Cultura: avere un miliardo e morire di sete

03 Mag 2016

Tomaso Montanari

Un uomo arranca nel deserto. Non si ricorda nemmeno lui da quanto. Non beve da giorni. È allo stremo. Finalmente vede qualcuno: ecco, gli vengono incontro, telecamere al seguito.

Gli offrono uno smoking: lo rivestono. Elegantissimo. Sigarette, cioccolatini: anche se siamo nel deserto. Gli fasciano delle ferite, se non altro.

Ma non gli danno da bere. In compenso lo portano su un’altra strada, su cui continua ad arrancare. Non sta più andando verso la sua mèta. E nessuno gli ha dato da bere.

È questa l’immagine che mi è venuta in mente quando ho letto l’elenco dei finanziamenti straordinari per il patrimonio culturale approvati dal Cipe. Un miliardo per la cultura: il governo dei numeri tondi non si smentisce.

E se i due miliardi e mezzo per la ricerca sono inesistenti (è il bilancio ordinario di università ed enti di ricerca: come se Renzi andasse comunicasse come un successo personale il fatto che paga l’illuminazione pubblica), questo miliardo indubbiamente c’è.

Ma cos’è? Dario Franceschini ­– modesto come sempre – ha detto che è il più grande intervento sul patrimonio culturale della storia repubblicana.

Di fatto è il finanziamento di 33 interventi straordinari e una tantum per il patrimonio. Alcuno sacrosanti, anche se insufficienti (i 30 milioni per il centro storico dell’Aquila, per esempio), moltissimi per i supermusei avviati alla trasformazione in supermarket direttamente controllato dal Pd, altri per progetti francamente superflui, visto il disastro generale del patrimonio (20 milioni per i cammini religiosi di San Francesco e Santa Scolastica con interventi strutturali e infrastrutturali nei tracciati dei percorsi francescani in Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria e Marche…).

Ma non un euro per il bilancio ordinario: smoking e sigarette, ferite fasciate. Ma niente acqua. Niente sicurezza del futuro. Le chiese di Napoli o di Pisa continueranno a crollare, le soprintendenze continueranno a non avere soldi per la benzina.E dunque non si dica che finalmente il governo ripara al massacro di Bondi: non è così.

Non a caso, nel suo tweet, Franceschini parla di restauri e soprattutto di valorizzazione. Ma non di «tutela»: la parola dell’articolo 9 è scomparsa. Eppure i costituenti la preferirono a  ‘protezione’, perché quest’ultima ha in sé qualcosa di inevitabilmente episodico e puntale (anche nei suoi usi istituzionali: si pensi alla Protezione Civile): la ‘tutela’ non è emergenziale ma sistematica e preventiva, ed ha l’obiettivo di rendere sicuro il patrimonio, e di consegnarlo inalterato alle generazioni future. Invece niente tutela, niente della conservazione programmata cara a Giovanni Urbani: quella che aiuterebbe a non dover fare i restauri.

Infine, colpiscono i 70 milioni dati alla Ferrara di Franceschini e i 100 milioni destinati alla Firenze del premier. «Le volte che ci siamo incontrati, su questi temi ho trovato grande attenzione e sensibilità nel presidente del Consiglio – ha detto il sindaco Dario Nardella, ricordando di essere legato a Renzi “anche da amicizia, oltre che da stima personale” – vedremo se tutto questo domenica diventerà realtà e non solo sogno». Peccato che De Magistris non sia amico di Renzi: sennò magari pure le duecento chiese chiuse del centro di Napoli avrebbero avuto una speranza.

«Non sei mai contento», qualcuno mi dirà. In effetti, no: perché all’inaugurazione continuo a preferire la manutenzione. Agli atti eccezionali e dimostrativi, la normalità.

E l’acqua continua ad essere un miraggio. La cultura continua ad essere in emergenza.

Articolo 9, 2 maggio 2016

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