LA DEMOCRAZIA NEL TEMPO DEL DENARO

23 Ago 2016

Ha ancora un senso chiedersi dove sta andando la democrazia in una società globalizzata nel nome del dio denaro, succube delle sue logiche e pervasa dalle tante paure che genera?

Forse varrebbe la pena, prima che sia davvero troppo tardi, riuscire a provare a fermarsi un momento, uscire dalle logiche puramente economiciste e di potere che regolano ormai la vita degli stati, dei popoli e dei singoli individui, introdurre elementi “umanizzanti” e…. vedere di nascosto l’effetto che fa.

Di queste cose avrei voglia di sentir parlare almeno qualche volta i nostri politici, vorrei capire come ogni uomo possa essere ancora protagonista delle scelte, delle strategie, delle dinamiche del suo paese, della sua nazione, della sua vita assieme a quella degli altri.

La politica sembra però non solo incapace di parole nuove, ma essa stessa portatrice sana di questa malattia: ne ha ormai sposato la causa, se ne è fatta paladina, suo strumento di controllo e di realizzazione.

Così assistiamo, dai grandi processi mondiali giù giù fino a quelli nazionali e locali, ad un vuoto articolarsi di parole di libertà che coprono solo l’individualismo (ognuno faccia ciò che gli pare basta che non si impicci), di democrazia che nascondono il vero volto del potere, di partecipazione che è solo delega, di rappresentanza e di ascolto che mascherano solo la pura ricerca di consenso.

In questa logica si colloca purtroppo anche il dibattito sulla nostra riforma costituzionale.

Ascolto sempre con attenzione le motivazioni del sì sperando, prima o poi, di poter cogliere quell’orizzonte ideale, ben più ampio degli slogan con cui si fa propaganda (governabilità, riduzione dei costi della politica, celerità delle decisioni), che dovrebbe essere di chi pone mano ad una Costituzione.

Mi auguro che gli italiani, che a larga maggioranza hanno respinto nel 2006 il tentativo di modifica di simile ispirazione del governo Berlusconi -Fini e Casini, vogliano documentarsi adeguatamente e riflettere sui meccanismi che sono posti in gioco e sulle conseguenze che ne derivano nell’immediato e, in prospettiva, nel futuro.

Non viene intaccato solo l’aspetto puramente funzionale delle istituzioni e della democrazia, ma anche l’effettiva attuazione dei diritti e delle libertà sanciti nella 1° parte: solo nella sua scrittura non viene toccata, ma di fatto i cambiamenti introdotti nella 2° parte potranno avere pesanti conseguenze sui valori della democrazia e del lavoro contenuti a partire dall’art. 1 così come avvenuto con l’introduzione dell’art. 81 sul pareggio di bilancio (unico stato ad avere in Costituzione una simile norma!).

Questa riforma (de-forma) costituzionale, a partire dal modo farraginoso e spesso incomprensibile con cui è scritta, è un pasticcio istituzionale e giuridico che non affronta e tantomeno risolve i mali della politica italiana che non stanno affatto nella Costituzione, ma in una classe politica incapace, inadeguata e spesso anche eticamente corrotta che ha badato non al bene comune, ma all’occupazione dei posti strategici dell’economia, della politica e della cultura (poca!).

Con questa riforma Costituzionale (unita alla legge elettorale Italicum che assegna la maggioranza assoluta della Camera al partito – e al suo Capo- che avrà avuto un voto in più degli altri, senza che sia necessario raggiungere una soglia minima di consensi) si porta a compimento questo disegno egemonico eliminando o riducendo il pluralismo istituzionale, gli organi di controllo e di garanzia a vantaggio degli organi esecutivi in cui si coagula il potere.

Il governo attuale si vanta spesso di aver finalmente prodotto tante leggi epocali che il Paese attendeva da anni e anni (come era per quelle berlusconiane): con quale Costituzione è stato possibile fare tutto ciò?   Quindi non è la Costituzione il problema, ma la capacità e volontà politica.

Se i partiti non avessero usato le istituzioni come cosa propria sottomettendola ai propri giochi (spesso squallidi) e non volessero oggi rafforzare questo stesso loro abnorme potere non ci sarebbe stato bisogno di tanto sconquasso e sarebbero bastate puntuali e ben più precise modifiche.

Superamento del bicameralismo perfetto con ruoli differenziati di Camera e Senato, dimezzamento della loro attuale consistenza numerica (che combinato con la riduzione dei compensi si sarebbe risparmiato almeno il doppio), modifiche del titolo quinto relativo al rapporto Stato/Regioni, abolizione del Cnel di cui nessuno sentiva il bisogno, revisione delle Regioni a statuto speciale che (tranne l’Alto Adige regolato da un accordo con l’Austria) non hanno più un senso e qualche altro aggiustamento sarebbero stati sufficienti ad aggiornare una carta che “era” la più bella del mondo.

Invece si è voluto altro perché altro è lo scopo politico che ci si prefigge: a qualcuno potrà ovviamente andare bene così, ma credo che nessuno possa negare che di fatto si modifica l’assetto istituzionale che passa da una repubblica parlamentare ad una per giunta non dichiarata repubblica presidenziale: non esiste al mondo una democrazia che, con un ballottaggio, un partito si porta a casa tutto quanto, potere esecutivo e legislativo, organi istituzionali e di controllo.

In democrazia la legge elettorale non deve farci sapere la sera del voto chi governa, ma come i cittadini si sono espressi e sono rappresentati e la Costituzione non deve essere il supporto della maggioranza del momento, ma deve rappresentare per tutti la carta di garanzia del processo democratico.

Torneremo nei prossimi mesi ad illustrare anche nel dettaglio i punti più critici e problematici di questa riforma costituzionale a dimostrazione dell’impatto che si avrà sulla vita di noi cittadini e dell’operazione politica che vi sottende, chiedendo a ciascuno di noi lo sforzo di studiare e riflettere (democrazia è anche conoscenza), senza cadere nella abbastanza penosa operazione della personalizzazione del referendum (pro o contro Renzi) o della “catastrofe” del paese come Confindustria, Coldiretti ed altri vanno preconizzando nei loro documenti di previsione economica.

Il voto dovrà essere informato, consapevole e nel merito: questa è la democrazia.

 

(*) Coordinatore del circolo di LegG Mantova.

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