La Carta di Bolzano per il diritto d’asilo

02 Ott 2015

All’alba del 3 ottobre del 2013 naufragava, al largo di Lampedusa, un peschereccio proveniente dal porto libico di Misurata. Le vittime accertate — ma chissà quanti i dispersi — furono 366: principalmente uomini di nazionalità eritrea.
L’ennesima tragedia del Mediterraneo in cui a perdere la vita, ancora una volta erano persone in fuga da situazioni atrocemente invivibili e intenzionate a chiedere protezione in Europa.
Dai primi anni ’90 si calcolano oltre ventimila morti in quel tratto di mare, quasi tremila solo negli ultimi nove mesi.
Chi riesce a sopravvivere approda in Italia, considerata nella maggior parte dei casi una terra di transito: attraversata da migranti che, in genere, vogliono raggiungere il nord Europa perché lì possono ritrovare parenti e amici; perché lì hanno maggiori possibilità di intraprendere un percorso di studi e di trovare lavoro; e,infine, perché lì ricevono fin da subito un’accoglienza che considerano migliore e più efficace di quella disponibile in altri paesi dell’Unione.
Uno dei passaggi critici di questa lunga traversata è Bolzano, o più precisamente la sua stazione.
Qui avviene il cambio del treno per raggiungere e tentare di oltrepassare il confine con l’Austria. È un punto di transito molto importante e superarlo può essere un’impresa davvero ardua.
Negli ultimi anni, infatti, ai profughi è stato impedito di partire dal territorio italiano in quanto sprovvisti del regolare titolo di soggiorno e di viaggio. E, tuttavia, nonostante le difficoltà, nel 2015 sono passate per la stazione di Bolzano 21.000 persone, in media cento al giorno, provenienti dai luoghi dello sbarco e partite dalle coste del nord Africa.
Ma non è questa l’unica rotta. Transitano da Bolzano e dal Brennero anche migranti che arrivano via terra dalla Turchia e dall’Ungheria. Ecco perché quest’anno la Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato ha deciso di ricordare le vittime del 3 ottobre proprio in quella città, con un’iniziativa che si terrà nelle officine FS dal titolo «Bolzano frontiera d’Europa». Non si tratta di un semplice evento commemorativo poiché sarà anche l’occasione per presentare la Carta di Bolzano: ovvero un documento in cui si afferma il diritto inalienabile alla libera circolazione degli esseri umani.
Nel testo sono formulate proposte concrete riguardanti la realizzazione di un sistema di asilo europeo e di un piano di reinsediamento con numeri superiori rispetto a quelli, pressoché irrisori, previsti dall’agenda dell’Unione. Ma, soprattutto, con una filosofia dell’asilo e dell’accoglienza completamente diversa.
Si propone, inoltre, un piano di ammissione umanitaria per evitare altri naufragi, anticipando e avvicinando il momento della richiesta di protezione internazionale nei paesi di transito dei profughi. E ancora: una nuova politica di ingresso regolare in Europa, attualmente tutt’altro che garantito.
Oggi, gli ingressi regolari si rivelano totalmente inadeguati rispetto agli imperativi della demografia e dell’economia e alle richieste del mercato del lavoro, oltre che alle ineludibili esigenze di una emergenza umanitaria destinata a riprodursi nel tempo. Infine, viene posto all’ordine del giorno il superamento dell’attuale Regolamento di Dublino.
Sono tutte proposte realizzabili sin da ora, a cominciare dai trasferimenti verso altri paesi europei, diversi da quello di ingresso, dove poter realizzare il progetto di vita desiderato, qualora vi fossero motivazioni familiari o umanitarie.
A sostegno di questa iniziativa a Bolzano interverranno i rappresentanti delle istituzioni e dell’ associazionismo, dalla portavoce dell’Unhcr, Carlotta Sami, al sottosegretario per gli Affari Esteri, Sandro Gozi, fino agli esponenti di Volontarius e di Binario 1. E ascolteremo i suoni e le voci di Paolo Fresu e Moni Ovadia, del coro di Ardadioungo e di Paolo Rossi, di Maurizio Maggiani e dei Tetes de Bois. Il problema vero, ora, è quello di farsi sentire da un’Europa che — oltre a rivelarsi troppo spesso afasica — appare drammaticamente sorda.

il manifesto, 2 ottobre 20.15 

 

 

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