Azar Nafisi : i libri sono utili se mettono i lettori a disagio

15 Feb 2016

A vedere certe vecchie foto dell’Iran e quelle americane di oggi, la vita di Azar Nafisi sembra passata dalla notte al giorno. Forse è l’effetto del bianco e nero delle foto dei primi anni all’università a Teheran, con il bianco delle scritte a gesso sulla lavagna, nera, e il nero del velo a incorniciare il volto, chiaro; opposto alla vivacità a colori della nuova vita americana, radiosa negli scatti al matrimonio del figlio Dara (nel 2015, mentre la sorella si è sposata nel 2014). In una c’è anche Bryce, il cane di Dara: «Da piccola -dice Nafisi- ne avrei tanto voluto uno, ma mia madre era contro gli animali domestici». A Bryce hanno messo una cravatta blu, con puntini bianchi, come quella dello sposo, racconta via mail la scrittrice che vive a Washington, dove insegna alla John Hopkins University; ma con l’Iran, lasciato nel 1997, sempre nel cuore (ha anche una passione per l’Italia, dove è pubblicata da Adelphi: l’ultimo libro è “La Repubblica dell’Immaginazione”).

Su Twitter ha scritto che Washington con la neve le sembra Teheran.
«Vivo a Foggy Bottom, vicino al fiume Potomac. Ogni mattina mi sveglio e lo saluto, come a Teheran guardavo le montagne innevate: è il mio contatto emotivo con la città. All’inizio di quest’anno, guardando fuori dalla finestra, tutto era bianco, con strisce di luce e gli uccelli sul fiume ghiacciato. Mi sono tornati i ricordi delle giornate luminose di neve a Teheran, le passeggiate con un’amica d’infanzia, i racconti, i bignè con panna fresca, il sorbetto di ciliegia fatto da mia madre con la neve».

Oggi in Europa si discute del velo islamico. Lei fu espulsa dall’università nel 1981 per averlo rifiutato.
«Chiariamo: la mia protesta non era contro il velo in sé, ognuno può criticarlo o difenderlo, ma contro l’imposizione che viola i diritti delle donne. Deve essere una scelta personale, non dello Stato o di altre autorità. Comunque, 17 anni dopo quell’episodio ho lasciato il Paese perché non avevo modo di fare quello che amavo: insegnare letteratura. Mi sentivo esiliata nella terra dove sono nata. Così me ne sono andata, con mio marito, Bijan Naderi, che ho conosciuto nel movimento studentesco, e i due figli, Dara e Negar, nati durante la guerra Iran-Iraq».

A metà gennaio è entrato in vigore l’accordo tra Usa e Iran sul nucleare. Lei come lo giudica?
«Mi preoccupa la mancanza di strategia politica degli Stati Uniti. I negoziati possono creare le basi per un Iran più aperto, ma ciò non avverrà automaticamente. L’America doveva tenere il punto sulle atrocità che il regime commette. Tra i miei amici restati in Iran alcuni pensano che questo possa costringere Teheran ad essere più aperta, responsabile. Altri credono sia uno stratagemma dal regime per ottenere più soldi da utilizzare per un maggiore controllo sul popolo iraniano. Con Rouhani presidente non ci sono stati miglioramenti su diritti umani, numero di esecuzioni, torture, carcere, corruzione…».

A fine febbraio in Iran ci saranno nuove elezioni. Quali sono le sue previsioni?
«Il Consiglio dei Guardiani, che decide chi ammettere o no, ha invalidato le candidature delle opposizioni: che esito democratico possono avere?».

Qual è il suo orientamento per le presidenziali Usa?
«Voterò democratico. Ci sono buoni candidati, devo ancora decidere. Sono consapevole dei punti deboli di Hillary Clinton, ha una matrice troppo politica, ma è tosta, focalizzata sul lavoro; da sempre ha sostenuto i diritti delle donne e dei bambini».

In «Leggere Lolita a Teheran» lei usava i classici per «leggere» il suo Paese. Per gli Usa che titolo sceglie?
«Direi Le avventure di Huckleberry Finn , perché ancora ci turba. La destra, che vuole vietare Harry Potter nelle scuole perché promuoverebbe riti “satanici”, vuole censurare il libro di Twain per il linguaggio rozzo e la mancanza di rispetto verso la religione; la sinistra, invece, per la parola nigger, cioè perché il libro non è politicamente corretto. Entrambe si trovano disagio: il libro è pericoloso e offensivo. Bene! Come James Baldwin ci ricorda, scrittori e artisti non devono farci sentire al sicuro, devono “turbare la pace”, mettere in discussione non solo il mondo o quelli con cui non siamo d’accordo, ma pure le nostre supposizioni, i pregiudizi. La parola nigger in quel contesto è usata non per insultare gli schiavi, ma per esporre la crudeltà e la violenza della schiavitù. Se un libro a più di un secolo di distanza ancora ci turba, è perché rivela chiaramente, senza sentimentalismi, la natura atroce della schiavitù, e il fatto inquietante che possono essere razziste non solo le persone terribili, ma pure quelle gentili».

Il politicamente corretto non sembra compatibile con la grande letteratura.
«Il politicamente corretto non consente il dibattito e vuole eliminare i pregiudizi facendo appello alle emozioni. Si basa sul desiderio di trovare soluzioni facili per situazioni molto complesse, mentre la grande narrativa deve farci sentire in difficoltà. Prendiamo ‘Va’, metti una sentinell’a di Harper Lee, dove scopriamo che l’avvocato Atticus Finch, eroe del ‘Buio oltre la siepe’ , in realtà è un razzista. Non può esserlo uno che lotta per la giustizia? È così che Harper Lee ci mostra i paradossi, le contraddizioni dell’animo umano».

A volte si cade nel vizio opposto: il politicamente scorretto ad ogni costo.
«Non confonderei il piano letterario con quello del potere. Prendiamo Donald Trump: rappresenta la denigrazione della fantasia e delle idee, mostra come l’arroganza affondi le sue radici nell’ignoranza. Lui è il lato commerciale dell’America, che ama solo la celebrità, la negazione della storia, la realtà sostituita con le illusioni».

A proposito di celebrità, lei ha postato su Facebook una foto con David Bowie.
«È stato un bellissimo incontro. Volevo parlargli delle sue canzoni, ma avevo paura di fare troppo la fan… Lo immaginavo cool e pieno di charme, in un modo unico e ultraterreno, come il ‘Piccolo principe’. E lui è realmente così! La mia canzone preferita è Changes , soprattutto quando dice “Mi sono voltato verso di me”: mi affascina l’idea dello straniero che vediamo allo specchio, che ci conosce e sbeffeggia».

Lei è celebre per libri autobiografici e di immaginario letterario. A quando un’opera di pura fiction?
«Non so, deve venire naturale. Finché non ne realizzerò una, non sarò soddisfatta».
Una biografia che le piacerebbe scrivere?
«Sono sempre stata affascinata da scrittori classici di cui si sa poco, come il grande poeta epico persiano Ferdowsi. O, tra i moderni, Alam Taj, una poetessa che non ha mai pubblicato poesie, ma le nascondeva nei libri che leggeva. E faceva la casalinga».

 

Nota. La scrittrice iraniana Azar Nafisi, nata nel 1955, ha studiato da giovane in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Tornata in patria nel 1979, ha insegnato a lungo all’università, mettendosi in urto con le autorità di Teheran

Negli anni Novanta Azar Nafisi ha lasciato l’Iran per trasferirsi negli Usa, dove insegna alla Johns Hopkins University. Il suo libro più noto è “Leggere Lolita a Teheran”, edito da Adelphi nel 2004

Il Corriere della Sera, 14 febbraio 2016

 

 

 

 

 

 

 

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