Stephen Hawking, Ci salviamo se lasciamo la Terra

27 Set 2015

«Merry Christmas». L’emblematica voce metallica del più famoso scienziato del mondo risuona in mezzo al lungomare della spiaggia di Camisón, a Tenerife, provocando le risate dei turisti che si affollano intorno a lui, sussurrando gli uni agli altri: «È Stephen Hawking», mentre li incrociamo attraversando la strada. «È uno scherzo che è solito fare per far ridere la gente», dice una delle responsabili dell’équipe che lo segue ovunque. Hawking (Oxford, 1942) si trova sull’isola delle Canarie per presentare la terza edizione del festival scientifico Starmus, che si tiene ogni due anni. Il fisico, la cui vita è stata recentemente portata sul grande schermo dal film “La teoria deltutto”, premiato con l’Oscar al miglior attore protagonista, scrive grazie a un sensore sulla guancia, dove si trova uno dei pochi muscoli che può ancora muovere a causa della malattia neurodegenerativa che lo ha colpito. Pur contando su diversi programmi che gli consentono di ottimizzare il processo di scrittura, a volte ci può mettere due ore per rispondere a una domanda. Ha però un tasto speciale per fare scherzi con un solo clic.
Sette persone accompagnano il fisico in questo viaggio, tra assistenti, medici e personale di fiducia, sempre attenti alla sua fragile salute di ferro, che lo ha tenuto in vita fino a oggi, che ha 73 anni, «contro ogni previsione».
Lei ha una vertiginosa agenda di viaggi, conferenze, interviste, festival… quasi come una rockstar. Perché lo fa?
«Sento il dovere di informare la gente sulla scienza».
C’è qualcosa che vorrebbe fare nella vita e non ha fatto?
«Viaggiare nello spazio con Virgin Galactic».
Uno dei suoi ultimi libri affronta la teoria del tutto, che unirebbe la relatività e la fisica quantistica. Di che cosa parlerà il prossimo?
«Può darsi che il mio nuovo libro parli della mia sopravvivenza contro ogni previsione».
Molti paesi europei hanno assistito a forti tagli di bilancio per la scienza, e molti giovani scienziati sono dovuti emigrare per trovare lavoro.
Che cosa direbbe a un giovane che stia pensando di fare lo scienziato?
«Se ne vada in America. Lì apprezzano la scienza perché è ammortizzata dalla tecnologia ».
Recentemente ha lanciato un’iniziativa per cercare forme di vita intelligente nella nostra galassia. Qualche anno fa, tuttavia, disse che sarebbe stato meglio non entrare in contatto con civiltà extraterrestri, perché potrebbero anche sterminarci.
Ha cambiato opinione?
«Se gli extraterrestri venissero a trovarci, il risultato sarebbe molto simile a quello che accadde quando Colombo sbarcò in America: non fu una cosa buona per i nativi americani. Questi extraterrestri avanzati potrebbero diventare nomadi, e cercare di conquistare e colonizzare tutti i pianeti dove riuscissero ad arrivare. Per il mio cervello matematico pensare alla vita extraterrestre è qualcosa di razionale. La vera sfida è scoprire come potrebbero essere questi extraterrestri».
Recentemente ha detto che le informazioni possono sopravvivere a un buco nero.
Che cosa significa?
«Cadere in un buco nero è come lanciarsi nelle cascate del Niagara con una canoa: se si rema con una velocità sufficiente, si può uscirne fuori. I buchi neri sono la macchina di riciclaggio definitiva: quello che ne emerge è ciò che vi è entrato, ma elaborato».
Nel 2015, la teoria della relatività generale compirà cent’anni. Se potesse parlare con Albert Einstein, che cosa gli direbbe, e che cosa si aspetta dalla scienza nei prossimi cent’anni?
«Nel 1939, Einstein scrisse un articolo in cui affermava che la materia non poteva comprimersi oltre un certo limite, escludendo la possibilità che esistessero i buchi neri».
Perché crede che dovremmo temere l’intelligenza artificiale? È inevitabile che gli esseri umani creino dei robot in grado di uccidere?
«I computer supereranno gli esseri umani grazie all’intelligenza artificiale nei prossimi cento anni. Quando ciò avverrà, dovremo essere certi che gli obiettivi dei computer coincidano con i nostri».
Quale sarà il nostro destino come specie, secondo lei?
«Credo che la sopravvivenza della specie umana dipenderà dalla sua capacità di vivere in altri luoghi dell’universo, perché il rischio che un disastro distrugga la Terra è grande. Quindi vorrei suscitare l’interesse pubblico per i voli spaziali. Ho imparato a non guardare troppo in avanti, a concentrarmi sul presente. Ci sono ancora molte altre cose che voglio fare».
Si può essere un buon scienziato e credere in Dio?
«Io uso la parola “Dio” in un senso impersonale, come faceva Einstein, per riferirmi alle leggi della natura».
Lei ha detto che non c’è bisogno di Dio per spiegare l’universo così com’è. Pensa che un giorno gli esseri umani abbandoneranno la religione e Dio?
«Le leggi della scienza sono sufficienti per spiegare l’origine dell’universo. Non è necessario invocare Dio».
Molte persone devono usare una sedia a rotelle. Ha qualche messaggio per loro?
«Anche se ho avuto la sfortuna di essere colpito da una malattia del motoneurone, ho avuto la fortuna di lavorare nel campo della fisica teorica, uno dei pochi settori in cui la disabilità non era un serio ostacolo, e il massimo della fortuna con la popolarità dei miei libri. A coloro che sono colpiti da una disabilità consiglio di concentrarsi sulle cose che la loro disabilità non gli impedisce di fare bene, e di non lamentarsi per quelle con cui interferisce. In qualche modo, la mia disabilità mi ha aiutato. Mi ha liberato dal dover fare lezioni o dalla partecipazione a noiosi comitati, e mi ha dato più tempo per dedicarmi alla ricerca ».
© El País/LENA Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Luis E.Moriones

Repubblica, 26 settembre 2015

 

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