Le migrazioni cambiano verso: all’estero 4,6 milioni di italiani in crescita costante

07 Ott 2015


C’era una volta la paura di essere invasi, lo sguardo appuntato sull’orizzonte in attesa che eserciti di disperati occupassero una terra a mala pena bastante per i suoi abitanti. La situazione fotografata dall’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes sugli italiani nel mondo è a dir poco capovolta: per ogni straniero approdato nel 2014 ci sono 3 nostri connazionali che, nello stesso periodo, hanno fatto fagotto in cerca di un futuro migliore altrove. La matematica è logica quanto spietata: se gli arrivi non compensano le partenze vuol dire brutalmente che, Belpaese o meno, attraiamo assai meno di quanto altri lidi attraggano noi.
I dati analizzano gli ultimi 10 anni, giro di boa oltre il quale il numero degli emigranti è tornato a crescere come mezzo secolo fa. Al primo gennaio 2015 risultano iscritte all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, 4.636.647 persone, più 3,3% rispetto al 2014 ma più 49,3% rispetto al 2005. Un’incremento che, al netto delle mille differenze tra calciatori, suonatori d’arpa d’origine lucana, barbieri, designer o professori, indica una tendenza inequivocabile al gettare il cuore oltre confine.
Cambiano le mete
«Ai 33 mila ingressi dello scorso anno corrispondono 101 mila fughe all’estero, significa che non cresciamo più e che la crisi economica si sta trasformando in crisi demografica» ragiona monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes. L’identikit multiplo degli esuli, dice, suggerisce quanto profondamente abbia scavato la sfiducia nel paese: «La novità è che oltre a mete tradizionalmente appetibili come la Germania, la Svizzera e la Francia, ci sono la Cina e gli Emirati Arabi, dove in questi mesi si stanno trasferendo ingegneri e profili altamente qualificati. Ma sarebbe sbagliato parlare solo di cervelli in fuga perché le cifre comprendono anche gli over 40 rimasti disoccupati troppo tardi per avere chances in Italia: almeno la metà di quelli che partono trova lavoro nei bar di Barcellona, nelle fabbriche tedesche, nell’attività artigianale in Gran Bretagna».
Chi sono i nuovi migranti che ricordano all’Italia quanto forza centripeta e centrifuga siano complementari allo sviluppo economico e culturale di un paese? Migrantes parla soprattutto di uomini (56%), celibi (59,1%), d’età compresa tra i 18 e i 34 anni (35,8%), molti sono Millennials, la generazione più istruita e al tempo stesso più penalizzata dal secondo dopoguerra a oggi. Partono da ogni dove (la Sicilia resta la prima regione di origine degli italiani all’estero e il Meridione rappresenta il 51,4% della diaspora), ma la novità riguarda il settentrione, dove Lombardia e Veneto si piazzano rispettivamente al primo e al terzo posto per incremento delle partenze (più 24 mila e più 15 mila). Monsignor Perego spiega il neo protagonismo del nord con il perdurare della recessione: «Una parte di questa migrazione deriva da una precedente migrazione interna Sud-Nord, gente che spostandosi si era sistemata ma non abbastanza da reggere alla crisi». Le mete sono globali,196 paesi diversi. Ad assorbire il grosso restano ancora Europa (53,9%) e Stati Uniti (40,3%) ma c’è anche l’Argentina che si piazza al quinto posto delle destinazioni più gettonate dopo Germania, Regno Unito, Svizzera e Francia. Paesi in crescita sull’onda del passaparola di chi cerca e trova lavoro risultano Spagna, Venezuela, Irlanda, Cina e Emirati Arabi.
Laureati con la valigia
È una tendenza irreversibile? La risposta a questa domanda è la chiave del futuro del nostro paese, nota Alessandro Rosina dell’Università Cattolica citando un recente rapporto secondo cui il 60% dei laureati vorrebbe partire alla volta di opportunità migliori. Già oggi, calcola Migrantes, appena il 20% degli studenti italiani spende il proprio titolo di studio in patria, il 60% lo investe all’estero e il restante 20% si guarda intorno incerto su come muoversi temendo che l’emigrazione sia una strada a senso unico. «Molti dei nostri ragazzi vorrebbero tornare a casa ma diversamente dalla Spagna la nostra legislazione non agevola il rientro» chiosa monsignor Perego. Il resto sono numeri.

 

La Stampa,  7 Ottobre 2015

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