Urbinati e Pertici «Bicameralismo pasticciato è una virata presidenziale»

24 Giu 2016

Venezia. Un bicameralismo «pasticciato» che sceglie di tenere totalmente fuori i cittadini da uno dei due organi parlamentari (il Senato, non più ad elezione diretta ma espressione delle autonomie regionali) e che muta le gerarchie anteponendo l’ importanza dell’ Esecutivo al Parlamento in una forma «mascherata» (e neanche troppo) di virata presidenziale. Non vanno per il sottile nelle critiche i due giuristi sostenitori del «no» che si sono confrontati ieri nel dibattito cafoscarino in Auditorium Santa Margherita a Venezia. Sono Andrea Pertici, professore ordinario di diritto Costituzionale dell’ università di Pisa, e Nadia Urbinati, professoressa di teoria politica alla Columbia university.

Per entrambi il punto di partenza delle critiche è proprio la mancata rappresentanza. «Se guardiamo alla proposta di riforma ci troviamo subito di fronte ad un paradosso – dice Urbinati – in particolare al Senato. La nuova composizione non prevede rappresentanti diretti ma nominati dai consigli regionali. Quelle stesse persone però potranno intervenire su leggi fondamentali del Paese mentre allo stesso tempo il loro incidere nell’ operato dell’ Esecutivo diminuirà, visto che, ad esempio, non ne voteranno la fiducia.

 Ci dicano chiaramente che si vuole dare un potere straordinario al Governo, si parli di quello che è veramente questa riforma: un presidenzialismo nascosto». Per i sostenitori del «no» il nuovo ruolo del Senato porterebbe infatti ad una pericolosa assenza di contro-bilanciamento ai poteri della Camera nata per aprire un percorso governativo diverso che, per meglio farsi comprendere dalla platea, hanno definito «bicameralismo deformato» . «Il superamento del bicameralismo perfetto è un’ esigenza condivisibile e condivisa su più fronti da tempo – dice Pertici che ha contribuito con altri giuristi alla scrittura di un testo “alternativo” a quello del referendum – ma si è persa l’ opportunità anche questa volta di fare le cose nel modo giusto. Quello che è successo con la riforma del titolo quinto anni fa dimostra che non basta la volontà di cambiare le cose per farlo nel modo migliore». Dopo la riforma del 2001, ricordano i due giuristi, i ricorsi furono a centinaia seguiti da diverse sentenze della Corte costituzionale.

«La maggior parte dei ricorsi partivano non dalle zone grigie, ovvero da quelle di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regione, ma da quelle di competenza teoricamente definita – continua Urbinati – solo che per le istituzioni locali non c’ era chiarezza su chi dovesse occuparsi di alcuni temi. Troppi i dubbi». Ora la riforma vorrebbe muoversi in senso opposto, centralizzando molte competenze e lasciandone altre alle Regioni. «Si smettano i paragoni con altri Stati europei – aggiunge Urbinati – in Italia non c’ è un sistema federale come in Germania, le cose sono diverse e di conseguenza anche le esigenze».

«Non mi interessa molto la verticalizzazione del potere che in questo periodo sta tornando di moda – dice Pertici – mi preoccupa invece il crollo della partecipazione politica e dello spazio di partecipazione stesso dei cittadini. Le liste bloccate, i premi di maggioranza della nuova legge elettorale vanno in questa direzione.
Credo però che la politica non debba negare il suo stesso significato semantico. Anche perché è la nostra stessa Costituzione (quella in vigore) a sottolinearlo all’ articolo 3 dicendo che lo Stato deve creare le condizioni di eguaglianza sostanziale fra i cittadini e rimuovere gli ostacoli di natura economico sociale che di fatto impediscono la partecipazione dell’ individuo alla vita del paese».

Corriere del Veneto, 23 Giugno 2016

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