«Fino ad oggi ci siamo concentrati sul modello di organizzazione istituzionale emerso dal combinarsi dell’Italicum e della riforma del Senato afferma Stefano Rodotà. La riforma della scuola approvata ieri alla Camera mostra un elemento radicale: l’idea che Renzi ha della società».
Possiamo farne un profilo alla luce delle leggi sul lavoro, della riforma elettorale e di quella costituzionale?
La scuola è la parte più importante del Welfare tradizionale. In un momento in cui aumentano disoccupazione e povertà si dovrebbe investire sul suo ruolo di inclusione per impedire il riprodursi delle disuguaglianze. Invece la riforma disconosce che la scuola sia un corpo sociale composto da soggetti differenziati e ribadisce una fortissima spinta verso la segmentazione sociale. Attacca il contratto nazionale, esclude i corpi intermedi, e in particolare i sindacati, non riconosce la partecipazione democratica espressa dagli insegnanti e dagli studenti che si stanno opponendo. Sono gli elementi già emersi nel Jobs Act che ha portato l’abolizione dell’articolo 18 per i nuovi assunti. In questo modello di società non c’è spazio per la coesione sociale.
Nel Ddl scuola approvato dalla Camera c’è lo «School Bonus», un credito d’imposta al 65% per il biennio 2015 2016 e del 50% per 2017, riconosciuto a chi farà donazioni in denaro per le scuole pubbliche o private. Cosa ne pensa?
E’ una forte spinta verso l’outsourcing. Questa norma è un incentivo a far uscire la scuola dall’ipoteca del pubblico per affidarla ai privati che la gestiranno come meglio credono. È come incentivare a farsi una previdenza privata oppure una sanità privata.
Contrasta con l’articolo 33 della Costituzione che prevede l’esistenza di scuole private «senza oneri per lo Stato»?
Sono stato ostile alla legge sulle scuole paritarie approvata nel 2000. Ci vedevo l’escamotage per aggirare proprio questo articolo. Quando l’hanno scritto, i costituenti non avevano preclusioni ideologiche ma intendevano riconoscere la priorità degli investimenti nella scuola pubblica di ogni ordine e grado. Lo Stato deve in primo luogo permettere che la scuola pubblica funzioni al meglio. Solo quando questa condizione sarà soddisfatta, si potrà pensare di dare un euro anche ai privati. Nel Ddl di Renzi non c’è alcuna risorsa aggiuntiva ai privati. I fondi a loro destinati sono sottratti alla scuola pubblica.
E’ stato detto che questa norma rispecchia il pluralismo e, in più, rappresenti la fine di un tabù ideologico della sinistra.
Altro che abbattere un tabù. Ne costruisce un altro: la distinzione tra scuole per abbienti e per non abbienti, di serie A e di serie B. Chi sostiene queste posizioni crede che il ruolo della scuola pubblica sia in contrapposizione con quella dei preti, come si diceva secoli fa quando ero un ragazzino. Il problema è un altro: la scuola pubblica, come spazio pubblico di riconoscimento e confronto, è irrinunciabile perché qui posso costituirmi come cittadino. Se invece dico che ognuno può farsi la propria scuola religiosa, etnica, territoriale o culturale innesco un conflitto. La scuola non è più un luogo dove si apprende a riconoscere l’altro in base alle sue diversità, ma un luogo dove si adempie una funzione pubblica per un numero tendenzialmente riducibile di persone. Tutto questo è in conflitto con l’idea di una società aperta e plurale dove l’uguaglianza esiste nella misura in cui viene riconosciuta la diversità delle opinioni.
Crede che Renzi abbia attribuito al «preside manager» un’importanza paragonabile alla leadership politica che lui intende svolgere in politica e nello Stato?
Certamente. È rivelatore di questo atteggiamento il fatto che abbia scelto di usare la lavagna e il gessetto: voi siete gli scolari e io il maestro che vi spiega la riforma. Dopo avere usato tweet e slide ha cambiato la sua comunicazione e si è messo nella posizione di chi parla dall’alto. È la rappresentazione tangibile della concentrazione dei poteri nella figura del presidente del consiglio, prima ancora che nell’esecutivo, che si vuole realizzare con le riforme istituzionali. Con questo disegno di legge Renzi tende a trasferire questa visione del potere a tutti i livelli della società. Alle figure apicali dei presidi affida la missione della scuola, quella di produrre buona cultura, uguaglianza e rispetto dell’altro. Sono daccordo con chi ha definito questa politica come una «pedagogia del Capo».
Renzi sostiene invece che il preside-manager sarà libero di decidere e di rendere più efficiente la scuola.
Ma il problema della responsabilità dirigenziale non può tradursi nell’accentramento del potere e soprattutto nella possibilità di selezionare i docenti. È lo stesso meccanismo visto all’opera nel Jobs Act: all’imprenditore sono stati concessi sgravi fiscali, l’abolizione dell’articolo 18, per facilitare le assunzioni. In questo modo i diritti dei lavoratori sono stati subordinati al suo potere sociale. Con la riforma della scuola si crea un centro di potere per gestire un istituto con una logica tutta imprenditoriale e ad esso si subordina la partecipazione nella scuola.
Chi si oppone a questa politica è accusato di essere corporativo o un relitto della storia. Come si smonta questa retorica?
Dicendo che quella in atto non è un’opera di sburocratizzazione della società, ma di concentrazione del potere in una sola persona. Nei settori dove questo è accaduto, ad esempio nelle opere pubbliche, sono venuti meno i meccanismi di controllo, di partecipazione e trasparenza. Il potere è stato usato in maniera discrezionale e la corruzione si è moltiplicata.
In Italia è innegabile il problema della burocrazia, non crede?
Ma non lo si risolve aumentando diseguaglianze e ingiustizie. Man mano che si introduce la logica privatistica e l’accentramento della gestione si indeboliscono le possibilità di controllo e di partecipazione. Queste funzioni sono essenziali anche nella vita della scuola il cui scopo è garantire l’inclusione sociale, non la competizione tra le persone.
Perché, fino ad oggi, chi si richiama alla Costituzione non ha prodotto una politica capace di affrontare la sfida di Renzi?
Si è pensato che, tutto sommato, ci sarebbe stato il tempo necessario per aggiustare le cose. Quando poi si sono compresi gli effetti istituzionali e sociali della sua politica è stato troppo tardi. La politica ufficiale non è stata in grado di contrapporsi a Renzi. Questo vale per chi sta nel Pd, ma anche per chi oggi critica l’accentramento dei poteri nell’esecutivo. Questi elementi erano presenti sin dall’inizio e adesso le resistenze sono tardive. Non voglio dire che avevo ragione, quando ci chiamavano «professoroni», né voglio fare la parte della Cassandra. Per me è un elemento di autocritica.
Cosa è mancato a questa opposizione?
La visione alternativa di una società dove la politica è stata ridotta all’amministrazione e all’economia. Oggi chi si oppone a Renzi dovrebbe creare forme di auto-organizzazione e di agire politico per riequilibrare la forte concentrazione di potere che si sta realizzando a livello istituzionale. La società deve riconquistare il suo ruolo nel momento in cui lo spazio nelle istituzioni si restringe. Rimettere in movimento questi meccanismi oggi è un problema politico che si deve porre anche chi sta nelle istituzioni. Non si può fare politica solo attraverso gli emendamenti. Quella può permettere di salvarsi l’anima solo quando si discute una legge.
il manifesto, 21 maggio 2015
Alla c. a. dei vertici di LeG.
“… La società deve riconquistare il suo ruolo nel momento in cui lo spazio nelle istituzioni si restringe…” (Rodotà)
Ovvero: Sovranità Popolare REALIZZATA (non solo enunciata) che esercita gli articoli che consentono la Democrazia Diretta Propositiva 50 e 71?
Può essere questo il modo?
Non è possibile continuare a denunciare pericoli e rischi, tralasciando il “progetto operativo, il che fare e come”, aspettanto che la casta ci sottragga anche gli strumenti che la Carta ancora ci offre.
Non è possibile limitarci alla speranza in un ravvedimento o alle solite pratiche rivendicative che il potere costituito ha destrutturato col suo assoluto disprezzo e menefreghsmo rendendole inutili teatrini.
E’ tempo di andare oltre…per non diventare complici e vittime contemporaneamente!
La visione della società italiana che il giovane Renzi proclama in ogni suo atto, è coerente con la sua origine e cultura. Verosimilmente non teme la concentrazione di potere nelle mani di un uomo solo perchè ritiene di essere egli quell’uomo e di non poter mai scivolare nella tentazione autoritaria. Si disinteressa del caso in cui una tale concentrazione di poteri -così come consentito dall’Italicum e dalla riforma del senato- possa finire in mani altrui e sbagliate. Egli volutamente ignora i rischi di una comunità in cui vengano meno i principi di solidarietà sociale : nemmeno alla Democrazia Cristiana di un tempo, da cui molti fanno discendere l’abilità politica del Nostro, si può imputare un simile errore, tra i molti commessi. E tuttavia Renzi è figlio di questa classe politica che da un canto (PD) lo ha incoronato per “le magnifiche sorti e progressive” che avrebbe garantito al partito, dall’altro è il frutto dell’insipienza di una parte politica (centrodestra) imbolsita come il suo capo laddove non corrotta dal desiderio degli ultimi inciuci possibili. Nel panorama resta solo una stella, anzi ne restano 5 di inusitata ed eccessiva grandezza : nel buio assoluto della politica la loro opposizione, fiera e coerente, risulta accecante. Ha sbagliato chi poteva e non ha fatto, e questo Rodotà lo sa bene.
Se governasse (in qualche modo) Rodotà, avremmo una situazione identica a quella di Pol Pot. Va detto chiaro e tondo: la bava produce nazismo (o comunismo polpotiano).
Una classe dirigente reazionarie ci ha fatto credere che il metodo dei concorsi, scritti e orali, potesse funzionare come strumento di garanzia del rispetto dei diritti dei concorrenti alla piena affermazione e riconoscimento del loro merito personale. Sappiamo che non è mai stato così, Basta pensare alla riforma degli esami di avvocato, che per superare la dilagante corruzione ha richiesto lo spostamento della correzione delle prove scritte, presso sedi di corte d’appello diverse da quelle in cui esse furono sostenute. Con esiti incoraggianti. Finita la pacchia per i figli d’arte! Oggi però, com’è costume di Renzi, per riformare i diritti si eliminano e basta, direttamente. In tutti i settori il suo metodo è lo stesso. Lavoro, Giustizia, Scuola ecc.
Io credo, fermamente, che in Italia, per combattere la corruzione, bisognerebbe reintrodurre la pena di morte per corrotti ed i corruttori!
a parte che paragonare Rodotà a Pol Pot è da somari, bisogna pur dire che ci sono persone alle quali dissodare i campi con la zappa farebbe solo bene.