La corruzione tra etica e diritto

La corruzione tra etica e diritto

Il celebre discorso parlamentare del 3 luglio 1992 alla Camera dei Deputati, in cui -in piena Tangentopoli- l’allora segretario del PSI Bettino Craxi chiamava in correità un intero sistema partitico, può essere considerato un crocevia di grande significato simbolico della nostra storia recente. Infatti, se all’epoca quel discorso poteva essere visto come la fine di una stagione, prodromico a una svolta verso un nuovo modo di “fare politica”, riletto oggi, in tempi di scandali non meno diffusi e, anzi, quasi più frequenti (nel Paese in generale, come a Pavia in particolare), quell’intervento può essere visto come il segnale di una Italia che, anziché prendere le distanze da quel passato e metabolizzare i propri errori, ha furbescamente ritenuto più conveniente assimilarlo, decidendo più o meno consapevolmente di rendere strutturali e pervasivi quegli errori, raffinando per di più le modalità operative attraverso le quali realizzare pratiche corruttive.

 Perché le cose siano andate così, perché cioè non si sia verificata la palingenesi auspicata da tanti, bensì una recrudrescenza inaspettata della corruzione (sebbene Craxi, in quel discorso, è bene ricordarlo, si riferisse “solamente” ai finanziamenti illeciti ai partiti), è difficile da dire. Come non è facile stabilire se la sessantunesima posizione occupata dall’Italia nella classifica del Corruption Perceptions Index 2015 di Transparency, parecchio lontana dalle altre democrazie occidentali, sia frutto di regole inadeguate o di cattivi costumi individuali. È una affascinante domanda alla quale la sociologia politica e giuridica non sembra ancora in grado di dare una risposta univoca (anche se gli importanti studi di Alberto Vannucci qualcosa dicono).

 Certamente, però, sembra cogliere un punto Massimo Donini, in un libro di due anni fa, “Il diritto penale come etica pubblica”, quando osserva che da qualche tempo in Italia la giustizia penale ha svolto il ruolo di surroga dell’etica pubblica. Questo è vero, a me pare, in un duplice senso: nel senso che è letteralmente scomparsa, se mai è esistita, la categoria di ciò che è appropriato fare quando si ricopre un ruolo pubblico e tutto si è ridotto alla dicotomia legale/illegale. E nel senso, non disgiunto dal primo, che si cerca allora di individuare nuove fattispecie penali (per esempio, il traffico di influenze illecite) con le quali allo stesso tempo reprimere e disincentivare comportamenti dannosi per l’interesse generale, che però i reati di concussione e corruzione non riescono a catturare.

In realtà, una visione che non si adoperi per ripristinare a livello politico e culturale uno spazio per l’etica pubblica, delegando i compiti di quest’ultima all’azione penale, rischia di essere miope. Se, infatti, non si riesce a motivare nel profondo gli individui ad agire onestamente e responsabilmente -nel senso dell’accountability (trasparenza, rendere conto del proprio operato ndr) di cui parlava Emanuela Ceva sul giornale di domenica- non si riesce nemmeno, temo, a creare quella “massa critica” capace di isolare i “mariuoli” ed evitare, come ricordava Michele Bocchiola mercoledì scorso, che la corruzione, divenendo sistemica, mini lo Stato alle fondamenta.

Provincia pavese, 27 febbraio 2016

(*) Professore di Filosofia del diritto, Università Statale di Milano

 

4 commenti

  • Se Craxi avesse avuto il senso dello Stato. l’etica politica, professionale e civica, si sarebbe assunta la piena responsabilità delle sue ammissioni e pagato il debito nei confronti della società civile accettando la condanna e scontarla. Ha fatto il bel gesto di ammettere che le tangenti erano una pratica ed un sistema allargato a tutti i partiti ma poi si è defilato “esule”. Un uomo lungimirante, accettando la condanna avrebbe dato veramente uno scossone al sistema ed oggi non saremmo al punto in cui il corrotto detta legge ed è protetto dal sistema avido in quanto tutti coinvolti e ricattabili a vicenda. Personalmente li ritengo stupidi e dalla vista molto corta.

  • Non ci fu svolta dopo il 92, perchè non ci fu una cesura, non ci fu l’indispensabile frattura tra passato e futuro, ma solo un prosieguo, con altre facce, dello stesso stile di fare e finanziare la politica. E non solo quella.

    Furono infatti i delfini designati a portare avanti le pratiche, affinando e legiferando per meglio poter operare in quel modo. Di più: ci fu una progressiva emarginazione della cultura dalla politica e dalle istituzioni, con una conseguente emersione ed occupazione del Parlamento di una mediocrità (per essere gentili) offensiva per le funzioni di quell’organo, simbolo più alto di ogni democrazia.

    E siamo ancora a quel drammatico punto: è un’assoluta mediocrità a bivaccare in Parlamento mentre l’elite culturale del Paese, portatrice di rigore morale, di competenze, capacità e coerente orientameto al bene comune, è costretta nelle piazzette e nei teatri di comuni e città, per mantenere vivi i valori che sono alla base di un vivere civile e che innervano la Costituzione, elaborata in un momento storico di alta tensione morale.

    E simo ancora nella necessità di quella cesura. di quel punto e a capo, capace di interrompere la trasmissione della mediocrità da un Parlamento al successivo, da una leva politica ai delfini designati.

    Cesura che non potrà esserci con la solita pratica delle elezioni politiche, ma solo con una tornata di “democrazia diretta propositiva” che la Costituzione ancora consente, con l’esercizio degli arttt. 50 e 71, da parte di una Sovranità Popolare Realizzata, non solo enunciata, per imporre al Parlamento un’agenda di progetti di legge e riforme, le più attese dalla Cittadinanza, e sull’onda di quell’evento di sicuro successo, presentare alla successiva scadenza elettorale, una “Lista Civica Nazionale” composta e garantita dalla miglior elite culturale della Società Civile, capace di offrire alla Cittadinanza quell’affidabilità di cui l’astensionismo crescente, come le indagini demoscopiche, denunciano da lustri l’assenza, la ricerca e l’attesa.

    Se ne può parlare? E se no, perchè?

  • Il singolo non può ribellarsi alla prepotenza e all’arbitrio senza essere schiacciato da un sistema di potere mostruoso. “Catene verticali, quasi sempre invisibili e talora segrete, legano tra loro uomini della politica, delle burocrazie, della magistratura, delle professioni, delle gerarchie ecclesiastiche, dell’economia e della finanza, dell’università, della cultura, dello spettacolo, dell’innumerevole pletora di enti, consigli, centri, fondazioni, eccetera, che, secondo i propri principi, dovrebbero essere reciprocamente indipendenti e invece sono attratti negli stessi mulinelli del potere, corruttivi di ruoli, competenze, responsabilità” (G. Zagrebelsky).

  • Certo, bisogna modificare il costume e prima ancora il modo di concepire il rapporto con gli altri. Ma come ci si arriva? Forse con alcuni plateali esempi di condanne giudiziarie. Che pero’ non arrivano quasi mai perche’ vige l´impunita’ piu’ completa e massiccia…Basti pensare a come siano stare comminate le pene a Previti e Berlusconi… Per molti politici, ma anche imprenditori e banchieri, e’ ormai un titolo di vanto aver riportato dele condanne penali…

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