Zagrebelsky: Governanti “inutilmente spensierati” che tirano a campare senza progetti

27 Ott 2015

Silvia Truzzi

C’è il gioco che facevamo, bendati, da bambini. Ma c’è anche la metafora di Wittgenstein: il nuovo libro di Gustavo Zagrebelsky s’intitola Moscacieca. E fa davvero pensare all’insetto nella bottiglia di cui il filosofo austriaco parla nelle Ricerche filosofiche. La mosca si dibatte, in cerca di una via d’uscita. Così noi: “Non siamo sicuri nemmeno di quali siano le incognite con le quali dobbiamo fare i conti. Contrasti e conflitti scoppiano qua e là, per ora perifericamente, ma sempre più numerosi; minacciano esplosioni sempre più grandi e mirano al cuore del mondo che abbiamo costruito. Il pensiero vacilla. Il caos inghiotte la comprensione e la volontà si smarrisce”.

Provando a guadagnare la salvezza (la via d’uscita attraverso il collo della bottiglia) il panorama non è dei più rassicuranti: “Poteri economico-finanziari e tecnologici mossi da inesausta, illimitata e cieca volontà di potenza che seminano tempeste; organizzazioni criminali che controllano interi settori di attività illegali e accumulano ricchezze ingenti con le quali avvelenano la vita economica e i rapporti politici; circolazione incontrollata di armi micidiali che alimenta conflitti; violenza che dilaga anche in forme terroristiche”. Quadro fosco, foschissimo: dunque l’autore potrebbe essere immaginato nel pantheon dei gufi viste, per esempio, le sue posizioni sulla riforma del Senato (sul tema, indimenticabile l’intervista al Corriere del premier Renzi, quando disse “Si può essere in disaccordo con professoroni o presunti tali senza diventare anticostituzionali. Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà o Zagrebelsky”). Invece il movente di questo libro è rasserenante, perché è la ricerca di una strada per il domani, possiamo dire Contro la dittatura del tempo presente, trappola pericolosa perché trasforma società e governi in cicale dissipatrici. Il potere economico ha sopravanzato quello politico, ci si è alleato subordinandolo: “Negli organi di governo, nelle posizioni-chiave, siedono ormai solo uomini di fiducia dell’oligarchia finanziaria”.

Quello dei governi esecutori è anche un Tempo nichilista –come s’intitola un capitolo di Moscacieca – dove il mezzo e lo scopo coincidono: “Se lo scopo del denaro è sempre altro denaro, la ricerca della sua crescita e dell’accumulazione è una forza devastatrice: nichilista e, al tempo stesso, devastatrice. Con i suoi templi (Wall Street o Piazza Affari), dove gli adepti, perfino i capi di governo, si recano per ‘fidelizzarsi’ e ricevere la consacrazione”. E poi “sacerdoti, sacramenti, parole d’ordine, catechesi, vittime sacrificali e capri espiatori, fede ‘cattolica’ con i suoi custodi, propagandisti e missionari (i brokers), le sue Inquisizioni (le agenzie di rating), promesse di vita futura indefinita, se non proprio eterna. Anche se ateo e nichilista , può essere assimilato a una religione, con la sua ortodossia di cui la moneta è il simbolo. Ha le sue liturgie, celebrate in occasioni rituali, meeting, conferenze, forum cui partecipa un pubblico selezionato di persone di sicura fede. Ha modelli di vita esclusiva, pervasivi dell’immaginazione dei deboli, ha i suoi status e sex symbols, i suoi centri di ricerca, scuole di formazione, università degli affari, accademie, think-tank, uffici di marketing politico, culturale e commerciale, in cui vivono e prosperano gli ‘intellettuali’ e gli opinionisti del nostro tempo, in realtà consulenti e propagandisti che, consapevoli o inconsapevoli, partecipano alla formazione di una vera e propria ideologia”. Dunque ecco i nostri nuovi Stati confessionali,dove dio è il denaro, i Paesi sono imprese (cfr. “l’Azienda Italia”) e dunque possono perfino fallire. E una banca d’affari come JP Morgan (nel Report 2013) può permettersi di manifestare tutta la propria insofferenza nei confronti delle costituzioni democratiche del dopoguerra, “socialiste”, senza che nessuna voce critica si alzi. Del resto anche quando, un anno prima, il presidente Mario Monti disse allo “Spiegel” che i governi avevano il dovere di educare i propri parlamenti, nessuno (in Italia) proferì parola.

Il rapporto presente-futuro si può leggere anche attraverso la nuova contrapposizione “ottimisti versus pessimisti”. A cui il professore dedica l’epilogo del suo pamphlet. Con quella che solo in apparenza è una battuta, Norberto Bobbio disse: “Non tutti gli ottimisti sono sciocchi, ma certo tutti gli sciocchi sono ottimisti”. Dopo una breve analisi delle categorie possibili (pessimisti, sciocchi e non; ottimisti, sciocchi e non) Zagrebelsky si dedica ai politici: “Coloro che tanto affanno si danno per conquistare un ormai evanescente potere, e in tanto affanno consumano le proprie forze. Sembra che l’assurgere ai posti di governo sia per loro l’appagamento di un’ambizione che riempiono di allegra spensieratezza e di retorica felicità fatta di niente”. Ancora più disperante è il consenso incontrato da “questa leggera, fatua e insulsa allegrezza, che fluttua per tentare di durare ancora sempre un giorno in più in attesa della catastrofe, senza alcun serio, costante, coerente e maturo impegno per un’opera degna della parola politica”. È una fotografia perfetta anche del nostro Paese, dove si è tanto ottimisti quanto privi di motivi veri per essere tali (si veda per esempio un astensionismo elettorale sempre più causato da “frustrazione”). L’ottimismo della nuova realpolitik non ha ragione né ragioni; il tentativo di non dissipare troppi valori divenuti negoziabili può essere la bussola per la mosca di Wittgenstein.

Il Fatto quotidiano, 23 ottobre 2015

 

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