L’accoppiata riforma della Costituzione-Italicum sta spingendo l’Italia verso lidi sconosciuti alle democrazie a noi paragonabili. La Carta fondamentale viene modificata consacrando la supremazia conquistata dal governo nel sistema costituzionale. La centralità del parlamento è stata progressivamente svuotata, in parallelo all’entrata in crisi dei partiti, sino alla svolta maggioritaria sancita con i referendum del 1993. Oggi la funzione legislativa è di fatto esercitata dall’esecutivo, con il parlamento ridotto, in ruolo servente, a convertire decreti-legge, conferire deleghe legislative, recepire gli accordi internazionali stipulati dal governo, dare attuazione al diritto europeo. A quanto pare, però, non basta. Da domani, con il nuovo articolo 72 della Costituzione, l’esecutivo potrà direttamente dettare i tempi dell’attività parlamentare, fissando la data ultima entro cui il legislativo sarà tenuto — sotto la prevedibile minaccia di crisi — a ratificare le proposte governative.
In questo quadro, per di più connotato dal rattrappirsi del rapporto di fiducia da entrambe a una sola camera, l’Italicum vorrebbe poi assicurare al partito che ottiene la prevalenza relativa sugli altri — fosse pure di un solo voto — un’ampia maggioranza assoluta di seggi nel solo ramo parlamentare che resta elettivo. Si tratterebbe di un unicum nel panorama comparatistico. Nemmeno nella tanto celebrata Inghilterra dell’uninominale l’esito delle elezioni è garantito in anticipo: lo dimostra la legislatura che si sta concludendo, retta da un governo di coalizione. A questi elementi — dominio del governo sul parlamento, dominio di un partito nel parlamento — ne va aggiunto un terzo: il dominio dei leader sui partiti (e, con l’identificazione del ruolo di segretario e presidente del consiglio, sullo stesso esecutivo). Il cerchio si chiude, prefigurando una forma di governo dal forte sapore plebiscitario: dal popolo al leader, passando per un parlamento sottoposto alla duplice supremazia del governo e del partito di maggioranza.
Si dice: si fa così ovunque e noi non possiamo rimanere indietro. Ma è vero? Davvero in Francia, Germania, Spagna o nel Regno Unito la fantomatica «sera delle elezioni» si sa chi governerà il Paese nei successivi cinque anni? In realtà, in nessuna di queste democrazie le elezioni incoronano automaticamente un vincitore. È possibile (talvolta molto probabile) che accada; mai sicuro. Le ultime elezioni hanno sancito la necessità di un governo di coalizione anche a Berlino; Madrid ha una lunga tradizione di governi condizionati dai piccoli partiti nazionalisti; persino Parigi, nonostante il semi-presidenzialismo, ha conosciuto accordi post-elettorali. In Europa, poi, i partiti si dimostrano spesso ben strutturati e animati da una reale dialettica interna: il caso-limite è quello inglese, che ha visto i due primi ministri più popolari del dopoguerra — Thatcher nel 1990 e Blair nel 2007 — silurati per aver perso il controllo del loro partito. Dove sono in Italia i John Major o i Gordon Brown capaci di scalzare Renzi, Berlusconi o Grillo? E come potrebbero nascere con una legge che sancisce un parlamento composto in gran parte da nominati?
Potrà sembrare paradossale, ma, a questo punto, meglio sarebbe il presidenzialismo. Da appassionato di House of Cards, anche Renzi dovrebbe essersi reso conto che il presidente americano non è quel sovrano incontrastato di cui spesso da noi si favoleggia. Il sistema costituzionale degli Stati uniti ha circondato il poderoso potere presidenziale di reali contropoteri, che costringono il presidente a una continua tessitura di rapporti politici. Ma c’è di più. Attraverso le elezioni di medio termine, l’intero modello è costruito perché il presidente non goda della maggioranza nel Congresso o sia continuamente costretto a impegnarsi nella riconquista dei favori dell’elettorato. Il che, con la separazione dei due organi sancita in Costituzione, rende il sistema statunitense ben diverso da quello dell’«uomo solo al comando» che sogna il nostro Partito democratico.
In realtà, quella che si sta tentando di realizzare in Italia è una forma di governo à la carte, in cui da ciascun modello si sceglie solo ciò che rafforza l’esecutivo, tralasciando ogni possibile elemento di riequilibrio: una deriva autoritaria che rappresenta l’esatto contrario di quel che, sin dai tempi della Rivoluzione francese, prescrive il Costituzionalismo.
Questo intervento è stato pubblicato su ilmanifesto di oggi, con il titolo “A questo punto meglio il presidenzialismo“
Sono particolarmente grato al prof. Pallante per questa lucida ricostruzione
della…. fine della democrazia parlamentare nel nostro paese. Perché è di questo, in effetti, che si tratta. Avremmo dovuto prendere atto del sostanziale fallimento della cultura di un maggioritario-senza-contrappesi
e dedicarci ad un suo intelligente superamento ed, invece, abbiamo preferito sbilanciare ulteriormente il sistema, privilegiando – in nome della mitizzata governabilità – la funzione ‘ esecutiva ‘ dell’ oligarchia al governo su quella ‘ squisitamente politica ‘ dell’ assemblea legislativa. Suscita davvero meraviglia che dei parlamentari eletti con legge elettorale dichiarata anti-costituzionale non abbiano sentito il dovere morale di dimettersi per consentire la formazione di un nuovo Parlamento su base proporzionale. Una scelta del genere avrebbe ri-avvicinato certamente i cittadini alle istituzioni, riducendo drasticamente l’ astensionismo e stimolando una partecipazione ‘ dal basso ‘ , diffusa, autenticamente democratica ‘ che l’ Italicum – purtroppo – non fa che scoraggiare e rendere vana. Non resta che augurarsi che i cittadini più vigili ed attenti si facciano promotori di una grande mobilitazione referendaria che non si limiti all’ abrogazione degli aspetti più inquietanti della ‘ nuova ‘ legge elettorale, ma riporti all’ attenzione di tutto il Paese la grande questione dell’ assenza di dibattito politico che la crisi del sistema dei partiti, prima, e la sbornia maggioritaria poi, hanno reso cronica e quasi irreversibile.
Giovanni De Stefanis, LeG Napoli
Raccomando vivamente la lettura della lettera della presidente alla Camera, Laura Boldrini, pubblicata sulla Repubblica il 30 aprile. Al di là dell’ aspetto burocratico dell’ art. 72 del regolamento della Camera è importante lo “spirito delle leggi” e delle norme: la legislazione di carattere rilevante, come riforme costituzionali ed elettorali (calcando un po’ in un mio commento parlavo di solennità della deliberazione), non può essere deliberata solo dalla Commissione, ma deve essere anche votata dall’ Assemblea parlamentare. Ora, nella sua lettera, siamo informati del fatto che da mesi giace una bozza di legge, che impone di evitare la fiducia sulle suddette materie rilevanti. Perché tanta fretta e furia, che ha fatto votare i parlamentari fino alle tre di notte, ha licenziato in tronco dieci membri della Commissione, ha posto quest’ ultima inaudita fiducia? Devo anche dire che ho stima del relatore Emanuele Fiano, quindi non ho pregiudiziali, ma questo comportamento, altrimenti inaccettabile, deve essere giustificato.
Scusate, l’ art. 72 della Costituzione.
Illustre prof. Pallante,
a questo punto ci resta ancora la Costituzione per fermare e invertire degrado e declino!
“La nostra Costituzione – ripeto: se la sappiamo leggere – è come un serbatoio che racchiude quelle energie, alle quali possiamo attingere nei momenti di difficoltà.”(G. Zagrebelsky)
Il prof Zagrebelsky il 25 aprile, da Torino, ci suggerisce di leggere attentamente la Carta e di attingere ad essa…
E allora leggiamola quella Costituzione e attingiamo da quel serbatoio senza incertezze, poiche non l’hanno concepita perchè resti in bacheca esposta a polvere, a decadenza e a insulti come accade alle cose in disuso!
Ed io vi leggo un programma da svolgere, i mezzi per farlo, il fine che è la sua realizzazione.
Se il programma ed il fine stanno nei primi 137 articoli, i mezzi, in questi tempi grami, non stanno nel voto a suffragio universale, pur essenziale strumento irrinunciabile di ogni democrazia. Ma troppo infida la propaganda verso le masse troppo vulnerabili e in Parlamento sale la mediocrità.
I mezzi li vedo negli artt 1, 50 e 71 che compendiano un binomio perfetto: Sovranità Popolare Realizzata (non solo enunciata) e Democrazia Diretta Propositiva.
Un binomio perfetto, di efficacia assoluta da calare in un momento storico in cui molti nodi gordiani ci allarmano di più ogni giorno di lavoro parlamentare che avvicina scadenze gravi e grevi.
Ma siete Voi, emeriti professori, che dovete illustrare alla Cittadinanza questa lettura della Carta, Voi a cui giustamente vengono riconosciute credibilità ed affidabilità, Voi che, ignorati dalla politica ed emarginati dalle istituzioni, avete scelto le piazzette ed i teatri di Comuni e Città per mantenere vivo il seme del rigore morale e culturale indispensabile alle funzioni legislative, e quei valori che la Costituzione incarna perfettamente, Voi che il Popolo Astenuto attende da lustri non volendo ancora sprecare il prezioso suffragio.
Un binomio di efficacia assoluta, uno strumento perfetto per “COSTRUIRE LA RIVOLUZIONE” come la presidente di Libertà e Giustizia, Sandra Bonsanti, il 16/06/2011, titolava una riflessione che si concludeva: “… Cambiamola questa nostra Italia. Facciamola nuova. Non ricostruiamo macerie su macerie. Si chiama, in gergo tecnico politico, “rivoluzione”. Non saremmo i primi e nemmeno gli ultimi a invocarla, profonda, convinta, serena, esigente, libera e giusta.”
Mancano solo 2 aggettivi: Costituzionale e Gloriosa!
Resto in attiva attesa, cercando di contaminare…e cercando altri “untori”…
Ma non c’è alcun dubbio che tocchi a Voi, come peraltro suggeriva N. Bobbio nel 55 “Oggi, dice Camus, gli uomini di cultura devono rendersi conto che il loro posto non è più sulla gradinata ma dentro l’arena. Essi sanno che se la vittima soccombe anch’essi saranno divorati. Sono, come si ripete oggi, impegnati. Impegnati a far sì che nel futuro vi siano meno vittime e meno leoni.”
Paolo…
“… non tiro la volata al governo quando applico il Regolamento sulla legge elettorale. In un caso e nell’altro, faccio la Presidente della Camera.”
A Boldrini domando: viene prima la Costituzione (Art. 72) o il regolamento della Camera? Ho seguito le sedute in streaming. Invito chiunque a osservare la sua conduzione dell’aula e a valutarla.
BOLDRINI! Prima la Costituzione!
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