MAGISTRATURA E POLITICA. DIVISIONE DEI POTERI E PROBLEMI DI LEGITTIMAZIONE, di Ferdinando Centorrino

09 Nov 2015

I giudici sono tentati dalla politica. Anzi, sono sedotti dal richiamo della politica al punto da dismettere la toga – seppure a termine – ed occupare gli scranni di organi politici e di autority a vari livelli.

 

I giudici sono tentati dalla politica. Anzi, sono sedotti dal richiamo della politica al punto da dismettere la toga – seppure a termine – ed occupare gli scranni di organi politici e di autority a vari livelli. E’ una prassi ammissibile, alla luce della separazione dei poteri sancita dalla Costituzione e di valutazioni di opportunità?

Questa la questione posta al centro dell’incontro organizzato il 4 novembre dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Messina in collaborazione con il locale circolo di LeG, che ha suscitato la partecipazione di una folta rappresentanza di studenti e di numerosi soci del circolo.

Ne hanno parlato in forma dialogica Ernesto Morici, socio di LeG-Messina e “già giudice in Sicilia, Calabria e Toscana” (come recita la locandina) e Rosaria Brancato, giornalista della testata web Tempostretto, dopo le sintetiche relazioni introduttive dei proff. Luigi D’Andrea e Antonio Ruggeri, ordinari di diritto costituzionale dell’ateneo peloritano.

Mentre non si è spenta l’eco di scontri aspri e mai edificanti tra politica e magistratura, a partire dai tempi di Tangentopoli, rialimentata dai toni del recente congresso di ANM di Bari, l’attualità segnala la presenza in vari organi politici o para-politici di una ventina di magistrati. E la confusione dei ruoli, per così dire, indotta dalla disponibilità e talvolta dall’ambizione di magistrati ad intraprendere la carriera politica e, di converso, dalla cooptazione di magistrati in ruoli politici operata dai partiti, mette in crisi il principio costituzionale della separazione dei poteri e produce altre non secondarie questioni di livello costituzionale: come conciliare, per citare la più rilevante, il disposto del primo comma dell’art. 51 con quello del terzo comma dell’art. 98 (cioè il diritto di ricoprire cariche pubbliche elettive con limitazioni previste per alcune categorie ad iscriversi a partiti politici).

Tuttavia, al di là di problemi di natura tecnico-giuridica, anche problemi di opportunità suggerirebbero – a detta di Morici – che nella migliore delle ipotesi i magistrati si astenessero dall’occupare ruoli politici o, in alternativa, che non fosse loro consentito di rientrare nei ranghi della giurisdizione, una volta conclusa l’esperienza politica. Morici ha sostenuto recisamente, infatti, che per un verso il rientro nella magistratura può realisticamente suscitare serie riserve sulla terzietà del giudice nell’assolvimento della sua funzione e, per altro verso, che il possibile ricorso agli istituti della ricusazione e dell’astensione possa incidere sulla durata dei procedimenti.

Ed ancora un problema incombe:  se dopo l’esperienza politica possano mutare il giudizio e l’atteggiamento del giudice nei confronti della politica – in melius o in peius poco rileva –   soprattutto nei confronti di chi è chiamato alla funzione legislativa. La possibilità di nocivi pregiudizi ed equivoci è insomma tutt’altro che remota.

Quale la soluzione, dunque? Ha ribadito Morici che sarebbe necessario, più che opportuno, che la materia fosse disciplinata per legge, formulata in modo da armonizzare nello specifico diritti e doveri di rango costituzionale. Con il fine precipuo, però, di vietare che i giudici che hanno intrapreso una carriera politica possano alla fine rientrare in magistratura, pur garantendo loro in qualche modo un reddito adeguato. Ne va della conservazione e della cura della separazione dei poteri, ma anche del buon funzionamento della giurisdizione. Del resto lo stesso CSM, cogliendo i termini della questione, ha di recente formulato una serie di proposte al ministro della giustizia, perché si faccia promotore di una legge in materia.

Alla discussione è seguito un interessante dibattito, alimentato dalla numerose domande poste ai relatori dagli studenti.

Ferdinando Centorrino  è socio del circolo LeG di Messina

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