La società civile è innocente? di Massimo Marnetto

27 Nov 2015

Massimo Marnetto

Incontro con il Presidente di LeG, Alberto Vannucci e l’antropologa Amalia Signorelli (Consiglio di Presidenza)

Quando votiamo, deleghiamo ai nostri rappresentanti un potere di decisione, che è la base della democrazia. Ma cos’è che non possiamo delegare? Qual è l’attività che dobbiamo comunque svolgere in prima persona come cittadini anche dopo il voto?

Con questa domanda si è avviato l’interessante incontro “La società civile è innocente?”, organizzato da Libertà e Giustizia di Roma, con la presenza di Alberto Vannucci, presidente di LeG nazionale. Un modo per guardarci allo specchio come cittadini attivi e prenderci al nostra quota di responsabilità per il degrado della politica e la scarsa qualità – salvo poche eccezioni – della classe politica attuale.
Molti di noi – è stata la riflessione introduttiva – potrebbero tranquillamente vivere sotto una dittatura, perché non usano le libertà costituzionali della democrazia. Non partecipano, non esprimono il loro dissenso, non si riuniscono per discutere, non reagiscono alla disuguaglianza, sono indifferenti alla ingiustizia sociale. E in molti, sempre di più, persino non votano, rinunciando ad un diritto costato lotte e sangue.
Così, la comoda poltrona del cittadino spettatore passivo, legittima le poltrone arroganti del potere. La mancanza di controllo sociale, si trasforma lentamente nella irresponsabilità della politica. La vergogna per l’illecito disvelato non si attiva per mancanza di indignazione pubblica; lo scandalo scatena solo la rabbia pigra del mugugno tra amici, ma senza esporsi, non si sa mai. Ne consegue che la sovranità popolare si svuota per carenza di vigilanza democratica “indelegabile”. La qualità della classe politica deperisce senza un volontariato di attenzione diffuso, cioè tempo dedicato ad informarsi, per esprimere la parola pubblica civile, chiara e forte.
“Invece, da anni il cittadino viene educato alla passività televisiva – esordisce Vannucci – gli si propina un “racconto”, per sollecitare le sue emozioni e annichilire la capacità critica. Gli si dice di stare a casa, nella sua poltrona e di non pensare ad altro se non ai fatti suoi, perché alla gestione della cosa pubblica ci pensano i professionisti. Gli si dice che può lavorare in nero ed evadere le tasse, ma senza esagerare, perché può contare sulla comprensione di chi dovrebbe far rispettare la legalità. Ma poi gli si chiede di contraccambiare non pretendendo “dignità e onore” da chi lo accontenta.
“Davigo – continua Vannucci –  racconta che tra le sue prime indagini per corruzione, si trovò di fronte a un giovane coetaneo, anche lui laureato in giurisprudenza e pubblico funzionario, al quale chiese il perché avesse rinunciato alla sua correttezza così presto. E la risposta del giovane imputato fu che rifiutandosi, sarebbe stato emarginato da tutti gli altri corrotti del suo ufficio. Questo dimostra la solitudine alla quale spesso devono resistere gli onesti, ma che non può essere la condizione normale di chi si rifiuta di delinquere. Ecco perché occorrono, come le chiama Pizzorno, le “cerchie di riconoscimento sociale”, cioè gruppi, associazioni, dove ci si sostiene a vicenda per esprimere i valori di correttezza in cui si crede. Quelle stesse formazioni civili intermedie, che Tocqueville poneva alla base della democrazia”.
In settima fila ad ascoltare c’è Amalia Signorelli, antropologa e parte del Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia. Quando tutti la invitano a parlare, lo fa con la sua consueta generosità.
“Il voto di scambio – dice – si fonda sulla patologia familistica, che porta molti a giustificare tutto, purché se ne avvantaggi la famiglia. Così si scambia il voto per il favore, ma soprattutto l’astensione dalla vigilanza sociale sulla corruzione, in cambio della illegalità tollerata, come lavoro nero ed evasione fiscale. Insomma, non è vero che il familismo amorale sia una tradizione, ma è vero che permane perché ha una sua funzione: lo scambio, appunto. Chi ci rimette siamo tutti noi, perché si usura la fiducia sociale, l’uguaglianza e il senso di giustizia.
“Pensate che il senso di giustizia è la prima precoce esigenza di ogni individuo. I bambini soffrono più di ogni altra cosa la punizione ingiusta o la preferenza che un genitore o un maestro accorda ad altri bambini. E’ in questa fase che si modula il nostro rapporto con l’autorità. Se si perde fiducia nella tutela della giustizia, subentra l’opportunismo di sopravvivenza e questo deteriora il “capitale sociale” di un’intera nazione.
“Quando da giovane antropologa feci un’indagine sugli italiani emigrati in Germania, mi aspettavo che reagissero alle evidenti manifestazioni di razzismo che in quegli anni i tedeschi rivolgevano contro i nostri connazionali. Invece, scoprii con sorpresa che lo tolleravano, perché soddisfatti dalla giustizia del trattamento sul lavoro. Nessun favoritismo e lealtà dei patti, senza “baciare le mani” a nessuno.
Gli applausi alla Signorelli, ci portano alla fase finale dell’incontro, dove conferiamo il Riconoscimento Civile di Libertà e Giustizia di Roma dedicato come ogni anno alla nostra cara Fausta Deshormes La Valle, a favore di chi abbia con la sua vita testimoniato i valori della Costituzione. Raniero La Valle, fratello di Fausta, ci fa il regalo di consegnare la targa all’Avvocato Salvatore Fachile, “perché – scandisce ad voce chiara  il Presidente Vannucci –   presta ai rifugiati un’assistenza legale estesa anche all’integrazione, realizzando così, con professionalità ed umanità,il dovere inderogabile di solidarietà previsto nella Costituzione”Un bell’esempio – nella sua quotidianità – di cosa vuol dire essere società civile.
(*) Massimo Marnetto coordina il Circolo di Roma

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