Si porterà a casa la legge dissipando però il patrimonio accumulato

29 Apr 2015

Ezio Mauro

Travestita da prova di forza, ieri è andata in scena alla Camera la prima, pubblica e plateale prova di debolezza di Matteo Renzi. Mettere la fiducia sulla legge elettorale è sbagliato sul piano del metodo, perché dimostra l’incapacità di costruire un ampio e sicuro consenso politico su una regola fondamentale, ed è sbagliato soprattutto nel merito perché come diceva lo stesso premier a gennaio per far accettare l’alleanza con Berlusconi non si cambia il sistema di voto a colpi di maggioranza, tanto più se quella maggioranza riottosa è tenuta insieme dalla minaccia del voto anticipato.

Travestita da prova di forza, ieri è andata in scena alla Camera la prima, pubblica e plateale prova di debolezza di Matteo Renzi. Mettere la fiducia sulla legge elettorale è sbagliato sul piano del metodo, perché dimostra l’’incapacità di costruire un ampio e sicuro consenso politico su una regola fondamentale, ed è sbagliato soprattutto nel merito perché come diceva lo stesso premier a gennaio — per far accettare l’’lleanza con Berlusconi — non si cambia il sistema di voto a colpi di maggioranza, tanto più se quella maggioranza riottosa è tenuta insieme dalla minaccia del voto anticipato.
Perso per strada Berlusconi, Renzi sembra aver perso anche la politica, sostituita da una continua prova muscolare. Che non può però nascondere la rottura evidente tra la sinistra del Pd e il presidente del Consiglio, che è anche segretario del partito.
È contro la minoranza interna, infatti, quel voto di fiducia: che diventa così un attestato di sfiducia reciproca tra Renzi e la sinistra Pd, una sfiducia così forte da finire fuori controllo, fino a una decisione che sfida il Parlamento, ma soprattutto il buon senso. Renzi ha il diritto di portare avanti le sue riforme, anche la legge elettorale, e il Paese ha bisogno di cambiamento. In politica però non conta solo il «quanto», cioè il saldo del voto finale, ma anche il come, vale a dire il percorso, le alleanze, il consenso che si sa costruire.
Qui si porterà a casa la legge, dissipando però il patrimonio accumulato col metodo seguito per l’’elezione di Mattarella, che ha fatto per un breve momento del Pd non solo il partito di maggioranza relativa, ma la spina dorsale del sistema politico e istituzionale. Tutto gettato al vento, perché la minoranza continua a considerare Renzi abusivo (mentre ha vinto legittimamente le ultime primarie, così come aveva perso le precedenti) e perché il leader preferisce comandare il suo partito piuttosto che rappresentarlo nel suo insieme.
Così non si va lontano, prigionieri di due mentalità minoritarie. Ma come leader e premier, Renzi ha oggi una responsabilità in più. Può avere i numeri: ma dovrà capire che senza il Pd nel suo insieme, il governo è nudo di fronte a se stesso, perché i partiti sono cultura, valori, storia e tradizione: quel che fa muovere le bandiere.
A patto di non usarli come un tram.

Repubblica, 29 aprile 2015

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