Riforme/Rodotà, Renzi spersonalizza? Smetta di falsificare

16 Lug 2016

Roma. Professor Rodotà, Renzi sembra essersi emendato sulla ’personalizzazione’ del referendum e aver cambiato verso sulla legge elettorale: dopo aver imposto la fiducia, ora dice che il parlamento è libero di decidere. Ci crede? O è solo tattica, una finta per rilanciarsi?

In questi giorni Renzi sembra in difficoltà. Dire ’sulla legge elettorale si vada in parlamento’, visti i trascorsi, è significativo del modo in cui intende muoversi. Siamo alla contraddizione quotidiana. Ma alla fine è il sintomo di una regressione culturale, e lo dico anche se di cultura fin qui se n’è vista poca da parte sua e del suo ceto politico. Le riforme hanno chiari elementi di conservazione: non ’aprono’, non vanno nella direzione del cambiamento democratico. E la cultura di quel ceto politico è inadeguata alle domande che vengono dalla società, dallo stesso ceto politico e persino dai conflitti dentro il Pd.

Le domande della società sono quelle avanzate dal ricambio emerso alle comunali?

Il ceto politico inadeguato che si è presentato alle elezioni non poteva ottenere consenso da parte dei cittadini che si erano allontanati dalla linea del Pd. La risposta politica è stata marcata. Senza enfatizzare, basta guardare come si è distribuito il voto fra il centro e le periferie. Renzi l’innovatore ha fallito sul terreno in cui si dichiarava forte, l’incontro con la società.

Per Renzi il referendum può diventare un boomerang, come lo è stato per Cameron quello sul Brexit? E però nel voto di Londra non ci sono molti elementi progressivi.

Il parallelo con la mossa di Cameron sta nella furberia di usare un referendum per chiudere i conti nel proprio partito. Intendiamoci, in politica non è una novità. Quando in Francia ci fu il referendum sul Trattato costituzionale, io da estensore della Carta dei diritti fondamentali partecipai alla campagna per il Sì. Ma una serie di parlamentari socialisti con cui avevo lavorato molto mi spiegarono che votavano no: «Perché Fabius gioca una sua partita nel Ps». In questi anni si è venuto manifestando, non solo in Italia, un uso delle istituzioni legato sempre più a regolare conti interni. Il voto su Brexit ne è un esempio. Ma è sbagliato e pericoloso. Renzi non si preoccupa della divisione che promuove nella società. Invece la massima preoccupazione dei Costituenti fu che nella Carta si riconoscesse il maggior numero di soggetti politici e di cittadini, tant’è che quando De Gasperi escluse socialisti e comunisti dal governo non ci fu nessuna reazione aggressiva, si andò avanti lo stesso. Qui stiamo all’opposto, a conferma l’inadeguatezza del ceto politico. Hanno un problema con i 5 stelle, hanno bisogno di Alfano per sopravvivere, allora cambiano la legge elettorale. Gestiscono i conflitti politici con l’uso congiunturale delle istituzioni. Tutto è appiattito sul giorno per giorno.

Renzi è divisivo e felice di esserlo?

Del resto lui da subito ha puntato sulla divisione. Cos’altro è la rottamazione se non un’esclusione? Chi non accetta la mia linea lo escludo. Con parole aggressive e una continua falsificazione della realtà. Potrei parlare dell’informazione falsificata sulle proposte di Zagrebelsky, Onida, Azzariti e mie. Ma hanno persino falsificato la posizione di Pietro Ingrao della «centralità del parlamento».

Oggi invece Renzi e Boschi dicono: «discutiamo di merito», «spersonalizziamo».

Spersonalizzare non può, non può più se non abbandona le falsificazioni. E allora: non c’è alcuna semplificazione del procedimento legislativo. I risparmi sbandierati sono una strizzata d’occhio alla peggiore antipolitica, e comunque potevano esser fatti in maniera più efficace. Non sappiamo ancora come verranno selezionati i senatori. E ancora: dire che se non si vota sì non ci sarà più la possibilità di riformare la costituzione è un altro argomento falso. Quando si dà la voce ai cittadini, i cittadini debbono avere piena libertà di manifestare la loro opinione.

Il centro studi di Confindustria calcola che la vittoria del no farebbe perdere al paese 4 punti di Pil e 600mila posti di lavoro. Anche il Fondo monetario prevede sfaceli.

La drammatizzazione è un altro modo di non entrare nel merito. Avverto che chi dice così non è in grado di analizzare la società italiana. Come chi dice che con il no l’Italia non avrebbe più un governo. In caso di dimissioni di Renzi c’è un passaggio costituzionale obbligato: il presidente Mattarella dovrebbe accertare se c’è un’altra maggioranza.

Intanto Renzi cerca di portare dalla sua qualche forza politica promettendo il premio di maggioranza alla coalizione, nell’Italicum.

È un tentativo un po’ ingenuo all’indirizzo di chi cerca un alibi per votare sì.

Anche perché quello che viene contestato all’Italicum davanti alla Consulta è il premio di maggioranza, non a chi viene attribuito.

Sull’Italicum non serve una modifica qualsiasi. I problemi aperti sono in primo luogo quelli legati alla sentenza sul Porcellum che riguarda la rappresentanza dei cittadini, l’Italicum tende a mantenerla bassa per il modo in cui è organizzata la scelta del capolista e di come sono selezionati i candidati. Ma siamo di nuovo all’uso congiunturale delle istituzioni. L’Italicum nasce quando la parola d’ordine di Renzi era un Pd al 40 per cento. Oggi che i dati sono cambiati, cambiano la legge: per costruire una coalizione che fronteggi il M5S e per tenere insieme il centrodestra.

I 5 stelle dunque hanno ragione a dire che è una mossa contro di loro?

Ma è evidente. Intendiamoci, nessuno scandalo: è chiaro che le leggi vengano fatte dalle maggioranze per vincere. Contro Le Pen Mitterrand introdusse un elemento di proporzionalità alla legge francese. Ma c’è una soglia di decenza che non dovrebbe essere superata.

Lei è favorevole allo ’spacchettamento’ del quesito?

Ho molte riserve. Sono stati messi in evidenza i problemi tecnici. E c’è il rischio che il legame fra la riforma costituzionale e la legge elettorale venga ricacciato sullo sfondo.

Ma dalla parte opposta, il fronte del no coglie la debolezza di Renzi? La mancata raccolta delle firme, anche sul quesito dell’Italicum parla di una scarsa mobilitazione oppure di una scarsa consapevolezza della posta in gioco?

Questo problema c’è. In questo momento è assolutamente indispensabile accentuare il lavoro sul versate del no. E mettere in evidenza i conflitti e le contraddizioni di cui abbiamo parlato.

C’è una coincidenza sfortunata, che forse coincidenza non è: proprio in questo momento la sinistra è debole, infiacchita dall’insuccesso delle amministrative, e nel pieno di uno stallo organizzativo.

Non c’è dubbio. Ma su questo non ho una risposta sbrigativa. Avevamo lanciato la Coalizione sociale sull’idea che non fosse sufficiente mettere insieme le forze già esistenti più o meno riferibili alla sinistra. Serviva un passo in una direzione più larga. Il tentativo non è andato bene. Dobbiamo discuterne perché, per esempio, contemporaneamente invece sono successe cose importanti: la Cgil ha raccolto le firme che annunciano una stagione referendaria importanti su grandi questioni.

Perché la Coalizione sociale di Maurizio Landini non è andata bene?

Ci rifletto da qualche tempo. Certo le forze politiche organizzate non sono state generose. Non avrebbero dovuto fare un passo indietro ma aprirsi a un altro modo di lavorare.

E come potevano i partiti non fare un passo indietro? Lei all’epoca li aveva definiti «zavorra».

Può darsi che l’espressione non fosse felice. Ma ero convinto che se non si parlava chiaro le forze politiche avrebbero portato in quella nuova esperienza i loro fallimenti passati. E non c’è bisogno di ricordarli, da Ingroia all’Arcobaleno. Ora, da spettatore, guardo all’iniziativa di Cosmopolitica. Ma aspetto di vederne il contenuto reale.

Nelle città invece un ricambio c’è stato. A Torino e Roma hanno vinto i 5 stelle, a Napoli De Magistris. Succederà che non sarà la sinistra ’storica’ a rilanciare un’idea concreta dei beni comuni?

Le città sono i luoghi della creazione dei beni comuni. Il rapporto fra i diritti fondamentali delle persone e i beni perché questi diritti vengano organizzati. Bisogna creare le istituzioni dell’eguaglianza, che sono i beni comuni, della redistribuzione delle risorse. E rilanciare la discussione sul reddito garantito, che è difficile ma non può essere liquidata dicendo che non ci sono i soldi.

Veramente Renzi ha chiuso il discorso sul tema sostenendo che il reddito di cittadinanza è incostituzionale.

Renzi ormai può dire qualsiasi cosa. C’è una lettura dell’articolo 1 della Costituzione che va in tutt’altra altra direzione. La sua è un’affermazione sbrigativa che non coglie né gli aspetti istituzionali né quelli sociali della questione. Torniamo al punto di partenza: Renzi e i suoi hanno una cultura del tutto inadeguata alle domande che vengono dalla società.

il manifesto, 14 luglio 2016

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