PARTIGIANI della COSTITUZIONE

20 Giu 2016

Settanta anni fa l’Italia andava al referendum istituzionale per scegliere tra Monarchia o Repubblica, ed eleggere l’Assemblea Costituente.

Si usciva dalla dittatura fascista che aveva trascinato il Paese nella guerra del terrorismo nazista.

La Resistenza era stata il riscatto da quella vergogna, e la svolta democratica arrivava in quel 2 giugno 1946, quando non più soggiogati nel “credere obbedire combattere”, gli italiani col loro voto facevano nascere la Repubblica e si impegnavano a costruirla nel patto sociale democratico.

Attraverso la Costituente, il Popolo sovrano si dava i principi e le regole attuative della Democrazia, che nella Costituzione ha la propria stella polare. Quella stella a cinque punte che è nello stemma della Repubblica italiana.

Il popolo sovrano l’aveva decretata con quel referendum del 1946, dove per la prima volta le donne non solo votavano, ma potevano anche essere elette in una consultazione nazionale: in ventuno entrarono nell’Assemblea Costituente.

Lo Stato democratico era realtà istituzionale, e la Carta repubblicana ne poneva i principi e le garanzie nel nesso inscindibile di prima e seconda parte della Costituzione, per concretizzare libertà, giustizia, uguaglianza: per ciascuno e per tutti.

In questa prospettiva, guardando al futuro della tenuta democratica, i costituenti si sono preoccupati di fissare con precisione ruoli e compiti dei poteri dello Stato, onde evitare derive autoritarie. Nella Repubblica parlamentare, nessun potere poteva essere fuori dal controllo democratico, perché al servizio della democrazia costituzionale.

E contro manomissioni costituzionali, nella rigorosa separazione dei poteri dello Stato, si istituivano pesi e contrappesi per l’equilibrio democratico e organismi di garanzia costituzionale. Primo tra tutti la Corte Costituzionale.

Quel 2 giugno 1946 iniziò questo percorso di democrazia.

E non vogliamo che venga interrotto da abusi su quanto stabilisce l’art. 138 della Costituzione, che prevede la revisione costituzionale, ma non certo la sua manomissione allargando a dismisura il potere del Governo a scapito della rappresentatività. Proprio quanto si prospetta con le attuali modifiche della Carta, profilando un inquietante cambiamento di fatto della stessa forma istituzionale dello Stato.

Quella che «non è oggetto di revisione» come con grande lungimiranza stabilisce l’art. 139.

Diversamente, infatti, non è più revisione costituzionale, ma colpo di Stato.

Questo pericolo fu già sventato dagli italiani nel 2006, bocciando al referendum la “riforma Berlusconi”.

Allora però il trasformismo del più grande partito di sinistra non era arrivato, a forza di metabolizzazioni in cambi di nome, finanche a perdersi l’anima della Costituzione repubblicana cambiandone ben 47 articoli.

Quando Napolitano era per il No

È interessante ricordare che, chi oggi sembra essere testimonial eccellente di queste modifiche, da Senatore della 14ª Legislatura, nella seduta n. 898 del 15/11/2005, dichiarava: «Quel che anch’io giudico inaccettabile è, invece, il voler dilatare in modo abnorme i poteri del Primo Ministro, secondo uno schema che non trova l’eguale in altri modelli costituzionali europei e, più in generale, lo sfuggire ad ogni vincolo di pesi e contrappesi, di equilibri istituzionali, di limiti e di regole da condividere».

E continuava: «il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente ad un’idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici».

È questione cogente ancora oggi quella che poneva allora saggiamente Giorgio Napolitano, perché non si arrivi alla notte della Repubblica parlamentare.

La Costituzione innanzitutto

Ecco allora che il popolo sovrano si deve riappropriare della sua piena sovranità, perché la Costituzione continui ad essere la stella polare sopra la testa di tutti e non ostaggio di una maggioranza di turno, che per altro cerca di blindarsi al potere con l’ultrapremiale legge elettorale, varata dopo che il porcellum è stato cassato dalla Corte costituzionale.

È il controverso Italicum, pure esso in odore di anticostituzionalità (Cfr: Libero Pensiero, n°75, marzo 2016).

Ci dicono che tutto questo servirebbe a “modernizzare” il Paese e a governarlo.

Ce lo siamo sentito dire già nell’era del decisionismo craxiano… poi ancora nel ventennio berlusconiano.

Ma se alla governabilità è sacrificata la democrazia non è difficile immaginare cosa ci aspetta.

Di regresso in regresso, di defezione in defezione costituzionale, torneremo al monarca assoluto?

 

Il testo è stato pubblicato su Libero Pensiero, n°76 – www.periodicoliberopensiero.it,  Giugno 2016

 

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