Sinistra italiana/Carlo Galli (ex dem): per fare un partito prima di tutto dovremo essere coerenti e credibili 

17 Feb 2016

«Nel Pd non si produrranno altri scossoni. Chi sta dentro ormai ha scelto di restare. O per rassegnazione o per enorme fiducia nei propri mezzi. Lo spostamento al centro del Pd è compiuto.Un partito di centro, intendiamoci, è cosa rispettabilissima, ma il Pd non nasceva per questo. Comunque ormai non si ricollocherà mai più a sinistra: perché non vuole e perché gli elettori di sinistra ormai se ne stanno andando».

Il deputato Carlo Galli è il politologo dell’università di Bologna, già bersaniano, che sarà fra i primi a intervenire a ’Cosmopolitica’, la tre giorni romana della fondazione del nuovo partito della sinistra (dal 19 febbraio al Palazzo dei Congressi).

Ha perso ogni speranza nel Pd?
La speranza politica, certo. Noi siamo alternativi. E comunque la legge elettorale rende questi discorsi insensati: si corre come singole forze politiche. Non c’è più l’alleanza e non c’è l’apparentamento al secondo turno. L’Italicum ha trasformato la politica in una roulette russa. Uno schema brutale.

Fa l’elogio delle alleanze perdute?
L’alleanza, insieme al conflitto, è l’essenza della politica, il suo dinamismo.

Ma il vostro nuovo partito di sinistra non nasce grazie all’Italicum, che ha ucciso il centrosinistra.
Il nostro soggetto nasce, almeno da parte nostra, perché nel Pd non c’è più spazio per la politica. Saremo costretti a competere con logiche che ci penalizzano, come quella del voto utile. Nasciamo in un contesto poco favorevole sotto il profilo delle regole elettorali. Ma speriamo di fare un risultato importante e diventare l’alternativa al Pd. Certo è che non possiamo esserne gli alleati. L’Italicum lo esclude.

Alcuni suoi colleghi di sinistra non hanno nostalgia delle alleanze. Né considerano questo un difetto dell’Italicum.
Io ho nostalgia della politica, oggi c’è solo la condanna: a vincere o a perdere. Comunque sì, è una differenza di valutazione, ma per modo di dire: oggi non c’è una strategia diversa possibile. Chi vota noi sa che non sta votando Pd.

Neanche al secondo turno?
C’è il divieto di apparentamento. La forza che vince dovrebbe promettere ministri. Sulla fiducia. Non è un’ipotesi praticabile.

Neanche il referendum costituzionale produrrà scossoni nel Pd?
Ci sono persone che non andranno a votare e che non faranno campagna. Staranno a guardare. Così farà la minoranza Pd. Noi invece saremo una delle anime del variegato fronte per il no al referendum. Puntando a incontrare al voto anche delle amministrative un consenso popolare significativo per capire che non siamo lontani rispetto alle esigenze profonde del nostro paese. Non quella di risolvere un problema ma quella di trasformare i problemi in questioni. Anche Renzi sa che ci sono dei problemi, il Mezzogiorno, il lavoro dei giovani, ma non pensa che esistano gigantesche questioni strutturali. Per questo agisce di volta in volta con provvedimenti spot e bonus.

Renzi ha ancora il vento in poppa.
Perché è abile, perché la destra è divisa, perché noi non abbiamo ancora espresso le nostre potenzialità. E perché gli italiani hanno disimparato a fare protesta politica. Ma fanno spesso protesta sterile. E se hanno occasione di governare si tirano indietro.

Ce l’ha con i 5 stelle?
Hanno avuto le occasioni e si sono tirati indietro perché sono interni alle logiche inculcate dalla cultura neoliberista per cui l’alleanza è il male, la complessità della politica è il male.

Non dite sempre che nei grillini c’è un pezzo dell’elettorato della sinistra?
Quando uno è stato di sinistra poi, per odio disperazione o disprezzo, si riduce a non votare o votare 5 stelle, non è più una persona di sinistra. Non vuole più avere a che fare con la sinistra, perché è stato disgustato da anni di connubio fra sinistra e neoliberismo.

È un elettorato che date per perso?
Un elettorato difficilissimo da recuperare. Forse potremo farlo dopo che ci saremo dimostrati affidabili, coerenti e efficaci. Ma non abbiamo una pentola di monete d’oro, dobbiamo puntare a un elettorato misto: una parte dai 5 stelle, una parte dall’astensionismo, una parte di elettori Pd delusi che vedranno in noi un’alternativa credibile.

Farete un partito o un altro tipo di cosa?
Sì. Non serve tanta fatica per fondare un movimento, i movimenti nascono da soli. Poi non sarà un partito plumbeo e sovietico, ma sarà un principio d’ordine e non uno spazio politico. Che conviva con i movimenti, non pretenda di dettare la linea. Il neoliberismo ha trasformato le formazioni politiche in episodi che si manifestano in concomitanza delle elezioni. Noi siamo alternativi: dobbiamo essere all’altezza dei tempi ma non necessariamente ’adeguati’ a quello che i tempi chiedono, e cioè di essere informi, gelatinosi, per essere permeati dai poteri forti. Dobbiamo avere un lato di spontaneità, cioè di verità, cioè di necessità sociale. Lì comincia la politica, ma noi siamo tenuti a dare a quell’origine una prospettiva di permanenza e di durata.

Perché non avete fatto una coalizione, un soggetto plurale, che avrebbe consentito di tenere dentro chi non vuole sciogliere la sua organizzazione?
Perché sa cosa ci chiedono i nostri? Di non litigare. Saremo un partito ricco e plurale, ma dovremo parlare con una voce sola. Cercheremo una sintesi, una mediazione che tenga conto di tutte le opzioni e prospettive espresse. Ma la sinistra arcobaleno è stata già bocciata. Fra noi ci sono differenze importanti. Teoriche, analitiche. E tuttavia dico: in questa fase non devono impedire quest’avvio di strada comune. Anche fra Stalin e Trockij c’erano differenze, ma prima hanno vinto insieme la rivoluzione bolscevica.

Paragone funesto. Chi farà la parte di Trockij, che poi non fa una bella fine?
Mi offro di farlo io, nel paragone. Ma prima presentiamoci al voto con un volto unico, magari con diverse rughe di espressione.

 

il manifesto, 17 febbraio 2012

 

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