INTELLETTUALI, RIFORME E RESPONSABILITA’

10 Feb 2016

Ho riascoltato più volte il dialogo di Lilli Gruber e Silvia Truzzi con lo scrittore Claudio Magris ad Otto e mezzo. Ho riascoltato con attenzione alcuni passaggi per essere sicura di aver capito. Claudio Magris dice che è ora di finirla con questa storia degli intellettuali, categoria che non esiste, ed argomenta sostenendo che essere intellettuale significa avere la “capacità di vivere criticamente la propria posizione e di collocarla nel mondo”, sottolineando che il senso critico non è  patrimonio a priori di una categoria. Di conseguenza – continua a spiegare lo scrittore, invitato in trasmissione per la presentazione del suo ultimo romanzo, “Non luogo a procedere” – un letterato che è tutto preso dal meccanismo della pubblicazione dei suoi libri, dalle recensioni, dalla pubblicità, non è un intellettuale e può essere paragonato all’operaio straordinariamente rappresentato da Chaplin in Tempi moderni. Il gesto coatto è ciò che li accomuna.

Rabbrividisco. E tanto più rabbrividisco quanto più amo questo scrittore. Non perché io non condivida la tesi che il senso critico non possa a priori essere attribuito ad una categoria piuttosto che ad un’altra: se non credessi fermamente nell’importanza dell’ascolto di tutte le persone, dell’attenzione nei confronti delle diverse esperienze e della saggezza da esse derivante, sarei una cattiva insegnante. Il problema è, banalmente, che le voci che esprimono le molteplici forme di coscienza e analisi critica non trovano spazio in televisione o nei giornali; né può essere considerato ascolto il sondaggio, forma riduttiva, in cui la ricchezza del confronto è cancellata e l’interlocutore sfruttato, appiattito e senza volto, si tratti del mercato dei cosmetici o di quello della politica.

Dunque è senz’altro vero che essere intellettuale, nel senso più ampio e profondo del termine, significa avere la “capacità di vivere criticamente la propria posizione”, ma fino a che la possibilità di comunicare con il grande pubblico sarà riservata a pochi nomi famosi, tali o per autentiche qualità unanimemente riconosciute, come nel caso del nostro scrittore, o per  costruzione del potere mediatico, o per gli strani casi del destino, la responsabilità delle parole non sarà eguale e la categoria degli intellettuali, così definita e percepita dai più, non potrà nascondersi dietro un’ingannevole, per quanto piacevole, umiltà “democratica”.

E vengo al punto che mi ha più scosso di quell’intervista: il voto sulla riforma costituzionale. Con onestà Claudio Magris dice di non saperne molto, pur ricordando di essere stato senatore; però è appunto a lui che Lilli Gruber chiede come voterà, non certamente a chi ha studiato a fondo la riforma. Lo scrittore osserva che la riforma è stata fatta in fretta, pur non essendo una priorità, accenna al fatto che il bicameralismo è stato una garanzia democratica, ma … voterà a favore (probabilmente). Perché? Perché si risparmierà tempo. Questa la sola motivazione espressa.  Chiedo agli intellettuali, “che pur esistono”, chiedo con il massimo rispetto, se lo scavo nell’inferno del passato dia ancora loro la capacità di scorgere nel presente inquietante in cui vivono i segni del futuro che ci attende e la libertà di esprimere un pensiero critico.

(*) Circolo di Libertà e Giustizia di Venezia

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