Una Costituzione ‘sbagliata’ compromette l’oggi e il domani

20 Mar 2016

Il 2 Giugno 1946, di cui quest’anno ricorre il settantesimo anniversario, rappresenta una data di estrema importanza per il nostro Paese. Segna l’avvento della Repubblica, frutto della lotta antifascista e della guerra di Liberazione. Il voto repubblicano del 2 giugno 1946 aveva dato la vittoria alla parte più avanzata dell’Italia, a quella parte che aveva assimilato lo spirito della Resistenza e che voleva una Repubblica di progresso, democratica, dove ai lavoratori per primi fosse riconosciuto il ruolo di protagonisti della nuova società, che si erano conquistati, partecipando ai grandi scioperi del marzo 1943 e del marzo 1944, per la pace, contro il nazifascismo. Lo stesso giorno in cui il voto popolare decretava la fine della monarchia fu eletta l’Assemblea Costituente, i cui componenti di altissimo livello, furono eletti direttamente dagli uomini e dalle donne che si erano conquistate il diritto di voto con la loro partecipazione alla Resistenza.

L’Assemblea Costituente venne investita del compito di dare allo Stato italiano sorto dalle rovine di quello fascista, una nuova Carta costituzionale. La Costituzione è dunque nata dalla Resistenza. Piero Calamandrei definiva la Costituzione come Resistenza tradotta in formule giuridiche e la Resistenza è il fondamento storico dello Stato nel quale viviamo, della Repubblica, della democrazia in Italia. “Molti articoli della Costituzione – sottolineava Alessandro Galante Garrone – rivelano la preoccupazione, sentita dai Costituenti, di non ricadere negli errori e nelle vergogne del recente passato, di predisporre le acconce difese. Ma nella Costituzione appare anche la volontà, l’impegno di trasformare il presente, di camminare in una certa direzione. In un senso e nell’altro – come polemica contro il passato, e come impegno per l’avvenire – la Costituzione è nata dalla Resistenza. La quale, nelle sue ispirazioni più consapevoli, non si propose soltanto di abbattere un regime, ma ebbe di mira un nuovo Stato, una nuova società”.

E la nostra è una costituzione profondamente antifascista. In ogni suo articolo esprime principi in contrasto non solo col fascismo in camicia nera, che si sta pericolosamente ripresentando anche nella nostra città, offendendo Milano Città Medaglia d’Oro della Resistenza, ma è in contrasto con tutti i fascismi e gli autoritarismi comunque si presentino.

La divisione dei poteri
In un recente documento della banca d’affari Morgan, vengono indicati i rimedi per la soluzione dei problemi europei: uno stato che funzioni come un’azienda, basta con la divisione dei poteri, con le Costituzioni antifasciste, basta con le protezioni del lavoro. In tempi più lontani Willy Brandt suggeriva di correggere la democrazia “osando più democrazia”. Secondo la Morgan, invece, il buon funzionamento dell’economia non è un mezzo attraverso cui si cerca di migliorare il benessere collettivo, ma il fine da perseguire a costo di stracciare le garanzie e i diritti di uno stato democratico.

Una prima osservazione da avanzare, spesso dimenticata o rimossa, è che le eventuali revisioni costituzionali sarebbero varate da un Parlamento di non eletti, ma di designati dai partiti, grazie ad una legge elettorale dichiarata incostituzionale.
Alla riforma del Senato, ridotto – per mancanza di una vera elettività e di significative funzioni ad un rango accessorio ed ininfluente – si aggiunge una legge elettorale che conferisce un eccessivo premio di maggioranza alla lista che ottiene il 40% dei voti e che prevede una platea con troppi nominati, contrariamente a quanto invocato dalla stessa Corte Costituzionale. L’intreccio tra revisione costituzionale ed Italicum che prevede, in caso di ballottaggio, di assegnare il premio di maggioranza alla lista più votata, indipendentemente dalla percentuale di voti raggiunta, verrebbe a concentrare il potere sull’esecutivo, conferendo al presunto vincitore la possibilità – senza neppure l’ostacolo del Senato – di governare senza problemi.

Una soluzione fortemente contrastata dall’ANPI, perché, così facendo, si ridurrebbero gli spazi di democrazia, si inciderebbe fortemente sulla rappresentanza dei cittadini, si svilirebbe il ruolo di quel Senato che, in molti Paesi, è addirittura la Camera più “alta”, quella più prestigiosa, dotata di maggiori competenze anche sul piano culturale e scientifico. I problemi che abbiamo di fronte sono difficili e complessi e richiedono, impegno, rispetto delle regole e della impalcatura costituzionale fondata sull’equilibrio e la divisione dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario)che sono alla base della democrazia repubblicana. Concezione questa ereditata dall’illuminismo francese e da Momtesquieu.

Attuare la Costituzione per cambiare il Paese
Non si può pensare di superare la gravissima crisi recessiva che investe il nostro Paese stravolgendo l’impalcatura fondamentale della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Per cambiare il Paese non si può pensare di “modernizzare”, o meglio stravolgere la Costituzione repubblicana. Il Paese lo si cambia attuando la Costituzione nei suoi principi e nei suoi valori fondamentali, a cominciare dall’art.1 che recita “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. In una intervista rilasciata il 19 gennaio 1996 al quotidiano “La Repubblica”, il compianto cardinale Carlo Maria Martini manifestava, sin da allora, le sue profonde preoccupazioni per i destini dell’Italia: “L’impulso ad affidarsi a uomini della Provvidenza affiora sempre nei passaggi difficili della storia. Quando le situazioni appaiono troppo complesse, si vorrebbe qualcuno che quasi magicamente tirasse fuori la soluzione. In realtà occorre la pazienza di affrontare i passaggi difficili, utilizzando tutte le persone competenti e di buona volontà senza mitizzare nessuno”.

Battaglia referendaria
Siamo chiamati ad una battaglia referendaria non facile, nella quale dovremo contrastare il richiamo, contenuto nello stesso disegno di legge governativo, alla necessità di tagli alla poltica, con la riduzione a cento del numero dei senatori, in una situazione in cui il distacco dei cittadini dalla cosa pubblica, per gli ormai quotidiani episodi di corruzione, si sta sempre più accentuando. L’ANPI ha deciso nella sua riunione del 21 gennaio 2016, con una maggioranza schiacciante di aderire al Comitato per il NO alla riforma del Senato ed al SI sui quesiti referendari per correggere la legge elettorale al fine di garantire una vera rappresentanza e partecipazione dei cittadini. Abbiamo precisato, in quell’occasine, che i Comitati per il NO alle revisioni costituzionali non dovranno porre la questione in termini politico-partitici, ma evidenziare unicamente la questione della difesa della Costituzione repubblicana e ricercare il coinvolgimento più ampio possibile di Associazioni della società civile, di intellettuali e di personalità del mondo della cultura.
Oscar Luigi Scalfaro nel libro La mia Costituzione, osservava: “La mia convinzione è che ogni cittadino è garante della Costituzione e se ognuno sente di essere garante, allora la garanzia diventa forte, marcata. Appena ci sono sintomi di fatti e comportamenti che turbano norme e principi, ciascuno deve sentire il dovere di muoversi. Il referendum è l’unica ipotesi di democrazia diretta, in cui il popolo esercita la sua sovranità. Ma quante volte si va a votare con approssimazione ? Nel caso del referendum costituzionale il rischio è enorme. Il voto anche su un solo punto della Costituzione non tollera slogan pubblicitari o elettorali. Attenzione dunque. Mille volte attenzione quando si vota la Costituzione. E una Costituzione sbagliata compromette l’oggi e il domani. Bisogna pensare ed essere ben responsabili quando sono in gioco le regole. Nessuno può stare a casa a dormire, come se la cosa riguardasse altri.”
Su questo terremo, nei prossimi mesi, ci dovremo tutti appassionatamente impegnare.

 

(*) Roberto Cenati è presidente dell’Anpi Provinciale di Milano: questo è l’intervento che ha tenuto in occasione della presentazione dei Comitati referendari, giovedì 17 marzo 2016

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