E’ emergenza per la cultura: tutti a Roma il 7 maggio

28 Mar 2016

Tomaso Montanari

Il prossimo 7 maggio il popolo dell’articolo 9 scenderà in piazza, a Roma: perché è emergenza per la cultura.

 Per dire sì al progetto di una Repubblica che «promuove la cultura»: e cioè che investa in cultura almeno il doppio di quello che sta facendo ora. Per dire sì a una Repubblica che promuova «la ricerca scientifica e tecnica»: e cioè che assuma giovani ricercatori. E che finanzi la ricerca: quella pubblica! Per dire sì a una Repubblica che «tutela il paesaggio»: e cioè che la smetta con le Grandi Opere e investa nella messa in sicurezza di un territorio allo stremo. Per dire sì a una Repubblica che «tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione»: e cioè che lo mantenga, lo restauri, lo renda accessibile a tutti, non lo mercifichi.

E dunque per dire no alle scelte di Matteo Renzi e Dario Franceschini. Per dire di no allo Sblocca Italia che ha regalato il territorio della Repubblica alle trivelle e al cemento. Per dire di no alla distruzione sistematica della tutela attraverso il silenzio assenso delle soprintendenze e attraverso la contrazione e la confluenza di queste ultime in uffici diretti dalle prefetture, e cioè dal governo stesso. Per dire di no alle una tantum delle assunzioni, provvedimenti propagandistici che impediscono ai nostri giovani di immaginare una vita di lavoro in Italia. Per dire di no alla rimozione della storia dell’arte dalle scuole.

 È a causa di queste scelte sbagliate se «il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione» sono oggi in gravissimo pericolo. Le generazioni future rischiano di non ricevere in eredità l’Italia che noi abbiamo conosciuto.

 Tutela, lavoro, conoscenza: è questo il programma del 7 maggio. È il programma della Costituzione, non il programma di questo governo.

Noi vogliamo che la cultura sia davvero un servizio pubblico essenziale: che le biblioteche e gli archivi funzionino come negli altri paesi europei, che i musei siano fabbriche di sapere, che le scuole formino cittadini e non consumatori, che la salvezza dell’ambiente in cui viviamo sia l’obiettivo più alto.

 La manifestazione del 7 maggio è stata voluta, concepita e organizzata da un gruppo di persone e di associazioni impegnate nel patrimonio culturale, e non solo: dagli studenti ai professoroni gufi, dai sindacati agli ambientalisti, dai precari agli insegnanti delle scuole.

 È una manifestazione aperta a tutti coloro che condividono l’analisi e le proposte contenute nel suo manifesto. E siamo felici che Possibile e Sinistra Italiana abbiano subito aderito.

Questa manifestazione chiederà al governo Renzi di sospendere l’attuazione dello Sblocca Italia, della Legge Madia e delle ‘riforme’ Franceschini: perché si apra un vero dibattito, nel Paese e nel Parlamento, sul futuro del territorio italiano, bene comune non rinnovabile.

Questa manifestazione chiederà di introdurre l’insegnamento curricolare della storia dell’arte dal primo anno della scuola superiore.

Questa manifestazione chiederà di permettere ad una nuova leva di ricercatori di entrare nei ranghi del Ministero per i Beni culturali: non con l’effetto-annuncio delle una tantum, che generano solo illusioni, ma con la costruzione di un futuro normale per chi vuole mettere la sua vita al servizio del paesaggio e del patrimonio culturale del Paese.

 Nel 1960 Carlo Levi commentò centoventi straordinarie fotografie scattate nel nostro Paese dal fotografo ungherese Jànos Reismann. In quel libro – intitolato Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia – Levi scrisse: «se gli occhi guardano con amore (se amore guarda), essi vedono».

 Ebbene, noi vogliamo guardare all’Italia e al suo patrimonio culturale con amore: a Roma, il 7 maggio.

Repubblica.it,  24 marzo 2016

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Pubblichiamo di seguito il testo dell’appello a cui anche Libertà e Giustizia aderisce convintamente.

Emergenza cultura.

Salviamo l’articolo 9

Roma, 7 maggio 2016

Noi – cittadini italiani, donne e uomini impegnati con il nostro lavoro, stabile o precario, a produrre e diffondere cultura, membri delle associazioni professionali e delle associazioni per la tutela, studentesse e studenti delle università e delle scuole – denunciamo che «il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione» (art. 9 Cost.) sono oggi in gravissimo pericolo.

 Denunciamo che le modifiche dell’ordinamento introdotte dal Governo Renzi, e passivamente subite dal ministro Dario Franceschini, stanno di fatto rimuovendo dalla Costituzione l’articolo 9.

Le generazioni future rischiano di non ricevere in eredità l’Italia che noi abbiamo conosciuto.

 Il nostro è un grido di allarme: è emergenza per la cultura!

 Noi vogliamo che la cultura sia davvero un servizio pubblico essenziale: che le biblioteche e gli archivi funzionino come negli altri paesi europei, che i musei siano fabbriche di sapere, che le scuole formino cittadini e non consumatori, che la salvezza dell’ambiente in cui viviamo sia l’obiettivo più alto di ogni governo.

 Per questo chiamiamo a raccolta tutte le cittadine e i cittadini italiani: li chiamiamo a scendere in piazza, a Roma, il 7 maggio 2016.

 Questa manifestazione chiederà al governo Renzi di sospendere l’attuazione dello Sblocca Italia, della Legge Madia e delle ‘riforme’ Franceschini: perché si apra un vero dibattito, nel Paese e nel Parlamento, sul futuro del territorio italiano, bene comune non rinnovabile.

Questa manifestazione chiederà di introdurre l’insegnamento curricolare della storia dell’arte dal primo anno della scuola superiore.

Questa manifestazione chiederà di permettere ad una nuova leva di ricercatori di entrare nei ranghi del Ministero per i Beni culturali: non con l’effetto-annuncio delle una tantum, che generano solo illusioni, ma con la costruzione di un futuro normale per chi vuole mettere la sua vita al servizio del paesaggio e del patrimonio culturale del Paese.

  1. «La Repubblica tutela»

Chiediamo che si rinunci al ricorso a legislazione d’emergenza e di urgenza per aprire le porte alle devastanti Grandi Opere, come prevede lo Sblocca Italia.

Al governo che vuol fare il Ponte sullo Stretto, promuove nuove trivellazioni a danno del nostro mare e delle nostre coste, legittima il transito delle Grandi Navi nella Laguna di Venezia, chiediamo invece che venga studiata, finanziata, avviata l’Unica Grande Opera utile, anzi vitale per il futuro del Paese: salvare il territorio, risanarlo, metterlo in sicurezza sia dal punto di vista idrogeologico che dal punto di vista sismico.

Chiediamo che sia abbandonata la filosofia dei beni culturali come pozzi petroliferi, che comporta lo sfruttamento intensivo di una piccola porzione del patrimonio – spesso a vantaggio di pochi privati con forti connessioni politiche –  e l’abbandono e l’incuria per la maggioranza dei siti. Sul territorio si deve continuare a fare tutela, ma anche valorizzazione: il vero obiettivo è portare gli italiani e i turisti nel nostro patrimonio diffuso, che nessuno conosce e che dunque cade a pezzi.

Chiediamo che si torni indietro rispetto all’idea cardine della Riforma Franceschini: la miope e pericolosissima separazione radicale tra tutela (di fatto impedita) e valorizzazione (troppo spesso trasformata in mercificazione). Chiediamo che si interrompa il processo di trasformazione dei musei statali in fondazioni di partecipazione aperte agli enti locali e ai privati. I musei devono continuare a fare sia tutela che valorizzazione: devono avere al loro interno vere comunità scientifiche permanenti, in grado di fare ricerca e comunicare la conoscenza. La selezione del personale deve essere seria e trasparente, non spettacolarizzata e deludente. E la politica deve ritirare le sue lunghe mani dai consigli d’amministrazioni, dai consigli scientifici e dalle direzioni dei musei autonomi.

Chiediamo che sia sospesa l’attuazione dell’accorpamento delle soprintendenze archeologiche, la soppressione della direzione generale per l’archeologia, lo stravolgimento dei depositi e degli archivi delle strutture territoriali di tutela.

Si rimediti sulla generalizzata confluenza delle soprintendenze storico-artisitiche con quelle ai beni architettonici: che dà già pessimi risultati.

Prima di qualsiasi riforma è necessario aprire un dibattito serio con le realtà del settore, in modo che si possa procedere a una vera modernizzazione, condivisibile e condivisa.

Chiediamo che venga ritirata la norma del silenzio-assenso contenuto nella Legge Madia: perché è incostituzionale, e perché fa scontare all’ambiente e al paesaggio gli inevitabili ritardi di una amministrazione che prima è stata scientificamente massacrata nei ranghi, nei finanziamenti, nel morale.

Chiediamo che il governo rinunci a far confluire le Soprintendenze in Uffici territoriali dello Stato diretti dai prefetti.

Chiediamo che venga ripristinata la competenza del Ministero per i Beni Culturali nella scelta degli immobili pubblici da vendere ai privati.

Chiediamo che non si indebolisca in alcun modo la legislazione sull’esportazione delle opere d’arte dall’Italia. Che il limite rimanga a 50 anni. Che non si introduca alcuna soglia di valore, né alcuna autocertificazione.

Chiediamo che si rinunci all’idea di smembrare i Parchi nazionali, che si rinunci al loro depotenziamento, che si nominino presidenti e direttori di livello nazionale e non più esponenti locali, adeguando la legge sulle aree protette al Codice per il Paesaggio.

  1. Fondata sul lavoro

Denunciamo la demonizzazione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, dei funzionari pubblici, dei dipendenti dello Stato: i quali mantengono aperto a tutti il patrimonio culturale della nazione, nonostante gli stipendi risibili, e nonostante l’incuria e il tradimento dei governi della Repubblica. I singoli casi di inadempienza sono da sanzionare, ma non devono oscurare il fatto che il lavoro nel settore, nonostante gli stipendi risibili, rappresenta la leva per mantenere aperto a tutti il patrimonio culturale della nazione e nonostante l’incuria e il tradimento dei governi della Repubblica. Le polemiche cavalcate dallo stesso Governo sulla chiusura di siti culturali famosi (basti pensare al polverone su Pompei o sul Colosseo) per assemblee o iniziative di protesta del personale hanno avuto un semplice fine, grave e inaccettabile: limitare le libertà sindacali e i diritti dei lavoratori del settore

Denunciamo che, nonostante l’annuncio di misure palliative di puro impatto mediatico (le ventilate 500 assunzioni dal 1° gennaio 2017 non serviranno nemmeno a rimpiazzare chi andrà in pensione da ora ad allora), vengono frustrate ancora un volta le speranze di chi si è duramente formato per lavorare al servizio del patrimonio culturale, della sua tutela e della sua apertura ai cittadini dell’Italia e del mondo.

Chiediamo che la tutela e la valorizzazione del patrimonio e la direzione degli istituti della cultura (compresi i musei) continuino ad essere affidate a professionisti (archeologi, storici dell’arte, architetti, bibliotecari, archivisti, restauratori, conservatori, demoetnoantropologi, diagnosti, operatori museali specifici e naturalisti, etc). Chiediamo che questo compito sia affidato agli operatori dei beni culturali, individuati dalla recente legge n°110 del 22 luglio 2014 sulle professioni nell’esercizio delle azioni di tutela e valorizzazione) assunti attraverso concorsi pubblici trasparenti, che tengano conto dell’offerta formativa presente nelle università del nostro Paese, indipendenti dal potere politico, tenuti ad obbedire solo alla legge, alla scienza e alla coscienza. Chiediamo che – come imponeva il comma 2 dell’art. 2 di quella legge – venga emanato (sentite, come imposto dalla legge, le associazioni professionali individuate dalla legge 4/2013 – o, in assenza delle stesse, una rappresentanza delle principali realtà associative – e il mondo della formazione), un decreto ministeriale che stabilisca le modalità e i requisiti per l’iscrizione dei professionisti negli elenchi nazionali, nonché le modalità per la tenuta degli stessi elenchi nazionali in collaborazione con le associazioni professionali. Chiediamo che vengano adeguatamente valorizzate le professionalità interne, troppo spesso mortificate  e compresse, tramite lo sblocco dei percorsi di carriera e nel concreto riconoscimento della qualità degli apporti professionali.

Chiediamo che le competenze e l’impegno dei professionisti del patrimonio culturale non vengano sostituite ricorrendo a forme più o meno surrettizie di sfruttamento, mascherate da volontariato, o da formazione, come il fondo “1000 giovani per la cultura”. In un Paese con un tasso del 42% di disoccupazione giovanile e del 12% di disoccupazione tout court, ogni forma di volontariato utilizzato come scorciatoia per abbattere i costi del lavoro rischia di entrare in rotta di collisione con le professioni e con le competenze dei professionisti, e di portare dunque danni permanenti al Paese, sia dal punto di vista economico sia culturale – come lasciano intendere le caratteristiche del flusso turistico o la percentuale di lettori e di analfabeti di ritorno, paragonati ad altri paesi europei.

Chiediamo che vengano assunti immediatamente i 1400 lavoratori necessari a compiere l’organico del Ministero per i Beni culturali, e che quindi venga sbloccato il turnover annuale, attraverso concorsi regolari per l’assunzione a tempo indeterminato di professionisti.

Chiediamo dignità professionale e riconoscimento di diritti a tutele per i tanti professionisti del settore che esercitano con partita IVA: equità fiscale e previdenziale, protezioni sociali per maternità e malattia, sostegno al reddito anche per i lavoratori autonomi. Proponiamo agevolazioni sull’IVA (come già avviene per le guide turistiche) e una riduzione dell’aliquota previdenziale al 24% (così come previsto per artigiani e commercianti).

Chiediamo che, dalla bozza riguardante le linee guida per l’archeologia preventiva elaborata dalla Direzione Generale del MiBACT, si passi celermente all’emanazione di un provvedimento che ponga fine a difformità, spesso piuttosto marcate, di prescrizioni e procedure, anche all’interno degli uffici, sul territorio nazionale, con sensibile miglioramento dell’attività di tutela e offrendo nel contempo possibilità di lavoro qualificato ai professionisti del settore.

  1. Finanziamenti

Chiediamo un piano di investimenti in settori chiave quali ricerca e istruzione, che generano ricadute virtuose sia in termini di competitività internazionale del paese, che in termini di cultura civile e democratica. Non la girandola di una tantum venduta come risolutiva dal Governo Renzi, né tantomeno il superfinanziamento di carrozzoni privati.

L’investimento in cultura e la produzione di conoscenza costituiscono la leva strategica di un modello di sviluppo la cui competitività non si risolva in sfruttamento della manodopera, ma in innovazione. E non c’è innovazione se non si garantiscono risorse adeguate alla scuola e all’università pubbliche, oltre che nelle infrastrutture della ricerca, a partire da biblioteche, archivi, laboratori scientifici.

Chiediamo che le biblioteche, gli archivi e in generale gli istituti di cultura statali – depositari di un tesoro librario in tutto paragonabile alle collezioni di arte e famoso in tutto il mondo – ricevano regolarmente il finanziamento ordinario che solo può consentirne la vita, e che di conseguenza possano assumere personale qualificato.

  1. Formazione

Chiediamo che sia garantita  a tutti la fruibilità pubblica della cultura e del patrimonio storico-artistico, chiave di ogni formazione alla cittadinanza attiva e consapevole. Chiediamo, dunque, che ogni politica di bigliettazione e gratuita sia fondata solo sul criterio della maggior accessibilità sociale, considerando tutti i luoghi della cultura, come parchi, siti, musei, archivi, gallerie, cinema e biblioteche  come parte integrante del percorso formativo di ognuno.

Chiediamo che si insegni davvero la Storia dell’arte nelle scuole italiane: che la si insegni in tutte le scuole secondarie. Che la si insegni con particolare attenzione alle sue implicazioni culturale, a livello locale, nazionale e internazionale.

Chiediamo che, subito, si cominci col ripristinare le molte ore tagliate dalla Riforma Gelmini e non più reintrodotte, nonostante le promesse di questo Governo, e che gli insegnanti siano quei laureati e abilitati in Storia dell’arte, la cui preparazione costituisce un valore aggiunto per un’offerta formativa non solo culturale, ma anche civica e sociale.

Chiediamo un pieno finanziamento del diritto allo studio e dei luoghi della formazione nel nostro Paese. Chiediamo che scuole ed università tornino ad essere, in ottemperanza alla Costituzione, accessibili a tutti e baricentro di relazioni e interscambi con siti museali e patrimonio storico-artistico del territorio.
Conclusione

 Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ama usare senza risparmio la retorica della Bellezza, e contemporaneamente sostiene che «soprintendente» sia la parola più brutta della burocrazia. Noi ci rivolgiamo al Paese per smascherare questa narrazione, questo storytelling, questa gigantesca mistificazione: se l’Italia è ancora bella, è perché le generazioni che ci hanno preceduto hanno saputo scrivere regole giuste e lungimiranti, e hanno saputo investire sul lavoro di chi era chiamato ad applicarle e a farle rispettare. Una storia antica, che è stata messa in crisi dalle decisioni dissennate prese nel ventennio berlusconiano, che tuttora si continua a seguire.

 Oggi, invece, il governo Renzi scommette tutto sulla rimozione delle regole, e progetta un futuro in cui nessun tecnico possa opporsi all’arbitrio del potere esecutivo: questo significa porre le premesse del consumo finale del nostro paesaggio e della nostra arte.

 Non ci riconosciamo in questa Italia che divora se stessa a beneficio di pochi ricchi e potenti. Ci riconosciamo, invece, nel progetto della Costituzione, per la quale il patrimonio culturale serve alla costruzione dell’uguaglianza sostanziale e al pieno sviluppo della persona umana.

 Chiediamo con forza che quel progetto sia finalmente realizzato, non smantellato.

È emergenza cultura: salviamo l’articolo 9!

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