Troppo tardi per cambiare il PD da dentro

13 Ago 2015

Il problema di rimanere nel Pd per esercitare una funzione di contrasto e di moderazione rispetto al renzismo è già fuori tempo massimo: si è già votata due volte la riforma costituzionale, si è assistito all’approvazione con fiducia della legge elettorale, si è passati dal Jobs Act allo Sblocca Italia (votato da tutti, salvo ‘scoprire’ che si tratta di trivelle, inceneritori e autostrade), si è assistito senza colpo ferire a una serie di casi molto spiacevoli (da Alfano ad Azzollini), si è fatta un’alleanza con Berlusconi e poi il patto del Nazareno (e poi il ripatto), si è discusso – senza cambiare impostazione – delle franchigie per chi evade o truffa il fisco, si è dato il voto favorevole alla legge non sulla ma contro la Pubblica amministrazione, si è premiato l’impegno ventennale di Gasparri rispetto alla non-riforma della Rai, si è dimenticato Tsipras e sprecato il semestre europeo. In questo dibattito sulla sinistra, insomma, c’è una parola di troppo: sinistra

Ho letto con interesse il pezzo di Antonio Padellaro che invita tutti coloro (sempre meno) che esprimono una posizione non-renziana nel Pd a rimanere nel partito, costi quel che costi, per evitare di passare dalla Juventus a squadre di serie B. Il pericolo, per Padellaro, è la marginalità tipo Psiup.

Mi pare forzato il paragone tra le sorti della galassia socialista (nel bel mezzo) della Prima Repubblica e quanto accade oggi nella politica italiana, priva di riferimenti valoriali, capace di superare destra e sinistra (sport nazionale) per non collocarsi da nessuna parte e non rappresentare più nessuno. Ma non è questo il punto: per me è fondamentale il richiamo di Alessandro Robecchi, nella stessa pagina del giornale, quando – rispetto alle polemiche estive stainiane – sostiene che si tratti del “modo migliore per parlare d’altro, per spostare la discussione dalle cose vere a un piano aleatorio e teorico, dove vale tutto”.

Da questo punto di vista il problema di rimanere nel Pd per esercitare una funzione di contrasto e di moderazione rispetto al renzismo è già fuori tempo massimo: si è già votata due volte la riforma costituzionale, si è assistito all’approvazione con fiducia della legge elettorale, si è passati dal Jobs Act allo Sblocca Italia (votato da tutti, salvo ‘scoprire’ che si tratta di trivelle, inceneritori e autostrade), si è assistito senza colpo ferire a una serie di casi molto spiacevoli (da Alfano ad Azzollini), si è fatta un’alleanza con Berlusconi e poi il patto del Nazareno (e poi il ripatto), si è discusso – senza cambiare impostazione – delle franchigie per chi evade o truffa il fisco, si è dato il voto favorevole alla legge non sulla ma contro la Pubblica amministrazione, si è premiato l’impegno ventennale di Gasparri rispetto alla non-riforma della Rai, si è dimenticato Tsipras e sprecato il semestre europeo.

Certo, poi ci sono le note positive: una legge sulle unioni civili che se mai sarà approvata porterà l’Italia al livello degli altri Paesi europei di dieci anni fa e forse, grazie a ll ’impegno di parlamentari totalmente svincolati dal governo, si farà una legge liberale per la legalizzazione della cannabis. Certo, l’Expo non è stata un disastro, anche se si è perso il tema di fondo: la fame, il Mediterraneo, l’Africa e tutto quello che farebbe pensare a un ruolo dell’Italia sulla scena internazionale. Però Michelle Obama ha fatto da mangiare. Son cose.

Queste sono le questioni di cui parlare e tutte insieme rappresentano un’idea di società. Che chi sostiene, sostiene. Punto. E che piace a destra, tanto che il dibattito da quelle parti è come e quanto abbracciare il moderato Renzi per governare per sempre, nel partito della nazione centrista e centralista, tagliando le estreme e le articolazioni che ne conseguono. E non si tratta solo di Verdini, amico intimo, ma di molti altri.

In questo dibattito sulla sinistra, insomma, c’è una parola di troppo: sinistra.

E c’è anche una sottovalutazione di tutto ciò che quanto sta accadendo comporta per la politica italiana. Un fatto che non riguarda qualche punto percentuale, ma proprio tutto l’elettorato. Chi non vota più e chi non sa a che santo votarsi. Sulle ceneri del fu-centrosinistra italiano (bruciato più che rottamato) si può e si deve costruire qualcosa di nuovo: che parta da una diversa idea di Paese e da un programma scritto, da condividere e rispettare. Quanto può valere dal punto di vista elettorale una sfida del genere? Moltissimo. Certo bisogna provarci: rompendo lo schema che è già stato superato dai fatti sopra richiamati e rischiando, senza rete e soprattutto senza padroni. Cancellando – come si vorrebbe fare con i referendum – le cose sbagliate e progettandone di diverse, descrivendole e motivandole come non si fa più, tutti presi come siamo dalla polemica. Balneare anche quando non è stagione.

Il Fatto Quotidiano, 13 Agosto 2015

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