Gaetano Azzariti: “Ieri Letta, oggi Marino: è la crisi della democrazia”

03 Nov 2015

La scena dei 26 consiglieri comunali che vanno a dimettersi da un notaio è molto triste. Soprattutto, è lo specchio della crisi della democrazia rappresentativa, e di una politica che non si assume più le proprie responsabilità”. Gaetano Azzariti, docente di Diritto costituzionale all’università Sapienza di Roma, scorge un filo rosso che lega la caduta di Ignazio Marino e quella di Enrico Letta, passando per le riforme renzianissime: “Non ci si confronta più nei Palazzi istituzionali, nei luoghi della democrazia: si decide tutto altrove”.

Statuto alla mano, l’operazione del Pd e degli altri partiti è stata legittima.

Non è stata commessa alcuna violazione, la norma è chiara e prevede l’autoscioglimento del Consiglio. Però il tema è un altro: quali che fossero le responsabilità di Marino, la cui esperienza da sindaco di Roma era chiaramente conclusa, la soluzione più lineare e rispettosa della democrazia rappresentativa era che l’epilogo avvenisse in aula. Ogni soggetto politico doveva assumersi la responsabilità delle proprie scelte.

Il Pd temeva che il Consiglio diventasse una bolgia.

Era un rischio che non nego, alla luce di episodi recenti. Rimane il fatto che ci si è aggrappati a un’interpretazione burocratica, da legulei, per una vicenda che doveva essere risolta nella sede istituzionale. Ne avrebbe giovato anche il Pd. Ad oggi, non ha esplicitato le ragioni per cui ha mandato via Marino. E appare come incerto, poco deciso. Ha preferito un bizantinismo.

La norma è bizantina quindi?

Indubbiamente sì. Ma è bizantina anche quella che prevede la facoltà per il sindaco di ritirare le dimissioni entro 20 giorni dalla loro presentazione. Per essere chiari, non è stato bello neanche vedere Marino dare e poi ritirare l’addio. Ne pagherà in mancata chiarezza anche lui.

Perché hanno scritto norme di questo tenore?

È l’effetto, di certo non positivo, della modifica della forma di governo a livello locale. Ora il sindaco viene eletto direttamente dalcorpo elettorale, con una legittimazione separata e autonoma dal Consiglio, a cui è stato concesso un potere di autoscioglimento.

Ma il prodotto che ne è scaturito…

Queste norme hanno favorito il pasticcio di Roma, è indiscutibile.

Quali sono i possibili danni a medio termine?

La politica diventa sempre più opaca. Norberto Bobbio diceva: “O la democrazia è trasparente o non è”. E una politica che fugge dai luoghi istituzionali non può esserlo.

Lei vede una tendenza ormai diffusa.

Assolutamente sì, gli episodi sono molteplici. Si va dal patto del Nazareno alla caduta dell’ex premier di Enrico Letta, sostituito da Matteo Renzi senza neanche un passaggio della crisi in Parlamento, fino alla riforma del Senato e alla nuova legge elettorale.

Le riforme vengono discusse e votate in Parlamento.

Si sbaglia, non vengono davvero discusse. Avviene una spettacolarizzazione del conflitto, con le opposizioni che presentano milioni di emendamenti e la maggioranza che ricorre a tagliole e canguri. E in tutto questo di confronto democratico, magari anche aspro, non c’è nulla.

Marino ha accusato i consiglieri del Pd di essersi “sottomessi” al partito e a Renzi. Ma non è anche un effetto di un sistema maggioritario in cui decidono in pochi?

Non giudico il comportamento e le valutazioni dei consiglieri. Detto questo, le regole istituzionali tendono a concentrare il potere nelle mani dei vertici. E ciò non aiuta certo il dialogo.

Come se ne può uscire?

Con uno scatto d’orgoglio dei partiti. Dovrebbero rinunciare al tatticismo e tornare a pronunciare parole di politica vera, rispettando le istituzioni. La democrazia è conflitto: si svolga davanti a tutti.

Il Fatto Quotidiano, 1 novembre 2015

 

 

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