Nadia Urbinati neo Presidente di Libertà e Giustizia: lettera ai soci

17 Apr 2016

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

E’ per me un onore essere stata eletta presidente di Libertà e Giustizia, un’associazione libera e di opinione civica che rispecchia gli ideali della cittadinanza democratica. Scriveva un lettore a commento dell’Appello al voto per il referendum del 17 aprile -pubblicato ieri sul sito di LeG- che “inseguire la casta ed il renzismo nelle trincee referendarie difensive e negative, ci espone doppiamente perchè la sconfitta sarebbe anche la consacrazione popolare referendaria della norma oggetto e del suo sostenitore”. LeG non sarà in trincea e non cadrà nel tranello del plebiscito. Combatterà in campo aperto sui temi del referendum e non per decidere ‘pro’/’contro’ un leader, la sua maggioranza, il suo partito.  Ci interessa l’oggetto, non chi lo sostiene.

La lotta politica si combatte con gli strumenti che la Costituzione ci consente: il referendum abrogrativo nel caso della legge elettorale (l’Italicum) e il referendum costituzionale come previsto dall’articolo 138 della Carta per dire No alla proposta di revisione appena approvata in Parlamento. Raccogliere le firme e poi eventualmente votare nel primo caso; votare senza meno (a ottobre) nel secondo caso.

Il referendum è uno strumento importante, la parola ultima della sovranità; un atto che nel caso della legge di revisione costituzionale è dovuto, e nel caso della legge elettorale è, invece, una scelta libera e autorevole di cittadini che vogliono revocare la decisione presa dai loro rappresentanti parlamentari.

La difficoltà delle due imprese referendarie sta solo in questo: i mezzi impari per informare e convincere gli elettori. Da un lato il governo, la sua maggioranza e i mezzi di informazione, quasi tutti benevoli e sodali; dall’altro i cittadini ordinari – i droni e le carabine. Questa enorme disparità mette in luce una violazione nei fatti del principio dell’eguale opportunità di aver voce: che par condicio ci può essere tra chi sta nelle istituzioni e chi sta fuori?  Il principio formale dell’eguale potere di voce si scontra con l’ineguale forza dei mezzi. Questa è la grande difficoltà, il segno di una democrazia strabica che consente un evidente vantaggio a coloro che stanno nelle istituzioni; il segno del distacco tra Stato e Popolo.

La sola difficoltà che avremo riside nei mezzi, non nelle idee. Si renderà allora necessario mettere in moto la cittadinanza attiva e diretta: con il rapporto faccia-a-faccia,  con il discorso sui social e l’uso esteso del web, con la realizzazione delle e la partecipazione alle iniziative pubbliche. Battaglia politica condotta con le armi politiche del discorso e con mezzi antichi e nuovissimi – per mostrare i problemi insiti nelle norme che chiediamo siano oggetto di referendum e poi per convincere i nostri concittadini e le nostre concittadine che si può riformare meglio di così; che è nel nostro interesse che si riformi diversamente e meglio.

Chi ci avversa ha tutto l’interesse a dipingerci come conservatori – dicono che noi vogliamo tenere ingessata la politica e mai cambiare; mentre loro sono gli innovatori. Nulla di più falso, nulla di più volutamente manipolatore della realtà per scopi propagandistici. La Carta si può riformare e lo prevede. E la cittadinanza democratica è tale anche perché ha il grande potere, il potere fondamentale, di scrivere le costituzioni, di rivederle e, se necessario, di riscriverle. Ma la nostra Costituzione può essere riformata meglio di quanto ci viene proposto dal Parlamento e, soprattutto, secondo criteri coerenti all’identità istituzionale disegnata dall’Assemblea costitutente.

L’attuale revisione proposta non rispetta la fisionomia della Repubblica parlamentare, bensì la sfigura spostandone il baricentro nell’esecutivo e mettendo la rappresentanza politica (il Parlamento e quindi noi cittadini) in una condizione subalterna alla maggioranza, al governo e al suo capo (quale che esso sia).  A questo porterebbero le due riforme combinate: quella elettorale e quella della Costituzione.

Si può riformare la Costituzione con rigore e con uno stile costituzionale, ovvero con norme che non abbiano bisogno di tecnici dell’interpretazione per essere codificate e comprese, come succede con alcune di quelle contenute nel testo approvato in Parlamento. La Costituzione è la legge fondamentale, quella che tutti leggendo dovrebbero poter capire: è un principio fondamentale del costituzionalismo democratico, nato nel Settecento.

A tale spirito di chiarezza riformatrice questa revisione costituzionale gira le spalle. E’ un cambiamento in senso regressivo quello che ci viene proposto, che oscura il senso invece di renderlo chiaro e limpido, che richiede l’intervento di esperti della lingua per essere compreso in tutte le sue parti, tanto è ingarbugliato e contorto.

Si può e si deve fare meglio. Per questa ragione la presente, brutta, proposta di revisione costituzionale deve essere fermata.

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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