Rodotà: C’è un filo rosso che va da Craxi a B. e arriva fino a Renzi sulla “barbarie” del giustizialismo      

27 Apr 2016

Silvia Truzzi

I “padri nobili” dell’espressione “barbarie giustizialista” sono molti: da Silvio Berlusconi a Lorenzo Cesa, da Osvaldo Napoli a Renato Brunetta. Ed è ben strano che il presidente del Consiglio, nonché segretario del Pd, abbia deciso di usarla martedì, certamente consapevole di parlare a un elettorato altro. Che capita? C’ è stata una mutazione genetica a sinistra? L’abbiamo chiesto a Stefano Rodotà. Che dice: “Il linguaggio in politica è fondamentale. Nel messaggio di Renzi c’ era, tra parentesi, un nome: Bettino Craxi. Ma non solo”.


Cosa intende?
Io retrodaterei agli anni 80 l’ insofferenza della politica verso la magistratura. Ricordo quando – nel giugno 1981, primo governo Spadolini – era appena stato arrestato Roberto Calvi.

Nella discussione alla Camera ben tre segretari di partito – Craxi, Piccoli e Longo, cioè socialisti, democristiani e socialdemocratici – attaccarono la magistratura di Milano perché con quell’ arresto avevano ‘depresso i titoli in Borsa’. Intervenni dicendo che si pretendeva che i listini di Borsa prevalessero sul codice penale. Sono le prime avvisaglie di ciò che benissimo ha ricordato Piercamillo Davigo nella sua intervista al Fatto: l’ azzeramento della responsabilità politica.

“Aspettiamo la sentenza della Cassazione”, uno slogan che abbiamo sentito spesso.
Era, ed è, un modo formalmente ineccepibile – come ha ricordato martedì il premier – ma è anche un escamotage per non occuparsi dei fatti. In quegli anni si costruisce la formula matematica della somma tra immunità e impunità. Una rete di protezione invocata da alcuni partiti e che poi ha infettato l’ intero ceto politico. L’ articolo 54 della Costituzione distingue chiaramente tra il rispetto della legge cui tutti i cittadini sono tenuti e quel secondo comma che impone a coloro che esercitano funzioni pubbliche ‘disciplina e onore’.
Cioè non basta il rispetto della legge, c’è un valore aggiunto. Quindi, quando Renzi dice di richiamarsi alla Costituzione riguardo alla presunzione d’ innocenza, dimentica che la stravolge rispetto alla responsabilità politica.
Tornando alla storia, questo azzeramento è un filo rosso passato per il craxismo e poi sfociato nel berlusconismo più becero: non c’ è bisogno di ricordare certe frasi sui magistrati antropologicamente diversi e mentalmente disturbati. E che oggi si affaccia nel discorso di Renzi: c’è una continuità.

Ma è una continuità con l’altra parte politica, contro cui il popolo del Pd ha riempito piazze per lustri.
Mi pare – e spero – che non tutto il Pd abbia perduto questa memoria.

L’ azione penale tendenzialmente è obbligatoria.
Non tendenzialmente, certamente! Ricordo che quando ero presidente del gruppo della sinistra indipendente una delle regole era che non si presentavano interpellanze anche quando c’ erano fatti giudiziari molto gravi. Il Parlamento non può interferire nell’ attività giudiziaria, perché si delegittimano coloro che esercitano obbligatoriamente l’ azione penale. Figuriamoci se lo fa il governo.

Perché Renzi ha deciso di fare un discorso così forte in quella sede?
Sembra quasi che si aspetti altre bufere.
È un’ ipotesi. Ma atteniamoci alle frasi in cui lui riprende quel discorso della rete di protezione della politica. Il premier chiede ai giudici di parlare con le sentenze, implicitamente dicendo che la critica alla magistratura si fa sulla base delle sentenze, non generalizzando. È lui, però, a fare due generalizzazioni molto gravi: ci sono magistrati bravi, ma poi c’ è la barbarie. Il magistrato parla con le sentenze, mentre lui può parlare dei magistrati come vuole. E poi ha accennato alle ‘veline’ delle procure: e qui si profila un tratto tipico del renzismo, che è la creazione del nemico. La delegittimazione preventiva ha come conseguenza che col nemico non si discute perché non lo si riconosce. Del resto, così si è svolta anche la discussione sulle riforme costituzionali.

Il presidente emerito Napolitano ha appoggiato le parole del premier, ricordando anche la vicenda delle intercettazioni, in relazione alla morte di Loris D’ Ambrosio.
Conoscevo D’ Ambrosio e l’ ho sempre considerato una persona perbene. Ma da questa vicenda, che può essere molto dolorosa per il presidente, non si può trarre una conclusione.
La Corte di Strasburgo nel 2007 è intervenuta su questo tema affermando che l’ informazione ha un ruolo fondamentale. E lo ha fatto invertendo la logica, dicendo che il principio della segretezza viene meno quando esiste un interesse dell’ opinione pubblica. Ha certamente ragione Davigo quando rimanda alle norme sulla privacy e sulla diffamazione, già esistenti.

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