“Da Camera alta a camerino: il Senato sarà senza dignità”

01 Set 2015

Silvia Truzzi

Parla il costituzionalista Michele Ainis

I tecnici s’interpellano per dirimere questioni, appunto, tecniche. E dunque visto che il premier –da ultimo nell’intervista domenicale al Corriere della Sera –, ribadisce che “rivotare una cosa già votata due volte sarebbe un colpo incredibile a un principio che vige da decenni”, abbiamo chiesto lumi a Michele Ainis, costituzionalista e firma del Corriere.

Professore, il pomo della discordia è l’ormai famoso articolo 2 del ddl Boschi: immodificabile o no?

Quando un certo articolo è stato approvato da entrambi i rami del Parlamento – anche se su tutta la legge non è stata raggiunta una volontà conforme – lo si può accantonare, per un principio di economia del processo legislativo. Ma una cosa è una legge ordinaria – e in Italia abbiamo in circolo anche leggi sui prosciutti – altra cosa è una legge che ridefinisce la nostra architettura costituzionale. In questo caso l’esigenza di speditezza passa in secondo piano rispetto alla necessità di avere un accordo il più possibile condiviso.

Il governo e la maggioranza non sono disposti a fare concessioni, però.

L’articolo 2 riguarda la composizione del Senato e la sua durata. Il comma “incriminato” è il quinto: riguarda la durata in carica dei senatori ed è stato modificato alla Camera. Non c’è dubbio che debba essere rivotato al Senato. È vero che la modifica riguarda una preposizione – da “nei”a“dai”– ma si traduce in un cambiamento sostanziale. Nel testo votato dalla Camera, sostituendo i due termini, la durata dei sindaci eletti dal Consiglio regionale in Senato, viene ancorata non più alla durata del Consiglio regionale ma al mandato di sindaco. Non è certo una modifica stilistica.

Lei cita anche il precedente del 1993, a proposito della legge sull’immunità parlamentare.

In quel caso i presidenti delle due Camere – Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini – ammisero gli emendamenti a un testo già votato in copia conforme.

Ma il comma 5 riguarda la durata, non l’elettività su cui è in atto il vero scontro. Si possono accettare emendamenti su quello?

La mia risposta è sì. Nel “più” è compreso il “meno”, lo sanno anche i bambini. La nostra Costituzione prevede che le leggi si votano articolo per articolo. Una volta stabilito che il comma 5 è emendabile, bisogna dare un voto sull’intero articolo 2. Se il voto fosse negativo, sarebbe come aver votato su sei emendamenti soppressivi dei sei commi dell’articolo 2. Ma se è possibile sopprimere un comma, lo si può anche modificare.

Venendo al merito, lei ha definito il nuovo Senato un “camerino”.

Quando ho fatto parte della commissione Letta, quella dei 35 saggi, ero favorevole al passaggio al monocameralismo. Ipotesi a mio avviso ampiamente preferibile all’attuale pasticcio. Perché, come le persone, anche gli organi costituzionali hanno diritto alla dignità. Qui il rischio è che il Senato abbia una funzione secondaria, avendo così una Camera e un “camerino”. Una volta stabilito che la fiducia al governo la dà solo Montecitorio, che ci sta a fare il Senato? Se la soluzione individuata è che il Senato diventi un organo di raccordo con le istituzioni territoriali, mi devono spiegare che ci stanno a fare i senatori nominati dal Presidente della Repubblica per meriti culturali. Si potrebbe fare della seconda camera un organo di garanzia, cioè un vero contropotere.

È esattamente quello che non si vuole fare.

La scelta è stata di collegarlo agli enti territoriali, nel modo peggiore. Facendo eleggere i nuovi senatori dai consiglieri regionali, cioè da politici di serie B. La soluzione “Senato delle garanzie” prevede l’attribuzione di poteri d’inchiesta, di nomina delle autorità indipendenti, dei giudici costituzionali, la possibilità di fare audizioni pubbliche come negli Usa. A quel punto però ci vorrebbe l’elezione diretta. L’esigenza da cui si è partiti è giusta: modificare un sistema unico al mondo, in cui due camere danno la fiducia.

Ma lei ha giustamente ricordato quante leggi di Berlusconi sarebbero passate, senza il pollice verso del Senato…

Infatti io sarei favorevole al monocameralismo, che però presuppone un sistema di rafforzamento delle garanzie: dalla presidenza della Repubblica al sistema elettorale proporzionale. Con l’attuale riforma, i governi saranno più stabili, ma la governabilità non può esistere a discapito della rappresentatività e delle garanzie democratiche.

Il Fatto Quotidiano,  1 Settembre 2015

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