Prescrizione: un regalo per il mondo della corruzione

08 Mar 2016

Un recente articolo del professor Alberto Vannucci, pubblicato su “ilfattoquotidiano.it” e ripreso dal sito di “Libertà e Giustizia”, affronta il tema della corruzione dilagante.

La percezione della corruzione in alcuni ambienti è prossima allo zero, la denuncia del fenomeno ignorata, la reazione giudiziaria vissuta con fastidio più per l’inevitabile ripercussione mediatica che per il timore della sanzione.

Parte della società italiana, in grado di assorbire i costi dell’altrui corruzione, quando non direttamente partecipe, non vive più la corruzione come fatto negativo e soprattutto non mette all’indice il corruttore.

Il legislatore con i suoi silenzi e le omissioni, lungi dal contrastare efficacemente il fenomeno, finisce con l’alimentarlo.

Sul fronte giudiziario, come detto, non si avverte più il timore per la sanzione e in questo quadro l’istituto della prescrizione finisce con l’essere ancora un utile supporto al diffondersi del cancro.

In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario i capi degli uffici giudiziari hanno lanciato allarmi e proposto soluzioni.

Già oggi è calato il silenzio, cosi come facilmente prevedibile, e le cronache parlano invece di storie riconducibili tutte al mondo parallelo della corruzione, un mondo sempre più aggressivo, invasivo e sempre meno percepito come disvalore.

La corruzione erode i diritti civili, mina i diritti costituzionali, incide sulla ricchezza della società creando enormi differenze e diseguaglianze.

Bisogna reagire su tutti i fronti e quello giudiziario vede nella certezza del processo giusto e celere un obiettivo da perseguire con determinazione.

Ho già scritto sull’istituto della prescrizione. Spero mi si perdonerà la ripetizione e spero anche che altri possano intervenire per spingere Il Governo ed il Parlamento ad adottare provvedimenti ineludibili alla luce degli accadimenti.

Tutti possono essere indotti ormai a pensare che la prescrizione sia una specie di assoluzione.

Si può essere assolti per non aver commesso il fatto, perché il fatto non sussiste, perché il fatto non costituisce reato o perché, come pure dicono alcuni commentatori dei processi, è prescritto.

Pochi spiegano che la prescrizione in effetti non è un’assoluzione nel merito, nessuno ricorda che la prescrizione è rinunciabile dall’imputato pronto a farsi processare nel merito e che la rinuncia dovrebbe costituire quasi un dovere morale per tutti coloro che occupano posizione di rilievo pubblico.

Tutto ciò contribuisce ad alimentare il convincimento dell’impunità e conseguentemente induce a ricercare potere e denaro tramite il ricorso a pratiche corruttive.

Ma a cosa dovrebbe servire la prescrizione?

Il suo scopo dovrebbe essere di impedire che si possa venire giudicati e condannati quando ormai è passato troppo tempo dalla data in cui si sono commessi i fatti. In questo caso la memoria degli stessi fatti sarebbe ormai sbiadita, la condanna raggiungerebbe una persona ormai diversa, per età e percorso di maturazione, da quella che ha commesso il fatto e persino le stesse persone offese potrebbero non avere più interesse al perseguimento del reato.

Ed in effetti una volta era così. Il legislatore aveva dettato termini più lunghi per reati gravi, più brevi per le contravvenzioni ed il sistema processuale consentiva di limitare le declaratorie di prescrizione.

Oggi il sistema non ha più un suo equilibrio, le sentenze di prescrizione sono ricorrenti e soprattutto l’istituto stesso costituisce un regalo utile solo a portatori di interessi negativi, un danno enorme per le persone offese e per il paese Italia.

Se si considera che la produttività dei magistrati e funzionari italiani è tra le più alte in Europa (solo per restare nei paesi con ordinamenti più vicini al nostro), si può concludere che la soluzione va ricercata altrove. Anche a voler assegnare ai magistrati una quota di responsabilità, questa, per quanto detto prima, dovrebbe essere marginale.

Mi pare a questo punto di poter azzardare una prima conclusione. Bisogna incidere proprio sulla prescrizione, modificare l’istituto.

Certo ci si può chiedere se ciò sia necessario, in che misura e con quale priorità.

Se fosse in gioco la salvezza di singoli individui, non importa se numerosi o meno, potremmo essere poco preoccupati ed anche indulgenti. Qui però è in gioco il sistema democratico del paese, la tenuta del consorzio civile.

Se corruzioni, concussioni, rapine in danno dei risparmiatori, violenze di genere e maltrattamenti in famiglia vengono in gran parte coperte dal manto grigio della prescrizione, salta l’adesione ad un sistema di valori condiviso da tutti i cittadini e si possono aprire scenari inquietanti.

Siamo tutti potenzialmente d’accordo: la corruzione è un fatto negativo, e certamente tanti e diversi sono i modi per combatterlo. L’ultimo forse, ma non meno necessario, è quello giudiziario.

Molti quindi restano legittimamente perplessi se poi la prescrizione copre tutto.

Si corre il rischio che l’impunità raggiunta attraverso la via della prescrizione allontani sempre di più la società civile dal suo legislatore, specie quando le sentenze di prescrizione sono direttamente riconducibili al mondo della politica.

E bisogna dirlo con chiarezza: le riforme che pensano di incidere allungando i termini o aggravando le pene, oltre che inutili si rilevano dannose esse stesse perché rafforzano il convincimento che si voglia mantenere il sistema processuale in una condizione di non efficienza.

Legati dal patto criminale, corruttori e corrotti hanno il comune interesse a tenere celato il delitto. Il medesimo interesse coinvolge anche in molti casi referenti politici impegnati a perseguire e consolidare potere.

Quando per fortunate investigazioni emerge un fatto di corruzione, parte del tempo della prescrizione è decorso ed in alcuni casi è impossibile consumare tutti i gradi del giudizio in tempi utili per una pronuncia di merito.

Imprenditori, pubblici funzionari e politici corrotti sono ben consapevoli di tutto ciò.

Mantenere l’istituto della prescrizione così come è oggi regolato favorisce il mondo della corruzione.

In molti interventi di magistrati ed esponenti politici si è chiesto di non far decorrere più la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Sarebbe già un passo avanti, ma forse non risolutivo.

Proverò ad indicare una soluzione diversa.

Il tempo della prescrizione deve certamente coincidere con il tempo dell’oblio.

Si può concordare sul fatto che i termini decorrano anche durante la fase delle indagini. In queste fasi in verità è il pubblico ministero, che è parte processuale, ad avere più di altri la possibilità di incidere sui tempi. Ma con la chiusura delle fase delle indagini, il decorso della prescrizione a mio avviso non ha più ragione d’essere.

Con l’inizio del processo l’imputazione è cristallizzata e soprattutto l’imputato ha la possibilità, difendendosi nel processo e non dal processo, di richiedere al pubblico ministero di provare le tesi accusatorie di fronte al giudice che, in quanto terzo, non potrà essere considerato portatore di interessi tendenti ad allungare i tempi del processo.

Con l’inizio del processo non c’è più la possibilità dell’oblio.

Tutto ciò che è necessario per l’accertamento della verità giudiziaria non può essere vanificato dal semplice decorso del tempo quando ormai il processo è in corso.

Non sto qui ad elencare tutti i passaggi processuali che oggi appesantiscono il processo e che, non essendo più lo scorrere del tempo un fatto salvifico, verrebbero meno.

Tutti avrebbero interesse ad una sollecita definizione ed anche i patteggiamenti avrebbero impulsi ulteriori.

Lo stesso imputato potrebbe avere interesse alla velocizzazione dei tempi in primo grado e nei successivi e comunque non avrebbe benefici da lungaggini processuali.

Si possono certamente trovare altre soluzioni importanti.

È necessario però che il Governo, dichiaratamente riformatore, si faccia promotore di forti iniziative.

Nessuno vuole addebitare ai governanti di oggi le responsabilità dei predecessori, ma ci si aspetta che siano adeguati per restituire dignità e credibilità al paese. Primo fra tutti il Ministro della Giustizia.

E non servono annunci o rinvii a disegni più ampi, ma occorre intervenire.

Promuovere riforme costituzionali dello spessore di quelle in essere e non intervenire sulla macchina giudiziaria in modo efficace significa anzitutto favorire indirettamente e quindi alimentare, per quanto detto, la corruzione, oggi più che mai il vero nemico della società civile ed onesta.

Disertare su queste riforme è omissione grave per i danni che si continuano a provocare nel sistema e nel paese Italia.

 

(*) Circolo LeG di Messina

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