Che cosa è l’Isis

15 Nov 2015

Sono ormai convinto da tempo che l’ISIS/IS/DAESH rappresenti nell’ambito del Medio Oriente di oggi ciò che il nazismo ha rappresentato nell’Europa del secolo scorso. DAESH e il radicalismo islamico sunnita ad esso collegato sono cioè un fenomeno di mutazione maligna di un’ideologia che si poteva condividere, condividere in parte o non condividere affatto, con cui si poteva simpatizzare o meno, ma che aveva una sua legittimità. Una legittimità che – voglio dirlo con la massima enfasi possibile – è andata completamente e irrimediabilmente perduta nel momento in cui è avvenuta la mutazione maligna di cui sto parlando.

Così come alle origini del malessere tedesco, su cui venne costruito il successo nazista, c’erano motivazioni concrete, che bene spiegavano questo malessere (la pace leonina imposta alla Germania, inclusiva dell’obbligo di pagare debiti di guerra tanto eccessivi che non potevano essere pagati, e che non furono pagati, ma che scardinarono l’economia e la società tedesche), all’origine dell’ascesa di DAESH ci sono delle oggettive ragioni di malessere, in cui l’Europa ha avuto (e ha tutt’ora) responsabilità pesanti.

Ma, una volta detto questo, la conclusione inevitabile è che, qualsiasi siano state le ragioni di malessere, qualsiasi siano state le responsabilità degli attori esterni, DAESH, esattamente come il nazismo, rappresenta il male assoluto. Come tale va combattuto senza se e senza ma, fino al suo completo annientamento politico e militare.

A questo punto è infatti chiaro che l’Europa è in guerra con un nemico che ha la volontà e la capacità di colpire in maniera devastante. Quello di Parigi è chiaramente un attacco coordinato, che, per essere preparato e portato a termine, ha indubbiamente richiesto una preparazione complessa. Nell’attacco non c’è stato nulla di improvvisato e, evidentemente, i servizi di sicurezza francesi sono stati ingannati e ridicolizzati. In altre parole, gli apparati di sicurezza di una delle maggiori potenze europee hanno subìto una sconfitta clamorosa.

Parigi, inoltre, è, chiaramente, il primo passo di un attacco al cuore dell’Europa. Non credo che ci sia bisogno di un esperto di terrorismo e di “guerra delle ombre” per ipotizzare che la Roma del Giubileo è un probabile prossimo bersaglio.

Come reagire a questo attacco? Le cose da fare e le misure da prendere, non solo a livello di intelligence e di controterrorismo, ma a livello politico e sociale sono molte. E bisogna farle mantenendo intatto il quadro democratico (come, in definitiva, venne fatto al tempo della lotta contra le Brigate Rosse). Rimane tuttavia un dato fondamentale, che non bisogna perdere di vista. Questo è che il cuore e il cervello di DAESH si trovano nello spazio geografico a cavallo fra Siria e Iraq. È quello il punto in cui bisogna colpire: eliminato cuore e cervello, anche i tentacoli della piovra moriranno, se pure, forse, non subito.

Anche per quanto riguarda la lotta ad oltranza contro DAESH, ritengo che valga l’esempio della lotta contro il nazismo. Il fronte contro DAESH deve includere tutti i suoi nemici, compresi quelli che ci piacciono poco o non ci piacciono proprio. Come ho già detto in passato, se Churchill avesse fatto fini distinzioni democratiche sulla Russia di Stalin e scelto di combattere in contemporanea il nazismo e il comunismo, in Europa la seconda guerra mondiale l’avrebbe vinta con ogni probabilità Hitler (o Stalin da solo, il che sarebbe stato solo marginalmente meglio).

Detto questo, come intellettuali, dobbiamo essere pronti a contrastare un’operazione che sarà certamente fatta e che, di fatto, è già in corso. Questa si identifica con il tentativo di fare di ogni erba un fascio. Non mi riferisco (solo) al tentativo di sfruttare i fatti di Parigi come munizioni per sparare contro l’accoglienza agli immigranti; mi riferisco al tentativo di assimilare a DAESH forze politiche che con esso non centrano niente o che, in certi casi, ad esso sono attivamente ostili.

DAESH non è l’islàm (neppure il solo l’islàm sunnita);

DAESH ha finora ucciso soprattutto arabi e musulmani;

DAESH è stato finora combattuto sul terreno soprattutto dai Curdi che, guarda caso, sono musulmani sunniti, proprio come i seguaci di DAESH;

DAESH non ha nulla a che fare con l’Iran (che lo combatte attivamente);

DAESH non coincide con Hizballah (che, di nuovo, lo combatte attivamente);

DAESH non coincide né con l’ANP, né con Hamas (che, con esso, non hanno nulla a che fare);

Può darsi che ci siano cellule di DAESH attive nei territori palestinesi (così come ce ne sono in Europa); ma, di nuovo, la cosiddetta intifada dei coltelli non ha nulla a che vedere con DAESH.

Queste sono tutte cose che non sono chiare all’opinione pubblica italiana nel suo complesso. Sia per la mancanza di conoscenza sulle cose del Medio Oriente, sia perché ci sono forze organizzate che sono attivamente impegnate in una campagna di disinformazione, volta appunto a mettere nello stesso sacco DAESH, immigranti, palestinesi, Hizballah, Iran (è appena uscito un libro di Fiamma Nirestein che, a giudicare dal titolo, mette nello stesso letto DAESH e Iran o, come si dice appunto nel titolo, il Califfo e l’Ayatollah ).

In tutta sincerità, ritengo che, in quanto intellettuali preoccupati di valori quali la democrazia, la libertà e la laicità o, semplicemente, in quanto persone non totalmente ignoranti e dotate di un minimo di buon senso, sia una nostra precisa responsabilità cercare di contrastare tale campagna che, in ultima analisi, fa solo il gioco dell’estremismo islamico incarnato da DAESH.

(*) Professore ordinario di Storia dell’Asia dell’Università di Torino

Fondatore e animatore di Apriti_Sesamo, lista di informazione sul Medio Oriente

 

 

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