“Non è un’intesa: è crudeltà. Atene punita come un bmbino

14 Lug 2015

Barbara Spinelli

Ci sono potenti e prepotenti che hanno voluto mettere in riga la Grecia e la sinistra: capitanati da Germania, Olanda, Finlandia, Est Europa. E poi i “mediatori”, Francia e Italia, anche se il ruolo dell’Italia non è chiaro. Spagna e Portogallo sono più che altro filo-tedeschi. L’Unione muore e si torna al “bilanciamento fra potenze” dell’‘800.

Grecia Non siamo al Grexit ma questo accordo-capestro costringe Tsipras a un esercizio di equilibrismo pericolosissimo e impoverisce ancor più la Grecia”. “Un’umiliazione” secondo l’ala “critica” di Syriza…

Al di là di un dato non irrilevante, ovvero che è stato per ora evitato il Grexit, l’intesa non solo umilia profondamente Atene, ma distrugge non meno profondamente il progetto europeo. Lo Spiegel parla di “catalogo delle crudeltà”. Atene è trattata come un bambino cattivo; non è un partner uguale ma viene nfantilizzata, anche nell’u so delle parole. Torna il termine “memorandum”. E la “troika” torna a installarsi ad Atene, anche se pudicamente riceve il nome di “istituzioni”. È umiliata anche la democrazia: nessuna decisione sarà discussa nel Parlamento greco, che non sia stata preliminarmente concordata con la troika. A ciò si aggiungano i tagli alle pensioni, le tasse, le privatizzazioni: è una nuova stretta di austerità. È già un miracolo che il Fondo delle privatizzazioni non sia collocato a Lussemburgo ma, su richiesta di Tsipras, in Grecia.

Cosa succederà ora alle anime di Syriza? Si rischia la frantumazione del partito…

Probabilmente voteranno contro alcuni deputati; già Tsipras non aveva la maggioranza assoluta. Dovrà cercar voti centristi e socialisti. Forse si andrà alle elezioni e seguirà una nuova coalizione.

Ma allora a cosa è servito il referendum? È stato usato più per il fronte interno che per quello europeo…

Oggi possiamo dirlo. Gli effetti esterni si sono rivelati irrilevanti. L’accordo sembra una vendetta contro il voto. Ma così è stata distrutta la sovranità popolare: cioè la democrazia. Tsipras sostiene che la sovranità nazionale è salvaguardata.  La situazione mi pare più grave: la sovranità popolare è ignorata, sostituita da una sovranità europea non democratica.

E che facce europee emergono dalla notte di Bruxelles?

Sono volti crudeli contro i popoli. Vengono alla luce tutti i difetti dell’euro: senza un’unione politica federale è impossibile una solidarietà fra aree in deficit e in surplus. Per come è stata costruita la moneta unica, prima o poi doveva accadere: non c’è spazio per la solidarietà, ma una lotta tra più forti e più deboli. E a quanto emerge, di unione politica si parlerà solo nel 2025.

Ci sono “buoni” e “cattivi”?

Ci sono potenti e prepotenti che hanno voluto mettere in riga la Grecia e la sinistra: capitanati da Germania, Olanda, Finlandia, Est Europa. E poi i “mediatori”, Francia e Italia,  anche se il ruolo dell’Italia non è chiaro. Spagna e Portogallo sono più che altro filo-tedeschi. L’Unione muore e si torna al “bilanciamento fra potenze” dell’‘800.

Secondo alcuni analisti  picchiare sulla Grecia è un modo per “educare” gli altri sudeuropei riottosi…

È stato un colpo di Stato post-moderno, compiuto attraverso regolamenti feroci e la teoria dei “compiti a casa”: un ’imposizione che esclude qualsiasi idea di unione.

Un segnale anche a noi italiani?

Un avvertimento, sì. Ma noi siamo già da tempo in condizioni da “memorandum”, pur senza troika. È dai tempi della lettera Trichet-Draghi a Berlusconi che è stata implementata la regola delle misure economiche da far visionare prima a Bruxelles poi nel Parlamento italiano.  Siamo commissariati. Un “regime change”, come disse Tsipras nella campagna elettorale europea ricordando il “colpo di Stato in Italia” del 2011.

Così rimangono in secondo piano le colpe dei greci…

Risalgono  all’ingresso nell’euro; avevano i conti sballati e l’Europa non ha detto niente per anni. Goldman Sachs dava ottimi giudizi su Atene fino a poco prima del disastro. Certo i greci devono migliorare l’amministrazione, combattere l’evasione fiscale, ma perché farlo con misure dottrinalmente rigide imposte da fuori,  impoverendo il Paese e senza nessuna promessa di ristrutturazione parziale del debito?

Il Fatto Quotidiano, 14 Luglio 2015

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