Le antitesi di Gallino

08 Gen 2016

Il nostro Presidente, Alberto Vannucci, ci ricorda che Libertà e Giustizia non è un’associazione politica, ma un’associazione di cultura politica. Che vuol dire anche, e forse in primo luogo, capacità di riflessione critica. A volte un articolo può essere illuminante anche quando non se ne condividono le assunzioni e le tesi: perché mostra quali sono i concetti, quali i pensieri di cui si nutrono molti di noi o dei nostri compagni di strada nell’impegno di cittadinanza che ci unisce. E’ il caso, ad esempio, dell’articolo di Antonio Bevere, ripreso sul sito di Libertà e Giustizia da “Il Manifesto” del 12 dicembre 2015, che recensisce l’ultimo libro di Luciano Gallino (Il denaro, il debito, la doppia crisi spiegata ai nostri nipoti). Esso sintetizza utilmente in sei punti le tesi (le “incontrastate verità”, espressione naturalmente ironica) che vengono attribuite al “pensiero unico” o al “neoliberismo”:  “le classi sociali non esistono più; la funzione dei sindacati, residui ottocenteschi, si è esaurita; la perenne emergenza ci rende tutti uguali; licenziare crea posti di lavoro e benessere; il privato è più efficiente del pubblico in ogni settore (energia, acqua, trasporti, scuola, sanità); il mercato, libero da intralci burocratici, fa circolare e crescere capitale e lavoro”. A queste si aggiunge una tesi indubbiamente a prima vista molto convincente: la logica del profitto è quella di uno sfruttamento sempre più indiscriminato delle risorse naturali. Quella che segue è una riflessione critica su queste tesi. Se esista il massiccio, compatto “pensiero unico”, se sia ben espresso dalle tesi galliniane, non è ai miei scopi immediatamente rilevante. Mi interessano le sottese anti-tesi di Gallino e seguaci. Nella formulazione attuale, esse mal si prestano a una critica o una difesa, per la loro impressionante genericità, che minaccia di trascinare con sé il difensore più zelante, e il critico più feroce.  Ci tenterò ugualmente.

1. Esistono ancora le classi sociali? Tutto dipende da come si definiscono. Fece scandalo, e lasciò molti costernati, una ricerca di Paolo Sylos Labini sull’Italia del 1975, dalla quale risultò che il gruppo occupazionale prevalente era costituito dagli impiegati, non dai contadini o dai lavoratori industriali. Il più grande datore di lavoro del Lazio, notò Vittorio Foa una trentina danni fa, è il Comune di Roma… Per altro verso, i proletari non sono mai esistiti in Italia, dato che molti lavoratori industriali (ad esempio tessili) conservarono la proprietà della terra e gli orari di fabbrica erano fissati in modo da tenerne conto. Attualmente in Italia la gente vive al 90% circa in abitazioni di sua proprietà. Non solo non ci sono proletari, ma nessuno desidera esserlo!

2. “La funzione dei sindacati…è esaurita”? Fin tanto che ci siano da negoziare dei contratti collettivi di lavoro, non sarà esaurita. Ma i sindacati italiani, e soprattutto la CGIL, non hanno da tempo molta voglia di fare questo. Hanno scoperto che una controparte pubblica è più cedevole di una privata. Sono diventati statalisti e protezionisti all’eccesso. Preferivano, e tuttora preferirebbero, la concertazione, dalla quale Renzi li ha sloggiati. E come dimenticare che in occasione dei tentativi di privatizzazione dell’Alitalia, hanno dato man forte alla demagogia di Berlusconi invece che alla serietà di Prodi e Padoa Schioppa?

3. “La perenne emergenza”… è un pretesto per sfuggire al regime della legge. Non ci rende tutti uguali, ci riporta allo stato di  natura e se ne avvantaggiano profittatori vari.

4. “Licenziare crea posti di lavoro e benessere.” Non licenziare, ma la possibilità di farlo è una condizione necessaria per il buon funzionamento del mercato del lavoro. Un posto a vita non è più un sogno realizzabile. L’occupazione non si mantiene con una difesa dello status quo occupazionale e produttivo (ad esempio per decenni dell’Alitalia, in pesante perdita a carico dello Stato.) L’alternativa, elaborata in sede teorica dagli economisti e sperimentata nella pratica di diversi paesi, è garantire un reddito ai disoccupati e le loro famiglie mediante misure universalistiche che riguardino i lavoratori delle piccole e non solo delle grandi imprese. IL contrario delle pratiche degli scorsi decenni, favorite dai sindacati perché esaltavano la loro capacità di negoziare con il governo invece che con le aziende. Vi deve poi essere una seria politica di riaddestramento professionale, che in molti paesi europei funziona ma in Italia si è risolta principalmente in spaventose frodi a carico di fondi

regionali, nazionali, europei, organizzate e gestite con grande successo elettorale e partecipazione di pubblico da politici e sindacalisti.

5. “Il privato è più efficiente del pubblico in ogni settore”. Forse sì, ma il dramma è che il privato ha bisogno del pubblico. Come contro-parte dei sindacati in una trattativa, il pubblico è di solito più cedevole, perché suscettibile di influenze politiche. Le influenze politiche possono peraltro condizionare anche delle trattative private. Basti ricordare l’impressionante racconto di Romano Prodi (nel suo ultimo libro Missione incompiuta) sui suoi tentativi come presidente dell´IRI di vendere l’Alfa Romeo alla Ford: TUTTA ITALIA, dai sindacati ai partiti ai parlamentari ai sindaci ai vescovi si schierò per la vendita alla Fiat. E così avvenne.

L’altro problema è che nei paesi europei, in quanto distinti dagli Stati Uniti, circa il 50% del Pil consiste di beni e servizi erogati dalle amministrazioni pubbliche. Dunque bisogna rendere efficienti le amministrazioni pubbliche, che a differenza delle imprese private non sono naturalmente in concorrenza e se non funzionano non falliscono: introdurre il merito, le valutazioni dei risultati, ecc. Pensiamo ad esempio alla fiera opposizione di alcuni sindacati di insegnanti ai test PISA…Questo è un problema gigantesco, sul quale al momento le idee non abbondano.

6. “Il mercato, libero da intralci burocratici, fa circolare e crescere capitale e lavoro.” Questo è intrinsecamente sbagliato perché il mercato è in sé una costruzione legale. Nello stato di natura hobbesiano non c´è Stato (per ipotesi) e neppure mercato. Bisogna poi vedere caso per caso se determinati gruppi di transazioni sono ben regolati e vigilati o no. Ad esempio, la vigilanza bancaria non è stata esercitata con sufficiente incisività in Italia negli ultimi anni ( e forse neanche prima…)

C’è poi la questione che a volte il mondo politico non può soffrire delle autorità di regolazione indipendenti e tende a ridurne l´operatività. A volte i loro capi sono nominati da partiti e /o governi specificamene per non dare fastidio ai potenti, ossia per ridurre la concorrenza, senza la quale il mercato non è efficiente.

Vi è poi la questione se non nel mondo in generale, ma in Italia le varie burocrazie pubbliche non siano particolarmente inefficienti. E le varie classiche internazionali ci dicono che ahime´ è così…

7. “La logica del profitto porta a uno sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali”. Ma Gallino e i suoi seguaci non chiariscono cosa sia “la logica del profitto” e temo la confondessero con pura avidità, e questa con la rapacità. Non solo Max Weber, ma anche Marx hanno insegnato che il capitalismo NON è (pura) avidità.

Le risorse naturali, il patrimonio ambientale, sono in grande misura beni pubblici, nella produzione e conservazione dei quali la teoria economica suggerisce che il mercato NON è efficiente.   Ma l’avidità privata può impedire che si adottino misure pubbliche di tutela. E’ qui che si vede la serietà di un popolo e la sua democraticità. Il desiderio della gente di arricchirsi a spese altrui non fa parte della “logica del profitto”, essendo un istinto più primitivo e pervasivo, che si manifesta politicamente ad esempio nelle politica ambientale e urbanistica delle amministrazioni locali. Si sarebbe portati a pensare che siano tutti i liguri che hanno ridotto la Liguria ad un’unica fascia di cemento, non il capitalismo. Forse questa è un´illusione ottica: sono probabilmente piccole cricche affaristiche che hanno in pugno le amministrazioni comunali: in Liguria, in Toscana, dappertutto. Bisogna ricostruire la democrazia locale.

D’altra parte, il socialismo sovietico, che respingeva il motivo del profitto individuale, ma esaltava e perseguiva “lo sviluppo delle forze produttive”, ci ha regalato alcune delle più immani catastrofi ambientali: basti pensare al mortifero semi-prosciugamento del MARE di ARAL!

 

(*) Giacomo Costa, a lungo ordinario di economia monetaria e creditizia all’Università di Pisa, è economista, saggista e socio di Libertà e Giustizia.

 

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