Costa-Gavras «Questa Europa è anche nostra: non può esistere solo la finanza»

22 Giu 2015

ATENE Costa-Gavras, cosa si aspetta dal vertice europeo?
«Che finisca un film e si cominci a lavorare al prossimo».
Cioè?
«Siamo in una tragicommedia. Anzi, l’ho rivisto da poco con i miei nipoti, stiamo vivendo proprio come in “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin. Una pellicola straordinaria che racconta un mondo di ricchi indifferenti e poveri inconsapevoli.

ATENE Costa-Gavras, cosa si aspetta dal vertice europeo?
«Che finisca un film e si cominci a lavorare al prossimo».
Cioè?
«Siamo in una tragicommedia. Anzi, l’ho rivisto da poco con i miei nipoti, stiamo vivendo proprio come in “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin. Una pellicola straordinaria che racconta un mondo di ricchi indifferenti e poveri inconsapevoli. Dopo tutte le lotte, le guerre, le conquiste, ci siamo ricaduti dentro senza neanche protestare. La classe media si assottiglia, i ricchi diventano più sfacciati, i poveri più miseri. Oggi tocca alla piccola Grecia, domani sarà l’Italia. Provo compassione per i giovani».
Un ulteriore prestito ad Atene farebbe cambiare film?
«Sarebbe il segno che l’Europa non è solo finanza senz’anima. I banchieri guardano cifre e grafici, dei leader europei dovrebbero riuscire a vederci dietro anche persone, donne, uomini e bambini senza futuro. L’Europa di cui abbiamo bisogno è anche politica, culturale, pedagogica. Oggi però non esiste. Forse con un accordo sulla Grecia ci si potrà lavorare».
Costa-Gavras, greco naturalizzato francese, è il regista di film che hanno dato argomenti a generazioni di studenti di sinistra. Per anni il suo «Missing» è stato il film da vedere nei dibattiti anti-imperialisti. E’ lui ad aver diretto «La confessione» sulla dittatura comunista in Cecoslovacchia, «Z» sui colonnelli greci, «L’Amerikano» sulle torture della Cia in Sud America.
Lei da 60 anni vive a Parigi, come può giudicare se la Grecia si merita altra fiducia?
«Certo, io vivo bene, ma capisco, sono cresciuto nella povertà del Dopoguerra e la riconosco nella sofferenza dei greci in questa crisi infinita. Essere greco ed europeo non era mai stata una contraddizione, ora mi sento spezzato. Sulla stampa tedesca leggo di greci lavativi, incapaci. Anche verso questo nuovo governo, pregiudizi e trabocchetti ovunque».
T sipras si è presentato ai colleghi europei dicendo «avete sbagliato tutto». La diffidenza è comprensibile.
«Il problema è l’etichetta di sinistra radicale che si è data Syriza. È un biglietto da visita che spaventa gli altri governi. Ma per me il suo successo invece non è ideologico. Syriza ha solo cavalcato la voglia di cambiamento. La burocrazia di Bruxelles è aliena dalla realtà, non capisce. Ci vuole qualcuno di nuovo come Tsipras, come il vostro primo ministro Renzi, gente senza scheletri nell’armadio, senza fardelli del passato. Persino il successo di Marine Le Pen in Francia si spiega anche così».
Saranno fuori moda, ma un nuovo di destra non è uguale a un nuovo di sinistra, soprattutto se radicale.
«Ho conosciuto Alexis Tsipras, gli ho parlato a lungo. Per lui radicale non è rinnegare la proprietà privata o instaurare un neo comunismo. Significa tornare alle radici della Grecia: democrazia e cultura».
Al di là delle categoria politiche, sta sostenendo che il sistema greco funziona e merita quindi altri prestiti?
«Per anni non ha meritato fiducia e gliel’hanno data. I vari Papandreu, Karamanlis erano leader senza qualità che invece di curare la Grecia come una famiglia, si sono resi protagonisti di scandali enormi. Ma non sono stati gli unici».
Chi altri li aiutava?
«Quelli che oggi sono i “creditori”. Per anni tedeschi e francesi hanno venduto ai greci ogni tipo di beni senza chiedere soldi, ma dando crediti attraverso le loro stesse banche. Hanno venduto sottomarini, auto, lavatrici. Nel 2008 i ministri delle Finanze europei hanno avvertito Jean-Claude Juncker, che allora era presidente dell’Eurogruppo, di un debito greco eccessivo. Ma Junker ha permesso che aumentasse. Anche queste sono responsabilità. Ora è il momento che ognuno si assuma la propria parte di colpa, altrimenti il sogno europeo evapora».

Il Corriere della sera, 22 giugno 2015

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