La Costituzione invertebrata – Il rischio di una Democrazia senza Legge

06 Ott 2015

E’ in corso da anni un attacco alla Legge che quasi nessuno nota. Cosa sono le “leggi pasticciate”, le “astuzie” e le “furbate” legislative, se non intelligenza senza sapienza? L’ennesima conferma che dentro il potere esiste sempre una “bestialità” in agguato (Aristotele, Politica)[1]. Qualcosa del genere purtroppo è rintracciabile anche nell’approvazione del DDL costituzionale. I guasti che questa situazione potrà provocare (“premierato assoluto”, “neo-autoritarismo” ed altro) sono facilmente prevedibili. Ma questo non è ancora il vero pericolo.

Il pericolo vero è la fuoruscita, “legale” dall’ordinamento costituzionale, recidendo la sua continuità costituente. Con una nuova Costituzione “flessibile”, non sarà più la Legge ad essere la “padrona dei governanti”, ma i governanti ad essere i “padroni della Legge”. Ovviamente in nome del popolo, convinto a scegliere una democrazia senza l’intralcio della “Legge”, da poteri mediatici e finanziari artefici di governi succubi dei loro diktat, con l’argomento supremo della “necessità”. Così, il “nuovo” Senato non sarà più “eletto” dai cittadini, una riduzione di sovranità che viola uno dei “principi supremi” costituzionali e, dunque, “inviolabili”.

Un timore infondato? Mica tanto, se ci rileggiamo le parole dell’ Assemblea Costituente. I costituenti, dopo avere a lungo discusso sul verbo con cui collegare tra loro i termini “popolo” e “sovranità” (“emana”, “spetta”, “risiede o “appartiene”) mutarono, nella seduta plenaria del 22 marzo 1947, la formulazione precedentemente scelta in Commissione “La sovranità emana dal popolo” in “La sovranità appartiene al popolo”.

In seduta plenaria si rovesciò l’argomentazione prevalsa nella Commissione dei settantacinque, dove era stato respinto l’emendamento di Lucifero che aveva sostenuto che “ La sovranità risiede nel popolo e in esso sempre rimane. Vi possono essere degli organi delegati che per elezione popolare esercitano la sovranità in nome del popolo, ma la sovranità è del popolo e resta del popolo. Dire pertanto che la sovranità emana…dal popolo dà la sensazione, che può essere domani interpretazione giuridica, che il popolo, con l’atto con cui ha eletto coloro che eserciteranno la sovranità in suo nome, si spoglia di questa sovranità, investendone i suoi delegati” ( Lucifero). L’ Assemblea plenaria rovesciò la decisione della Commissione tornando all’emendamento prima respinto, stigmatizzando l’eventualità, segnalata anche da Meuccio Ruini che “della sovranità potesse venir investito un gruppo od un uomo, che la captasse e la staccasse dal popolo” ( Meuccio Ruini, 22 marzo 1947) ( Bifulco, Celotto Olivetti, Commentario alla Costituzione, vol. 1, Torino, UTET, 2006, p. 11, pssim).

Oggi questo rischio si ripresenta coi “delegati dei delegati” nelle vesti di senatori a tempo parziale. La struttura del Senato, in combinato disposto con quella della Camera infatti, consente esattamente di realizzare ciò che era stato previso lucidamente dai due costituenti citati.    Questo pericolo deriva da una interpretazione estrema e distorta del concetto di sovranità popolare, che non le pone alcun limite alla sua autodistruzione per suicidio. Così, se la sovranità popolare può travolgere le “forme e i limiti” della Costituzione, confermando, ad esempio, la revisione di un principio che è inderogabile, essa non acquisterà maggiore libertà, ma negherà se stessa, mettendosi in balia della legge del più forte (anche solo numericamente), che potrà chiedere il “superamento” di altri principi.

L’inganno perverso di una Costituzione “contratto” è quello di renderla priva di parti immodificabili, invertebrata sempre adattabile dalla maggioranza di turno, in base alla mera forza dei numeri.    In realtà a questa deriva c’è una alternativa.

Il senso della Legge e della bellezza della legge appartengono a quella “Costituzione invisibile”, senza le quali il nostro Stato perderà il suo sostegno portante. Quella Costituzione si può leggere scritta a tratti di fuoco nelle lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. Cosa è infatti una “Costituzione invisibile”? Secondo l’idea del costituzionalista americano Laurence H. Tribe, è il principio – che nessuno si sognerebbe di derogare – “government of the people, by the people, for the people”.

La “Costituzione invisibile” degli italiani è quella che Calamandrei faceva risalire dal sacrificio dei tantissimi italiani sconosciuti, torturati e morti per resistere al nazismo e al fascismo. In quell’oceano di idee, memorie, esperienze e immagini condivise erano già vivi i principi inderogabili della sovranità popolare, della democraticità dell’ordinamento, della uguaglianza civile, della unità della giurisdizione, del diritto alla difesa, della laicità dello Stato, della dignità della persona e di ogni persona.

Da questi principi non si può derogare in nome di alcun altro vincolo, sia pure il più “europeo”, se non vogliamo entrare in una democrazia senza Legge. Magari disposta a celebrare la Costituzione del 1948 come una “natura morta”, lo stesso spirito con cui il fascismo celebrava lo Statuto albertino.

 

[1] ”L’uomo che sta al potere ha pure sempre in sé qualcosa della bestia: questo è l’istinto della cupidigia, e quella passione che travia anche i migliori uomini al potere. La Legge è intelletto senza passione…. Dunque chi vuole che il potere sia dato alla Legge, vuole in realtà che sia dato a Dio e all’intelletto” – III, 1287 a 11- 1287 b8

 

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