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23 Dic 2015

La scomparsa di Licio Gelli coincide per caso con lo scoppio dello scandalo della Banca Etruria. C’è una strana somiglianza tra il crack del Banco Ambrosiano e quello della Banca Etruria. I finanziamenti elargiti secondo considerazioni clientelari hanno affossato entrambe le banche. Mettiamo a fuoco un fenomeno non solo italiano: il conflitto d’interessi. Chi è in conflitto d’interessi? C’è un conflitto d’interessi deleterio per la collettività quando una persona, che ricopre un’alta responsabilità pubblica o privata e che richiede imparzialità, favorisce nell’esercizio di tale responsabilità il proprio tornaconto e la propria rete di relazioni. Oggi 12’000 cittadini italiani hanno perso 470 milioni di euro di risparmi. Sono andati in fumo a causa di sprechi, favoritismi e di consulenze milionarie di dubbia utilità elargite agli amici degli amici.

Cos’è successo ad Arezzo? Franco Bechis su Libero Quotidiano d’inizio dicembre così descrive la situazione della Banca Etruria: “[…] La raccolta diretta della banca? Scesa in un anno da 12,3 a 8,3 miliardi di euro, con una riduzione del 33%. […] Il conto economico? Disastroso. […] Il risultato di esercizio passa da una perdita di 81,2 a una di 526 milioni di euro. Tutta questa è la differenza fra i conti 2013 e quelli al 31 dicembre 2014 della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio.  Uno li guarda come accade dopo un terremoto, e pensa: qui sono passati Attila e gli Unni. Invece erano passati solo Lorenzo Rosi presidente e Pier Luigi Boschi (il padre di Maria Elena) vicepresidente. Il loro unico bilancio (anche se prima entrambi condividevano la responsabilità di quelli precedenti essendo stati per anni consiglieri di amministrazione, poi membri del comitato esecutivo, poi ai massimi vertici) da leader è quello che ha dato il colpo di grazia a una delle dieci più importanti banche popolari italiane.”

Le cifre riportate da Bechis sono presenti in un rapporto dei commissari della banca depositato al registro delle Camere di commercio con il titolo «Relazione sulla situazione patrimoniale ed economica al 31 dicembre 2014». La Banca dell’Etruria è stata commissariata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con Decreto n. 45 del 10 febbraio 2015, su proposta dalla Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 70, comma 1, lett. B) e dell’art. 98 del Testo Unico Bancario. La proposta di amministrazione straordinaria è stata formulata in seguito ai risultati degli accertamenti ispettivi della Banca d’Italia che hanno fatto emergere gravi perdite del patrimonio dovute alle consistenti rettifiche sul portafoglio crediti (un passivo di 526 milioni di euro e in crediti deteriorati per 2,8 miliardi di euro). E’ una situazione di quelle classiche che aprono le porte alle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori da parte dei creditori sociali, come prevede il codice civile.

Tuttavia, l’azione di responsabilità oggi è preclusa ai creditori sociali per via del Decreto Legge n. 183 approvato il 22 novembre 2015. Con tale decreto il Consiglio dei ministri, su proposta della Banca d’Italia, ha inoltre disposto la risoluzione dell’istituto come da normativa BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) recepita, appena sei giorni prima, con il Decreto Legislativo 180/2015 del 16 novembre. Quest’ultimo decreto prevede, quale strumento per l’assorbimento delle perdite, il ricorso all’azzeramento totale del valore degli strumenti d’investimento più rischiosi, le azioni e le obbligazioni subordinate, entrambe forme d’investimento esposte, per loro natura, al rischio d’impresa e quindi non garantite. Il cerino della pessima gestione resta in mano ai risparmiatori e la pessima gestione della banca resta impunita.

Antonio Di Pietro in un’intervista di Giorgio Velardi apparsa su Il Fatto Quotidiano del 18 dicembre punta il dito contro le responsabilità della Consob e della Banca d’Italia.  “È innegabile che ci sia stata un’omissione di atti d’ufficio”. Poi un consiglio ai magistrati: “Devono evitare che le prove vengano inquinate. In casi come questo gli inquirenti trovano quello che vogliono fargli trovare”. Il conflitto d’interessi? “Se c’è riguarda tutti, non solo una singola ministra”. Addirittura “è l’intero governo che va sfiduciato”. Antonio Di Pietro, ex componente del pool di Mani Pulite ed ex leader dell’Italia dei valori (Idv), due volte ministro, commenta così la vicenda appena descritta. “Oggi è come ai tempi di Tangentopoli?” – gli chiede Velardi. Di Pietro: “È peggio di prima perché ciò che un tempo poteva essere perseguito sul piano tecnico-giudiziario ora non lo è: si è ingegnerizzato il sistema della tangente. In certi casi è diventato legale ciò che una volta non lo era. Infine, è intervenuto uno scoramento dell’opinione pubblica a cui si è fatto credere che spesso le colpe sono di chi ha scoperto il reato, non di chi lo ha commesso.”

 

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