La bellezza di un’offerta

19 Giu 2016

Roberta De Monticelli Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Tomaso Montanari ha pubblicamente esposto le ragioni per le quali – “seppure a malincuore” – non ha accettato la proposta di Virginia Raggi di diventare (in caso di una sua vittoria al ballottaggio di domenica prossima) assessore alla Cultura di Roma (vedile qui: http://articolo9.blogautore.repubblica.it/2016/06/14/perche-ho-detto-no-a-virginia-raggi-e-perche-la-voterei/ ). Come ogni scelta libera  argomentata, anche questa esige rispetto, tanto più in quanto non è una rinuncia fatta a cuor leggero: “per me, che mi occupo della storia dell’arte di Roma e che sono profondamente convinto della centralità della cultura nella vita democratica, sarebbe stata una straordinaria sfida professionale”.

Questa riflessione vorrebbe tuttavia far eco all’altra metà dell’articolo che annuncia e motiva questa rinuncia: quella con cui il noto e brillante storico dell’arte, che è anche Vice-Presidente di Libertà e Giustizia, intende “sottolineare il valore politico della proposta di Virginia Raggi”. Credo che il valore di quella proposta non sia solo politico, ma molto di più: pre-politico, etico, simbolico. E perciò mi auguro che il M5S rilanci questa idea, riproponendo la stessa offerta a una personalità di paragonabile valore, altrettanto presente e impegnato nella battaglia contro lo scempio dei paesaggi storici e del patrimonio artistico italiano che il decreto Sblocca-Italia non fa che incoraggiare in modo inaudito. Un augurio che credo condiviso da tutti coloro cui stanno a cuore le sorti di questa battaglia.

La grandezza della svolta che questa proposta significherebbe sta in qualcosa di più fondamentale della politica: provo a spiegare i tre aggettivi che ho usato.  Non è solo questione dei monumenti di Roma. E’ la giustezza incontestabile della causa, che è impossibile valutare come “di parte”, e che quindi dovrebbe suscitare l’approvazione universale: perciò il suo è un valore “etico”. Ma questa causa ha inoltre una profondità tale da essere in un certo senso la causa di tutte le cause. I filosofi da sempre sottolineano il carattere paradigmatico della bellezza, che è il valore di cui riluce ogni cosa che sia in qualche senso buona. Così parliamo di una bella persona, di un bel gesto, perfino di una bella morte – e non ci riferiamo all’estetica. Per questo ho parlato di valore “simbolico”. Perché  la bellezza, nella sua irriducibilità a mezzo, o a “valore medio”, è  un valore per eccellenza, che proprio per questo li rappresenta tutti: giustizia, libertà, verità…

E perché  la crisi del pensiero politico, e in particolare di quello della sinistra, si radica nel massimo errore condiviso da tutta la cultura moderna: lo scetticismo in materia di valori, cioè  l ‘infondata certezza che i giudizi di valore non abbiano verità possibile, e quindi non siano soggetti a ricerca, esperienza, discussione e ragione. Non a caso una certa sinistra tradizionale (vedi G. Liguori, “Perché si può votare 5 Stelle”. “Il Manifesto”, 11/06/2016) si aggrappa all’elemento peggiore dei 5 Stelle: il populismo. Proprio quello che chi ama l’eguaglianza in funzione di tutte le fioriture individuali e non viceversa, dovrebbe aborrire.

Non a caso, all’opposto, dei 5 Stelle Montanari loda quella parte che difende il bene pubblico e sottolinea i doveri di cittadinanza, che non fa compromessi fra distruzione e occupazione (come il decreto Sblocca Italia), che distingue la politica dagli affari e ne esalta il carattere di puro servizio.

Non è  un caso, pensateci, che questa sinistra di radice hegeliana, cioè indifferente tanto ai destini individuali (“polvere sugli stivali della storia”) quanto al limite etico della politica (“astratto moralismo”) chiami coloro che in questi due aspetti le sono contrari “anime belle”.

E’ perché  ha perduto il senso paradigmatico della bellezza che la sinistra ha avuto vita breve – due secoli e troppo sangue e tragedie, e infine troppo ideologismo e più nessun pensiero. Ecco perché un assessorato alla cultura a Roma, offerto da un candidato sindaco 5 Stelle a un grande studioso oltre che a un uomo civilmente impegnato, significherebbe una svolta tale da indicare un possibile nuovo fondamento alle ragioni della sinistra – o dell’amore di giustizia. L’assessorato alla cultura a Roma è in certo modo  l’assessorato mondiale alla cultura: è sotto i riflettori del mondo. L’offerta sarebbe simbolicamente grandiosa, politicamente profonda, incontestabile nella sua positività, propositiva agli occhi del mondo intero. Libertà e giustizia hanno radice e futuro nella bellezza, che significa il valore che hanno i valori.  Che abbia (un po’di) valore  la vita di ognuno – un po’ di bellezza –  non è forse dovuto a ciascuno, non è  il senso ultimo della giustizia? Credere che la bellezza fosse un lusso e non il cuore stesso della giustizia è  stato il peccato originale in  cui quella sinistra era nata. Che errore sarebbe continuare ad avvolgersi in questo peccato, ignorando di avere proprio questo in comune con la bruttura dei palazzinari, che guidano l’Italia assai più della finanza internazionale o del neoliberismo.

 

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.

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