Il Pd alla prova delle tasse

22 Lug 2015

La proposta del segretario del Pd si muove quindi su un crinale difficile: accodandosi alle ricette politiche della destra rischia di annebbiare ulteriormente il profilo del partito – che già non è chiarissimo…. – e quindi di perdere anima e consensi. Soprattutto rinuncia a proporre una visione alternativa che caratterizzi il Pd e il governo: certo non basta riproporre la classica visione per cui è la condivisione del carico fiscale tra tutti che pone le premesse per una sua rimodulazione; e forse nemmeno invocare legalità e senso dello Stato, presupposti etico-politici per condividere gli oneri della tassazione e il suo utilizzo per tutta la comunità.

 La proposta del segretario del Partito democratico di ridurre il carico fiscale incontra due ostacoli politici: la convinzione che sia possibile sottrarre alla destra la sua identificazione con il tema antitasse e la sudditanza ideologica al neoliberismo.

L’abbattimento del carico fiscale a fronte di una imposizione giudicata eccessiva e giugulatoria ha sempre e dovunque connotato la proposta politica dei partiti di destra, dal neo-conservatorismo reaganiano e thatcheriano al populismo continentale, persino in Scandinavia: celebre il caso del fondatore dell’attuale partito Popolare danese (di estrema destra) che nel 1971 dichiarò pubblicamente di non aver mai pagato una corona all’erario e di considerare gli evasori eroi, come i sabotatori delle ferrovie durante l’occupazione tedesca.

In Italia, Berlusconi e Bossi, e in parte anche Fini, hanno variamente cavalcato la retorica antitasse, arrivando persino a promuovere iniziative, peraltro fallite, di sciopero fiscale. Ma non sono stati in grado di incidere sull’imposizione fiscale, ad eccezione della tassa sulla casa. La loro incapacità rende allora la strada di Matteo Renzi in discesa? Forse il segretario del Pd ne è convinto, però trascura una legge fondamentale del comportamento elettorale: la resistenza nel tempo dell’immagine di un partito.

Ogni formazione politica “possiede” un tema che la identifica immediatamente presso l’opinione pubblica. È proprietaria di quella questione. Per questo è difficile sottrarre ai verdi il brand dell’ecologismo, ai populisti xenofobi il contenimento/rigetto dell’immigrazione, ai cattolici la difesa della famiglia e della morale tradizionale, e alla destra la retorica antifisco. Per quanti salti e mutamenti possa fare un partito “storico”, uno di quelli che si identificano in una delle grandi famiglie politico-ideologiche, si porta sempre con sé la propria connotazione originaria.

Può cambiare, anche radicalmente, ma non può vestire panni di altri, pena il suo snaturamento. Con conseguenze elettorali drammatiche. Inseguire i conservatori sul loro terreno d’elezione, adottando il loro argomentario, rischia il disconoscimento da parte del proprio elettorato tradizionale senza poi conquistare quello altrui. Come la natura non fa salti, nemmeno il sistema partitico ne fa.

Questo non significa che non sia buona pratica insidiare gli avversari sul loro terreno mettendo in luce le loro manchevolezze e contraddizioni. In fondo è quello che ha sempre fatto, con un certo successo, la destra nostrana accusando sinistra e sindacati di non difendere i ”veri” interessi dell’elettorato popolare. Ma nessuno ha pensato che la destra fosse diventata il partito della classe operaia… Oltre al problema di sottrarre agli avversari una loro tipica bandiera e di intestarsela, la proposta del capo del governo evidenzia un appiattimento ideologico nei confronti della visione neoliberista.

La sinistra in tutta Europa è in affanno, da decenni, perché non sa rispondere all’impostazione economica promossa dal neoliberismo in base alla quale l’individuo e il suo potenziale di intrapresa creano ricchezza; e quindi va tolto di mezzo ogni impaccio e limitazione, a incominciare da una tassazione troppo alta che impedisce un utilizzo produttivo della ricchezza. In sostanza la maggiore disponibilità economica in mano alla fasce più alte inserirebbe nel sistema economico risorse che, a seguire, produrrebbero un beneficio per tutti.

La celebre teoria dello “sgocciolamento” per cui chi sta in alto fa scendere qualcosa, magari le briciole, a chi sta in basso. A parte che non c’è uno straccio di prova che ciò accada visto che i ricchi sono diventati più ricchi e la classe media, per non dire di quella operaia, hanno guadagnato poco o nulla, questa non è una impostazione propria della sinistra. Rappresenta piuttosto un adeguamento tardivo e passivo alle politiche degli avversari.

La proposta del segretario del Pd si muove quindi su un crinale difficile: accodandosi alle ricette politiche della destra rischia di annebbiare ulteriormente il profilo del partito – che già non è chiarissimo…. – e quindi di perdere anima e consensi. Soprattutto rinuncia a proporre una visione alternativa che caratterizzi il Pd e il governo: certo non basta riproporre la classica visione per cui è la condivisione del carico fiscale tra tutti che pone le premesse per una sua rimodulazione; e forse nemmeno invocare legalità e senso dello Stato, presupposti etico-politici per condividere gli oneri della tassazione e il suo utilizzo per tutta la comunità.

Ma da un leader innovatore, o almeno che si offre come tale, ci si aspetta un colpo d’ala su questo tema in linea con i principi cardine di ogni partito di sinistra di progressività e redistribuzione: non un adeguamento agli stereotipi corrivi della destra.

la Repubblica,   22  Luglio 2015

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