Il ruolo della cultura contro un presente povero. Chi sono gli eredi dei grandi del Novecento?

07 Dic 2015

Sulla prima pagina del libro, un testamento, uscito quasi contemporaneamente alla sua morte, l’8 novembre, Luciano Gallino, il grande intellettuale (l’Olivetti, l’Einaudi, l’Università) ha scritto una frase desolatamente amara: «Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza e quella di pensiero critico. Ad aggravare queste perdite si è aggiunta, come se non bastasse, la vittoria della stupidità». (Da: Il denaro, il debito e la doppia crisi. Spiegati ai nostri nipoti, Einaudi).

Basta leggere le cronache quotidiane per dargli ragione. I 500 euro regalati ai diciottenni, a tutti – non era questa l’idea di uguaglianza di Gallino – da spendere in attività culturali «per rispondere al terrore» sono un segno. Il comandante Lauro, negli anni Cinquanta del ’900, se non altro, regalava una scarpa agli elettori napoletani prima del voto e l’altra dopo, se le elezioni avevano avuto successo per lui. La garanzia.
Manca ora evidentemente una conoscenza della società. Vada a chiederlo, il presidente del Consiglio, ai ragazzi di Africo, di Pachino, di Porto Tolle, di Gravina di Puglia, se spenderanno quei soldi per andare a teatro, nei musei, a comprar libri o li spenderanno piuttosto per vivere. E si informi nelle città affluenti, a Milano, a Torino, a Campione d’Italia per capire se i ragazzi beneficati non sprecheranno piuttosto quei soldi in discoteca o a comprar capi di griffe famose.
E poi: il ministro del Lavoro Poletti ha proposto «contratti di lavoro che non abbiano più come misura unica di riferimento l’ora di lavoro». Non ha memoria il ministro delle battaglie contadine e operaie lunghe un secolo, dei conflitti anche sanguinosi, o almeno delle canzoni di protesta nate da quelle lotte? ( «Se otto ore vi sembran poche»). Poletti — nella giovinezza non deve esser stato troppo chino sulle sudate carte — ha anche invitato i giovani a far presto, a non perder tempo all’università che «non serve a un fico».
È dolorosamente chiaro che il livello della classe dirigente nazionale, alta e bassa, non sta attraversando il suo tempo migliore. In un difficile mondo in trasformazione epocale non è facile comprendere i modi dell’agire per costruire un futuro dignitoso.
Il Novecento è stato un secolo tragico, tra due guerre mondiali, la Shoah, i Gulag, la bomba atomica, ma non mancarono gli uomini che seppero esprimere energie e competenze oggi, sembra di capire, disprezzate come un inciampo. Se si pensa che ministro della Pubblica Istruzione fu (nel 1920-’21) Benedetto Croce, di nuovo ministro nel ‘43-‘44, si capisce la povertà intellettuale del presente. Pare che non siano molti gli eredi dei grandi uomini del passato novecentesco: Luigi Einaudi, Raffaele Mattioli, Adriano Olivetti, Enrico Fermi, Gramsci, Gobetti, Leone Ginzburg, Contini, Dionisotti, Montale, Gadda, Volponi, Giulio Natta, Calamandrei, Garin. E con loro i 14 professori universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo e persero la cattedra.
La cultura è, o dovrebbe essere, il nocciolo di una società. Qui da noi, invece, è la cenerentola, all’ultimo gradino tra i paesi dell’Ocse nella spesa per l’istruzione. I musei, le biblioteche, gli archivi non navigano in buone acque. L’università sta cercando di recuperare le carenze create da leggi sbagliate che l’hanno privata di indispensabili risorse, la riforma della scuola non è stata per nulla condivisa da ampi strati sociali, professori, famiglie.
Che cosa leggono, ad esempio, i giovani? Come si informano le nuove generazioni? Raffaele Fiengo che insegna Linguaggio giornalistico all’Università di Padova, nel corso di laurea in comunicazione, ha fatto fare su questo tema un’esercitazione ai suoi studenti.
Che cosa risulta? Internet la fa da padrona, i quotidiani online prevalgono su quelli di carta, si salvano pochi programmi televisivi. I compagni si intervistano tra loro e ne esce un panorama interessante. Secondo Alessandra, i giovani di oggi sono sempre di più i figli dei social network e non prendono neppure in considerazione l’informazione tradizionale. Margherita guarda la Tv e ascolta la radio. Se le interessa qualche argomento cerca l’articolo su Internet. Giulio non legge quotidiani di carta o online, usa il web, la tv, la radio. Ilaria continua a preferire la carta stampata, giudica poco affidabile soprattutto Facebook. Giuseppe si serve dell’informazione online, veloce e gratuita. Stefania non compra quotidiani, ma se li trova al bar li sfoglia. Niccolò crede nella carta stampata. I quotidiani online? «Notiziole per chi non ha voglia di approfondire». Erica adopera Google, ma le piacciono quotidiani e settimanali di attualità e cerca di imparare le tecniche dei giornalisti che stima.
E i libri? Pochi. Umberto Eco, Italo Calvino ( Palomar ), Dostoevskij ( L’idiota ), qualche altro. Le madri, tra smartphone, tablet e palmari, non devono più andare a spegnere la luce nelle camere dei figli che una volta leggevano fino a notte alta.

Il Corriere della Sera, 3 dicembre 2015

 

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