Il consenso d’opinione e la strategia di comunicazione del premier sulla manovra economica del governo

28 Ott 2015

Nelle quintalate di pagine dedicate alla manovra economica del governo non riesce ad emergere una precisa sintesi di merito, visto che essa è considerata, a turno, di destra o di sinistra; orientata ai poveri o corriva verso i ricchi; centrata sul deficit-spending o ancorata ad uno spasmo di spending review ; di scossa innovativa o di tentazioni pre-elettorali. Non c’è ancora una condensazione politica sui contenuti ed è difficile che essa possa uscire dalla loro accentuata diversità.

Tale condensazione potrebbe allora sorgere non dal contenuto programmatico della manovra, ma dal modo in cui essa è stata comunicata, in modo che rivela la determinazione politica a costruirsi un solido consenso d’opinione. In effetti, sono quasi due anni che il governo, consapevole e generoso attore del rilancio del nostro sviluppo, si è reso conto che esso è fenomeno di collettive intenzioni, e che per farle esprimere occorre un’onda di consenso.
Nei fatti non poteva (o non voleva?) far conto sul «consenso organizzato», quello garantito dalle diverse sedi di rappresentanza, di interessi come di comportamenti collettivi, e di fatto messo fuori giuoco dalla debolezza crescente della rappresentanza e dalla voglia di disintermediazione espressa dalla politica negli ultimi due anni.
All’antica primazia del consenso organizzato si è allora per mesi sostituita una ricerca di «consenso di fatto», sottolineando a più riprese esigenze, prospettive e sfide dei primi accenni di ripresa, nella speranza che i cittadini si sentissero attratti dalla possibilità di riprendere un’antica strada di agiatezza. Un tale tentativo non si è però adeguatamente coagulato in mobilitazione collettiva: un po’ perché la ripresa è stata a lungo troppo tenue per un adeguato coinvolgimento; un po’ perché è rischioso stimolare attese ed annunci, naturaliter destinati nel tempo a perdere di incisività; e specialmente, perché il corpo sociale ha di fatto preferito le proprie pigrizie, i propri scetticismi, le proprie incertezze (ha preferito, ad esempio, buttarsi sul risparmio piuttosto che tornare a consumare o a investire).
Se all’inizio del terzo anno di governo non si può contare né sul consenso organizzato né sul consenso di fatto, resta una sola strada: amplificare il «consenso d’opinione», magari creando una bolla d’opinione almeno di durata biennale. E questo sembra esser stato l’orientamento politico dell’autunno. Bastano, per averne conferma, due banali constatazioni. Da un lato la ampiezza polimorfica delle centinaia di differenti provvedimenti, tenuti insieme solo dal filo rosso della volontà di coinvolgere quanta più gente possibile, in una competizione «corpo a corpo» con la società, nella speranza di darle scosse di movimento.
E questa provocazione al corpo a corpo è confermata da una seconda constatazione, che riguarda la strategia di comunicazione che si è quasi genialmente scelto: i provvedimenti non sono stati divulgati con un noioso comunicato del Consiglio dei ministri, come si usava per tradizione; e neppure con una scintillante conferenza stampa corredata da slide esplicative; ma con qualche decina di tweet, via regia dalla personale sollecitazione al consenso. Ancora un corpo a corpo.
Sarà interessante vedere quale esito avrà una tale strategia; ed ancora più interessante sarà vedere se essa riuscirà ad assorbire o superare il ruolo della comunicazione di massa, per ora non eliminabile fattore di opinione e consenso.
I suoi protagonisti potrebbero infatti difendere il loro ruolo di interpretazione sociopolitica, rinunciando ad una marginalizzazione in un ruolo di delegati alla cronaca e alle schede esplicative della manovra; e resistendo non è facile immaginarli vittime anche loro del vento di disintermediazione alimentato dalla politica degli ultimi anni.

Corriere, 28 ottobre 2015

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