La nostra insurrezione

24 Apr 2016

Tomaso Montanari

In un Paese che non ha conosciuto rivoluzioni, la festa nazionale degli italiani celebra il giorno in cui un pugno di cittadini chiamò tutti gli altri all’insurrezione.

Il 25 aprile del 1945 Sandro Pertini lesse a Radio Milano Libera il proclama del Comitato di Liberazione Nazionale:  «Cittadini, lavoratori: sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire».

Non si sbaglia se si dice che il significato più alto e più attuale della festa della Liberazione è la partecipazione. Di lì a poco, l’articolo 3 della Costituzione trasformò quel che era successo il 25 aprile nello scopo stesso dell’Italia che rinasceva: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Oggi, 25 aprile del 2016, chiamare all’insurrezione significa costruire concreti strumenti culturali per una partecipazione vera.

L’Italia del 2016 ha un analfabetismo funzionale del 47% (in Messico al 43,2%, negli Stati Uniti è al 20%, in Svizzera al 15,9%…): e alle ultime elezioni (le Regionali del 2015) l’astensione ha raggiunto il 47,8%. Metà del Paese non partecipa: non sa o non vuole più farlo. E ai vertici della Repubblica non manca chi giudica con indulgenza, anzi con interesse, quest’eclissi di cittadinanza: siamo davvero molto lontani dallo spirito con cui Pertini lesse quel proclama il 25 aprile del 1945.

Allora è importante che, dal basso, siano i cittadini a chiamare ad una pacifica, operosa insurrezione contro l’apatia democratica: è questa la vocazione di Libertà e Giustizia.

Oggi alla radio avremmo bisogno di sentire un messaggio così: «Cittadini, lavoratori, sciopero generale contro la dittatura totalitaria del Mercato, contro ogni espropriazione di sovranità popolare: per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Ponete la vostra stessa pigrizia, il vostro disincanto, il vostro minuto interesse privato di fronte al dilemma: arrendersi o perire».

Oggi una democrazia non vive senza una vera partecipazione: se i cittadini non si occupano della res publica gli interessi delle lobbies sostituiscono il bene comune; le ragioni di uno sviluppo insostenibile prevalgono su quelli della salute e della sopravvivenza stessa del pianeta; una paura primitiva del diverso ci impedisce di accogliere e integrare i nuovi italiani che arrivano sulle nostre coste; un martellante storytelling può nascondere la corruzione di un potere che ha come unico scopo se stesso.

È contro tutto questo che è tempo di insorgere, è da tutto questo che dobbiamo liberarci.

 

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