Referendum, la campagna del no punta su JP Morgan che ha chiesto la riforma

17 Mag 2016

Mentre Matteo Renzi punta quasi tutta la sua campagna per il sì al referendum costituzionale sul messaggio dei tagli ai costi della politica e mentre si prepara a indire la consultazione in due giorni (oggi in consiglio dei ministri), anche i vari comitati per il no affilano le armi e scelgono il loro cavallo di battaglia. Un nome: J. P. Morgan, la società finanziaria ritenuta responsabile della crisi dei mutui subprime del 2008, secondo l’inchiesta della procura di New York. Ebbene i costituzionalisti del comitato No Triv, parte attiva anche nella campagna per il no al referendum di ottobre, hanno ripreso un documento di J. P. Morgan del giugno 2013 sull’area Euro (‘The Euro area adjustment: about halfway there’). E concludono: “Sono loro che chiedono le riforme, le stesse istituzioni finanziarie che hanno provocato la crisi del 2008. Non le chiedono gli italiani. E non è vero ciò che dice Renzi e cioè che ‘le facciamo per noi, non perché ce le chiede Berlino o Bruxelles…’”.

Il documento di J. P. Morgan in parte riprende le argomentazioni della lettera della Bce al governo Berlusconi nell’estate del 2011, sostiene la necessità di una unione bancaria e anche l’opportunità di creare ‘Eurobond’ per la zona euro. Pur ammettendo che: “Secondo noi, è improbabile che la Germania accetti gli eurobond senza cambi significativi nelle costituzioni politiche nei paesi periferici”. Una discussione molto attuale se si pensa al ‘migration compact’, la proposta italiana sull’immigrazione che prevede eurobond per l’Africa.

Ma il passaggio sul quale i referendari per il no si soffermano è il seguente:

“I sistemi politici nelle periferie sono nati dopo le dittature e sono stati definiti con l’esperienza delle dittature. Le Costituzioni mostrano una forte influenza socialista, che riflette la forza politica che i partiti di sinistra hanno guadagnato con la sconfitta del fascismo. I sistemi politici nelle periferie mostrano parecchie delle seguenti caratteristiche: esecutivi deboli; stato centrale debole nei rapporti con le regioni; protezione costituzionale dei diritti dei lavoratori; sistemi di consensi basati sul clientelismo; e contemplano il diritto alla protesta contro i cambiamenti allo status quo politico. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”.

Quindi la conclusione:

“Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica (…) Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”.

Dimostrare che sono le istituzioni finanziarie colpevoli della crisi di sei anni fa, ancora tutt’altro che risolta, sarà il cavallo di battaglia dei vari fronti per il no al referendum di ottobre, tanti e diversi ma con un unico obiettivo in questa battaglia contro Renzi.

Huffington Post, 16 maggio 2016

 

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