscrizione lanciata il 14 luglio, dai 400 e dispari Comitati locali e “da due creativi, molto giovani, che ci stanno dando una mano con slogan e campagna.
Speriamo bene”. La possibilità di vincere c’ è: “Nonostante la disparità di forze in campo la partita è contendibile. E comunque la qualità di questa esperienza politica è importante per il futuro in ogni caso”.
 Il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2016

 

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