Il perché del Senato elettivo

25 Ago 2015

La risposta, in senso affermativo, al quesito se il Senato debba, o non, essere elettivo discende indirettamente da un principio, vecchio di secoli e secoli, secondo il quale i corpi politici che effettuano deliberazioni giuridicamente vincolanti per tutta la comunità “debbono” rinvenire la loro legittimazione nel voto popolare.

La risposta, in senso affermativo, al quesito se il Senato debba, o non, essere elettivo discende indirettamente da un principio, vecchio di secoli e secoli, secondo il quale i corpi politici che effettuano deliberazioni giuridicamente vincolanti per tutta la comunità “debbono” rinvenire la loro legittimazione nel voto popolare. Un principio che ha potuto realizzarsi appieno solo negli ordinamenti democratici.
Il perché dell’elettività del Senato – e della Camera – sta quindi non solo nella natura rappresentativa delle assemblee, ma soprattutto nel fatto che la loro rappresentatività è indispensabile per legittimare la funzione legislativa. Se il Senato e la Camera non esercitassero la funzione legislativa, il problema della loro elettività nemmeno si porrebbe. In tale ipotesi, la spiegazione del perché dell’elettività di Camera e Senato andrebbe trovata altrove.
Diversa è invece la risposta se i due rami del Parlamento esercitano entrambi la funzione legislativa, come appunto in Italia. In questo caso la doverosa elettività dei due corpi politici discende dal fatto che l’articolo 1 della Costituzione, nel proclamare che «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nella forme e nei limiti della Costituzione», garantisce l’elettività di tutti gli organi politici della Repubblica che esercitino la funzione legislativa, massima espressione della sovranità popolare.
Pertanto, se, all’esito della procedura di revisione costituzionale in corso, il Parlamento confermasse l’attribuzione al Senato della funzione legislativa (e, addirittura, di quella di revisione costituzionale), la diretta elettività del Senato sarebbe doverosa, ai sensi del citato articolo 1. Per contro, in caso di violazione di tale disposizione, la riforma Renzi-Boschi andrebbe incontro a gravi conseguenze. La Corte costituzionale ha infatti affermato, nella famosa sentenza n. 1146 del 1988 (più volte ribadita), di essere competente a giudicare la costituzionalità delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale se esse violino «i valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». E ha inoltre affermato, in un significativo passaggio della sentenza n. 1 del 2014, dichiarativa dell’incostituzionalità del Porcellum, che il riconoscimento del suffragio popolare diretto rientra appunto nella garanzia del principio supremo della sovranità popolare. Né si obietti che, in Francia, il Senato, ancorché eserciti anch’esso la funzione legislativa, non è eletto direttamente dai cittadini. La deroga al principio del suffragio popolare diretto è infatti esplicitamente prevista dalla stessa Costituzione, all’art. 3, secondo il quale «Il suffragio può essere diretto o indiretto alle condizioni previste dalla Costituzione…». E il suffragio indiretto si sostanzia nell’elezione di primo grado di circa 150 mila grandi elettori da parte dei cittadini francesi e nell’elezione di secondo grado dei 348 senatori da parte dei grandi elettori.
Quali le obiezioni all’elettività del Senato? Che io sappia solo due. La prima, che se il Senato venisse eletto dal popolo, non gli si potrebbe negare il potere di votare la fiducia al Governo, con conseguente ritorno al bicameralismo paritario (Boschi, Napolitano). La seconda, che l’elettività del Senato lo trasformerebbe in «una seconda Camera di confronto fra i partiti, inutile perché debolissima o potenzialmente di intralcio se dovesse esprimere un equilibrio fra forze politiche diverso da quello della Camera» (Onida).
La prima obiezione non è che un sofisma: mentre il riconoscimento del suffragio popolare diretto rientra nella garanzia della sovranità popolare, il conferimento alla sola Camera dei deputati della titolarità del rapporto fiduciario costituisce una scelta politica del tutto libera, che non contrasta con alcuna norma o principio costituzionale, ma anzi si giustifica in considerazione della rappresentatività generale riconosciuta soltanto alla Camera dalla riforma Renzi-Boschi. Quanto alla seconda obiezione, non si vede come l’elettività del Senato sarebbe in grado di trasformarlo in una seconda Camera di confronto fra i partiti (oltretutto, se debolissima, come ammette lo stesso Onida). Del resto, le attribuzioni del Senato, elettivo o non elettivo, rimarrebbero comunque le stesse. L’elettività avrebbe invece il grande merito di sottrarre l’elezione del Senato alle «beghe esistenti nei micro-sistemi politici regionali» (Silvestri) nonché agli scandali che costantemente coinvolgono la politica locale.
Un ultimo punto. Proprio quest’ultima osservazione rende perplessi sull’idea che il listino dei “senatori” venga affiancato a quello dei “consiglieri” regionali. Sarebbero senatori-senatori o senatori part-time? Inoltre, come giustamente rilevato dal senatore Gotor, il testo approvato dal Senato sembrerebbe consentire un «listino “a scorrimento”, con una quota di candidati al Consiglio regionale da dirottare preventivamente presso il Senato», per cui, chi nomina i deputati potrebbe «mettersi d’accordo con i dirigenti locali, affidando a questi ultimi la scelta dei candidati per il Consiglio regionale e riservandosi quella dei candidati per la nomina di senatore». Il che evidentemente violerebbe il principio del suffragio popolare diretto previsto dall’art. 1 Cost. e sottolineato dalla Corte costituzionale.

 

Pubblicato su la Repubblica il 19.8.15

col titolo “Tutti i nodi del nuovo Senato”

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