Trivelle: chi tace non acconsente. Le lotte (e le giravolte) dei governatori Lega, Pd e Fi

31 Mar 2016

Referendum, trivelle, 17 aprile. Alla sequenza, va aggiunta un’ altra parola: “Regioni”. Tra 18 giorni ci sarà la prima consultazione referendaria nella storia della Repubblica indetta dai consigli regionali: in 10 (ma ne sarebbero bastati 5) a luglio hanno approvato sei quesiti contro le norme dello Sblocca Italia che toglievano loro potere.

Otto sono governate da giunte Pd e per ognuna è stato identificato un delegato regionale come soggetto politico che partecipa a tribune e dibattiti: la maggior parte sostiene il “Sì”, cioè l’ abrogazione della norma. Diverso, invece, come mostra la casistica qui di seguito (salvo eccezioni) il comportamento dei governatori Abruzzo.Il presidente dem Luciano D’ Alfonso è stato il “grande traditore”. Aveva definito il mare “il più grande parco naturale” dell’ Abruzzo.
A luglio 2015 chiedeva una strategia “regione per regione”, contro le trivelle. Poi, la retromarcia: il governo, a fine anno, pubblica la sospensione dei permessi di ricerca per “Ombrina mare”, fonte di proteste (ma lo fa per un solo anno). Per D’ Alfonso, risolta Ombrina, il referendum non ha più senso. Tanto che a gennaio la Regione Abruzzo si costituisce in giudizio davanti alla Corte costituzionale, contro le altre Regioni e a sostegno del Governo, per chiedere che il referendum sia dichiarato inammissibile. Entro le 12 miglia, c’ è ancora la piattaforma di Rospo Mare: se non passasse il Sì, sarebbe autorizzata a creare altri due pozzi.
Puglia. È del Pd anche Michele Emiliano, governatore della Puglia, uno dei primi difensori del referendum. Mentre il suo partito si schierava per l’ astensione (ieri Renzi ha ribadito che non si può vivere di sole rinnovabili), Emiliano ricordava il dialogo respinto dal governo, mentre il vice segretario Pd parlava di 300 milioni di euro “sprecati” per il voto, lui riproponeva un election day con le amministrative. L’ apoteosi? Aver definito Renzi un “venditore di pentole”.
Basilicata. Se il delegato regionale Piero Lacorazza è uno dei più agguerriti sostenitori del referendum e del Sì, il presidente dem Marcello Pittella – che a giugno dell’ anno scorso aveva deciso di fare ricorso al Tar contro il via libera alla ricerca nel mar Ionio – non si è mai scontrato col governo, né lo ha platealmente favorito. Fino a pochi giorni fa. “Non mi sembra che questo sia un referendum pro Renzi o anti Renzi – ha detto – Quando Emiliano definisce Renzi un venditore di pentole io mi incazzo”. Lui “da libero cittadino” andrà a votare, ma “da presidente della giunta regionale” non darà indicazione sul voto.
Campania. Delegato a parte, il governatore non è pervenuto. “Noi siamo contro le trivellazioni in Campania; lo abbiamo detto nel programma e lo ripetiamo”, disse De Luca a settembre. Da allora, silenzio.
Calabria. Mario Oliverio (Pd) in principio avrebbe evitato il referendum, in cambio di un dialogo con il governo. “La nostra – diceva a settembre – è una posizione di confronto positivo”. Il confronto non c’ è stato, e Oliverio non ha mai scelto una reale posizione. Tanto che il 20 marzo, deputati e senatori del M5s hanno protestato, chiedendo al governatore di essere più chiaro – insieme al resto della giunta – sul referendum. Soprattutto alla luce dell’ astensionismo predicato dal Pd.
Liguria e Veneto. Rispettivamente guidate da Giovanni Toti (Fi) e Luca Zaia (Lega) hanno mantenuto il piglio deciso dei primi giorni. “Visto che Renzi è così felice del referendum sulle riforme – ha detto Toti – credo che anche in questo caso sia giusto che lasci decidere il popolo”. Zaia, invece, ha detto che voterà “Sì” durante un’ intervista all’ emittente Rete Veneta. “Chi lavora nelle piattaforme – ha detto – può trovare ottime alternative nell’ industria del turismo, che è la nostra principale risorsa”.
Molise. Paolo Frattura, governatore Pd, lo aveva già detto a settembre: il suo ok al referendum non era una presa di posizione contro Renzi. Aveva lodato l’ iniziativa di governo di ripristinare il limite delle 12 miglia (la questione delle trivelle Petroceltic alle Tremiti riguardava proprio il Molise) e, a inizio marzo, capriola: la normativa nazionale, secondo Frattura, tutela dal rischio trivellazioni al di là di quello che sarà il risultato referendario. E poi, le Tremiti non sono più in pericolo: la Petroceltic si è ritirata.
Marche. Monocorde Luca Ceriscioli, moderato dall’ inizio alla fine. “Nelle Marche tutto tace – ha detto la deputata dei Cinque Stelle Patrizia Terzoni – il presidente persiste nel suo doppio gioco molto opaco. Da una parte finge di voler lottare per difendere il mare marchigiano, dall’ altra però poi china la testa dinanzi alla disciplina di partito”.
Sardegna. Anche qui è silenzio. Il presidente dem Francesco Pagliaru a ottobre sosteneva i sei quesiti: “È in corso un dibattito molto serio e diffuso in Sardegna su quali siano costi e benefici di estrarre, ad esempio, del gas naturale qualora ci fosse – diceva – Credo che i territori abbiano assolutamente il diritto di dire l’ ultima parola”. E se dall’ opposizione è arrivata l’ accusa di fare una politica energetica che favorisce inceneritori e trivelle, i consiglieri hanno precisato: il Consiglio regionale sosterrà la campagna referendaria con 50mila euro, per “pubblicizzare il voto”.
Emilia Romagna. Non è una delle regioni referendarie, ma attraverso il governatore Stefano Bonaccini, vicinissimo a Renzi, prima, e poi con il consigliere Gianni Bessi, è tra le più preoccupate dal referendum. Molte concessioni, infatti, sono nel ravennate. “Il fatto che di sei quesiti del referendum ne sia rimasto solo uno – ha detto Bonaccini – dimostra che il recepimento di alcune richieste c’ è stato. Il referendum ci metterebbe in forte difficoltà”.
Il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2016

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